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Disposizioni concernenti gli interventi sugli edifici a destinazione d’uso industriale o artigianale e commerciale al dettaglio. Proroga del termine per la presentazione dei titoli abilitativi degli interventi
edilizi straordinari. Modifiche alla l.r. 24/2009. (30-12-2020)
Toscana
Legge n.101 del 30-12-2020
n.135 del 31-12-2020
Politiche infrastrutturali
26-2-2021 /
Impugnata
La legge regionale che reca modifiche agli articoli 3-bis e 7 della legge regionale 8 maggio 2009, n. 24, recante: “Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente” è censurabile relativamente alla disposizione contenuta nell’articolo 1 che, per le motivazioni di seguito indicate, viola gli artt. 9 e 117, primo e secondo comma lettera s) della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono norme interposte la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, nonché gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, oltre a contrastare con i principi di ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione, violando così gli artt. 3 e 97 Cost.
La disposizione regionale estende alle unità immobiliari aventi destinazione d’uso commerciale al dettaglio, non incluse nelle precedenti previsioni, le misure straordinarie già previste per gli edifici a destinazione d’uso industriale o artigianale, stabilendo, inoltre, la proroga di tutte le misure del predetto “piano casa” per un ulteriore biennio. Ciò nonostante l’intero territorio regionale sia stato oggetto di pianificazione nel 2015 e senza che venga assicurata la compatibilità del c.d. piano casa, oltre che con eventuali puntuali prescrizioni del piano paesaggistico (che si ritengono destinate comunque a prevalere), anche con gli indirizzi e le direttive posti dal medesimo piano, i quali devono essere concretamente attuati dalla pianificazione urbanistica comunale. Tale ultima pianificazione viene, infatti, derogata in modo generalizzato dalle previsioni normative della legge n. 24 del 2009, delle quali viene prorogata e ampliata la portata, così menomando la possibilità stessa di dare compiuta attuazione alla sovraordinata pianificazione territoriale di livello regionale, oggetto di intesa con lo Stato.
Le previsioni regionali hanno una indubbia portata derogatoria rispetto al sistema della tutela dei beni culturali e del paesaggio delineato dal Codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Non assume rilievo infatti, in senso contrario, la circostanza che la legge regionale n. 24 del 2009 preveda, all’articolo 5, comma 1, una generica clausola, in base alla quale “Gli interventi edilizi di cui agli articoli 3, 3-bis e 4 perseguono il fine del miglioramento della qualità architettonica in relazione ai caratteri urbanistici, storici, paesaggistici e ambientali del contesto territoriale in cui sono inseriti”. Dall’affermazione di principio suddetta non risultano infatti ricavabili in nessun modo i principi di superiorità ed inderogabilità delle previsioni del Piano paesaggistico, peraltro approvato in Toscana d’intesa con lo Stato nel 2015, e quindi successivamente alla legge sul c.d. piano casa del 2009.
Si evincono peraltro ulteriori profili di criticità in termini di ragionevolezza nella normativa regionale che, nonostante l’avvenuta approvazione del Piano paesaggistico regionale d’intesa con lo Stato, posto al vertice della gerarchia dei piani e le cui disposizioni sono cogenti per gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, reitera ancora previsioni eccezionali e derogatorie, che trovano fondamento in disposizioni statali ultradecennali, di natura transitoria, le cui finalità avrebbero dovuto, semmai, più coerentemente, trovare spazio e confluire all’interno del predetto Piano paesaggistico.
Va infatti rimarcato che è compito del Piano paesaggistico la “individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela” (art. 143, comma 1, lettera g), del Codice). L’art. 143, comma 8, del Codice di settore, prevede inoltre che “Il piano paesaggistico può individuare anche linee-guida prioritarie per progetti di conservazione, recupero, riqualificazione, valorizzazione e gestione di aree regionali, indicandone gli strumenti di attuazione, comprese le misure incentivanti”.
È all’interno di tale cornice, pertanto, che le finalità perseguite dalla Regione avrebbero dovuto essere adeguatamente considerate, una volta superate le esigenze emergenziali all’origine della disciplina transitoria del c.d. piano casa del 2009 e del c.d. secondo piano casa, di cui al decreto legge n. 70 del 2011.
Ciò premesso, si rileva quanto segue.
1.L’articolo 1 modifica l’articolo 3-bis della legge regionale n. 24 del 2009, estendendo alle unità immobiliari aventi destinazione d’uso commerciale al dettaglio le misure straordinarie già previste per gli edifici a destinazione d’uso industriale o artigianale.
In questa prospettiva:
- il comma 1 modifica la rubrica del predetto art. 3-bis in modo da dare atto di tale estensione;
- il comma 2 sostituisce il testo del comma 1 dell’articolo 3-bis nei termini seguenti:
“1. Fermo restando il rispetto delle condizioni di messa in sicurezza idraulico-geomorfologiche previste dalla normativa vigente in materia:
a) sugli edifici a destinazione d’uso industriale o artigianale inseriti all’interno del perimetro individuato ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera c), ricadenti in aree con destinazione d’uso produttiva, sono ammessi gli interventi di addizione volumetrica o di sostituzione edilizia con un incremento massimo del 20 per cento della superficie utile lorda esistente alla data del 25 agosto 2011 e legittimata da titolo abilitativo;
b) sulle unità immobiliari aventi destinazione d’uso commerciale al dettaglio, limitatamente agli esercizi di vicinato di cui all’articolo 13, comma 1, lettera d), della legge regionale 23 novembre 2018, n. 62 (Codice del Commercio) e agli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di cui all’articolo 48 della medesima L.R. 62/2018, sono ammessi gli interventi di addizione volumetrica o, se previsti dagli strumenti urbanistici comunali, di sostituzione edilizia con un incremento massimo del 20 per cento e comunque non superiore a centro metri quadrati di superficie utile lorda esistente alla data del 25 agosto 2011 e legittimata da titolo abilitativo.”.
Alla luce di quanto disposto dall’articolo 2, comma 1, sono poi prorogate tutte le misure del predetto “piano casa”, prevedendo che: “Al comma 2 dell’articolo 7 della L.R. 24/2009 le parole: «31 dicembre 2020» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2022».”.
Le modifiche apportate alla legge regionale n. 24 del 2009 dall’art. 1 della legge regionale n. 101 del 2020 perseguono dunque lo scopo di ampliare la portata applicativa della legge, che consente ora anche gli interventi di addizione volumetrica o di sostituzione edilizia, con un incremento massimo del venti per cento, per gli immobili destinati al commercio al dettaglio individuati dalla disposizione richiamata.
Ai sensi dell’articolo 2 come detto, viene inoltre esteso fino al 31 dicembre 2022 il termine – precedentemente fissato al 31 dicembre 2020 – entro cui è possibile avvalersi delle misure straordinarie previste dalla legge 24 del 2009, tra le quali anche le misure incentivanti relative agli edifici a destinazione commerciale, introdotte dalla richiamata novella.
L’art. 1 della legge regionale in esame si pone in contrasto con le esigenze di tutela del paesaggio.
Occorre tenere presente che la legge regionale n. 24 del 2009, all’articolo 5, comma 2, individua gli immobili esclusi dal proprio ambito applicativo, indicando, tra gli altri, gli edifici:
“(…)
b) collocati all’interno delle zone territoriali omogenee “A” di cui all’articolo 2 del D.M. 1444/1968 o ad esse assimilabili, così come definite dagli strumenti urbanistici comunali;
c) definiti di valore storico, culturale ed architettonico dagli strumenti urbanistici comunali;
d) vincolati quali immobili di interesse storico ai sensi della parte seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio);
e) collocati nelle aree di inedificabilità assoluta come definite dall’articolo 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie);
f) collocati nei territori dei parchi e delle riserve nazionali o regionali;
(…)”.
Se è vero che tale elencazione esclude l’applicazione della legge regionale in relazione ai beni culturali nonché ad alcune tipologie di beni paesaggistici (centri storici, aree protette), tuttavia la medesima legge rimane operante in relazione a tutti gli altri beni paesaggistici e, inoltre, a buona parte del paesaggio non vincolato, costituente comunque oggetto di tutela ai sensi della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta a Firenze del 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14.
La legge della Toscana n. 24 del 2009 consente, quindi, sin dalla sua entrata in vigore, risalente a oltre undici anni or sono – con previsioni ora estese agli interventi di cui all’articolo 1 della legge n. 101 del 2020, oggetto di censura in questa sede – la realizzazione in via “straordinaria” di rilevanti interventi di trasformazione del territorio, che beneficiano di significative primalità volumetriche, in deroga alla pianificazione urbanistica, senza che alcuna previsione della medesima legge assicuri che i predetti interventi siano conformi alle previsioni del Piano paesaggistico regionale, approvato previa intesa con lo Stato, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui alla legge 22 gennaio 2004, n. 42.
Va, infatti, rimarcato che, nel disporre la potenziale deroga ai piani urbanistici comunali, la legge regionale non assicura l’intangibilità delle prescrizioni che derivano dal necessario procedimento di adeguamento o conformazione di tali ultimi strumenti rispetto al Piano paesaggistico regionale, né prevede che – in assenza di adeguamento o conformazione in accordo con le competenti strutture del Ministero – le previsioni del medesimo Piano paesaggistico siano comunque inderogabili.
Non può infatti assurgere al ruolo di clausola di salvaguardia il disposto, del tutto generico, di cui all’art. 5, comma 1, in base al quale “Gli interventi edilizi di cui agli articoli 3, 3-bis e 4 perseguono il fine del miglioramento della qualità architettonica in relazione ai caratteri urbanistici, storici, paesaggistici e ambientali del contesto territoriale in cui sono inseriti”. Tale previsione può valere soltanto a riconoscere, in linea di principio, la generale finalità di migliorare, mediante la realizzazione degli interventi, l’integrazione del manufatto nel contesto in cui si colloca, senza peraltro che siano definiti i parametri valutativi di tale finalità. La circostanza che la legge regionale sia precedente all’approvazione del Piano Paesaggistico previa intesa con lo Stato (approvazione avvenuta nel 2015) non vale a elidere l’illustrato profilo di criticità, ma semmai lo aggrava, rendendo ancora più arduo dedurre dalla predetta generica previsione una effettiva salvaguardia dell’intera disciplina del Piano paesaggistico ad essa successivo.
Nello specifico, la novella censurata estende gli interventi assentibili in deroga, comprendendovi anche gli interventi di addizione volumetrica o di sostituzione edilizia con incremento volumetrico agli edifici aventi destinazione d’uso commerciale al dettaglio, mentre nel contempo la normativa derogatoria è estesa di un ulteriore biennio.
Alle addizioni volumetriche previste dall’articolo 1 si estende, conseguentemente, la previsione dell’art. 3-bis comma 1-bis, della legge regionale n. 24 del 2009, il quale dispone che “Gli interventi di addizione volumetrica o di sostituzione edilizia di cui al comma 1, sono realizzati in deroga ai parametri urbanistici ed edilizi, nel rispetto delle distanze minime e delle altezze massime dei fabbricati” e ciò anche in aree sottoposte a vincolo paesaggistico e disciplinate dal Piano paesaggistico territoriale (PPTR) approvato con la deliberazione n. 37 del 2015, previa intesa con lo Stato, ai sensi degli articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Anche laddove in tali aree fosse assicurato il rispetto delle c.d. prescrizioni d’uso (ossia i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) contenute nel piano, la disciplina derogatoria, sovrapponendosi alla pianificazione urbanistica, impedirebbe comunque di rendere operative le previsioni di indirizzo e di direttiva contenute nel piano paesaggistico, che proprio mediante gli strumenti pianificatori dei comuni devono trovare concreta declinazione e applicazione sul territorio.
Mediante l’estensione della disciplina del c.d. piano casa, la Regione Toscana permette quindi la realizzazione di ulteriori interventi di rilevante impatto sul territorio in deroga al Piano paesaggistico approvato previa intesa con lo Stato.
E ciò, come detto, non solo con riferimento al paesaggio non direttamente vincolato, ma persino in relazione ai beni paesaggistici vincolati.
Vengono, quindi, radicalmente disconosciute la natura e la funzione del Piano paesaggistico, il quale costituisce lo strumento cardine della pianificazione del territorio, cui devono conformarsi gli strumenti di pianificazione urbanistica comunale (art. 145, commi 4 e 5, del Codice di settore), e che è immediatamente cogente e prevalente sulle previsioni dei piani territoriali e urbanistici (art. 143, comma 9, del Codice) e assolutamente inderogabile da parte di qualsivoglia altro atto pianificatorio (cfr. artt. 145, comma 3 del Codice).
Con la novella di cui all’articolo 1 della legge regionale in esame la Regione estende dunque ulteriormente una disciplina derogatoria introdotta per la prima volta nel 2009 e che già consentiva la realizzazione di interventi straordinari di ampliamento di edifici abitativi (art. 3), di interventi sugli edifici a destinazione d’uso industriale o artigianale (art. 3-bis) e di interventi straordinari di demolizione e ricostruzione di edifici abitativi (art. 4). A tali rilevanti categorie di opere si aggiungono ora anche gli interventi su edifici a destinazione commerciale al dettaglio (art. 3-bis, come novellato). E ciò – come detto – anche nelle aree sottoposte a tutela paesaggistica ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
La finalità normativa era originariamente quella di consentire interventi “straordinari”, per un periodo temporalmente limitato, su edifici abitativi, mentre l’estensione anche a edifici a destinazione commerciale, unitamente alle continue proroghe, concorre al risultato di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi assentibili in contrasto con la disciplina urbanistica e paesaggistica, quest’ultima peraltro condivisa tra lo Stato e la Regione con l’approvazione del PPTR, in tal modo determinando una riduzione dei livelli di tutela paesaggistica ivi previsti.
Nello specifico, la previsione censurata pregiudica il ruolo di strumento cardine della disciplina d’uso dei beni paesaggistici assegnato al Piano paesaggistico e, quindi, invade la competenza esclusiva dello Stato sancita dall’articolo 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, parametro rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del medesimo Codice.
Gli interventi consentiti dalla previsione normativa sono infatti collocati al di fuori del necessario quadro di riferimento che dovrebbe essere costituito – laddove incidano su beni soggetti a tutela paesaggistica – dalle previsioni del Piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice di settore. Soltanto a quest’ultimo strumento, elaborato d’intesa tra Stato e Regione, spetta infatti stabilire, per ciascuna area tutelata, le prescrizioni d’uso, nonché individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili, di quelle vietate e le condizioni delle eventuali trasformazioni.
La legge regionale in esame introduce invece una modifica unilaterale della disciplina di tutela prevista dal Piano paesaggistico già approvato, la cui revisione può avvenire esclusivamente mediante una nuova intesa, ai sensi dell’articolo 143, comma 2, del Codice di settore.
Il legislatore nazionale, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia, ha assegnato al Piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono infatti l’inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l’immediata prevalenza del Piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte cost. n. 180 del 2008).
Si tratta di una scelta di principio la cui validità e importanza è già stata affermata più volte dalla Corte costituzionale, in occasione dell’impugnazione di leggi regionali che intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli strumenti di pianificazione dei Comuni e delle Regioni, eludendo la necessaria condivisione delle scelte attraverso uno strumento di pianificazione sovracomunale, definito d’intesa tra lo Stato e la Regione. La Corte costituzionale ha, infatti, da tempo affermato l’esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica “è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale” (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009).
2.La Regione, con l’estensione agli edifici a destinazione commerciale di norme derogatorie e straordinarie, destinate ad applicarsi anche con riferimento ai beni paesaggistici in difformità alle prescrizioni d’uso stabilite dal Piano, nonché agli indirizzi e alle direttive contenute nel Piano stesso, determina surrettiziamente l’effetto di operare una pianificazione ex lege che non tiene conto dei valori paesaggistici, ponendosi al di fuori della necessaria condivisione con lo Stato.
Al riguardo, la Corte ha riconosciuto la prevalenza dell’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, rimarcando che: “Come questa Corte ha avuto modo di affermare anche di recente con la sentenza n. 367 del 2007, sul territorio vengono a gravare più interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; dall’altro, quelli riguardanti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati, in virtù del terzo comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. In definitiva, si «tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti» (così la citata sentenza n. 367 del 2007). Ne consegue, sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di paesaggio, la «separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro», prevalendo, comunque, «l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 182 del 2006). E’ in siffatta più ampia prospettiva che, dunque, si colloca il principio della “gerarchia” degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, espresso dall’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004” (sentenza n. 180 del 2008).
Mediante la legge in esame, la Regione Toscana disconosce invece il ruolo preminente del Piano paesaggistico, dettando norme unilaterali che prevedono la realizzazione di interventi edilizi aggiuntivi persino rispetto all’intesa del 2009 – che peraltro ha ormai definitivamente esaurito la propria finalità – con premialità volumetriche “incentivanti” in deroga agli strumenti urbanistici, nonostante la co-pianificazione costituisca un principio inderogabile posto dal Codice di settore (Corte cost. n. 240 del 2020).
In questa prospettiva, giova rimarcare come la Corte costituzionale abbia da tempo affermato l’illegittimità delle norme regionali che prevedano il rilascio di titoli edilizi in deroga alla pianificazione paesaggistica. Si è, infatti, sottolineato che “Il codice dei beni culturali e del paesaggio definisce (…), con efficacia vincolante anche per le regioni, i rapporti tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio – sia contenute in un atto di pianificazione, sia espresse in atti autorizzativi puntuali, come il permesso di costruire – secondo un modello di prevalenza delle prime, non alterabile ad opera della legislazione regionale” e che “È importante sottolineare che l’eventuale scelta della regione (…) di perseguire gli obiettivi di tutela paesaggistica attraverso lo strumento dei piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici non modifica i termini del rapporto fra tutela paesaggistica e disciplina urbanistica, come descritti, e, più precisamente, non giustifica alcuna deroga al principio secondo il quale, nella disciplina delle trasformazioni del territorio, la tutela del paesaggio assurge a valore prevalente” (Corte cost. n. 11 del 2016).
Questo profilo di illegittimità non viene meno per il fatto che tali interventi siano assentibili previa autorizzazione paesaggistica, peraltro con dequotazione del parere del Soprintendente a mero parere obbligatorio e non vincolante, a seguito dell’approvazione del Piano paesaggistico, in caso di esito positivo della verifica dell’avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici (cfr. art. 146, comma 5, del Codice). E ciò in quanto – fermo restando il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica – a essere compromessa è la necessità imprescindibile di una valutazione complessiva della trasformazione del contesto tutelato, che deve invece avvenire nella sede naturale a ciò deputata, ossia nell’ambito del Piano paesaggistico.
In relazione ai beni paesaggistici, una eventuale disciplina finalizzata alla c.d. rigenerazione urbana, con riferimento agli immobili a destinazione commerciale, avrebbe dovuto quindi essere trasfusa nel Piano paesaggistico regionale, approvato previa intesa con lo Stato, e attuata mediante la pianificazione urbanistica comunale, e non in deroga a quest’ultima. Come già ricordato, è compito infatti del Piano paesaggistico la “individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela” (art. 143, comma 1, lettera g), del Codice). L’art. 143, comma 8, del Codice di settore, prevede inoltre che “Il piano paesaggistico può individuare anche linee-guida prioritarie per progetti di conservazione, recupero, riqualificazione, valorizzazione e gestione di aree regionali, indicandone gli strumenti di attuazione, comprese le misure incentivanti”.
Per questa via, sarebbe stato raggiunto lo scopo – cui è preordinata la pianificazione paesaggistica – di evitare che, in sede di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, le singole trasformazioni vengano valutate in modo parcellizzato, e non nell’ambito della considerazione complessiva del contesto tutelato specificamente demandata al Piano paesaggistico, secondo la scelta operata al riguardo dal legislatore nazionale.
La disposizione regionale censurata è, pertanto, illegittima per violazione della potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. s), Cost., rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
In ordine al principio di inderogabilità delle previsioni del piano paesaggistico, è utile evidenziare un ulteriore punto di criticità nella disposizione in esame. Si è detto che il principio di gerarchia dei piani trova fondamento negli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice, che prevedono che “A far data dall’adozione del piano paesaggistico non sono consentiti, sugli immobili e nelle aree di cui all’articolo 134, interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela previste nel piano stesso. A far data dalla approvazione del piano le relative previsioni e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici” (art. 143, comma 9) e che “Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette” (art. 145, comma 3).
Il comma 4 del richiamato art. 145 a sua volta prevede che “I comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione. I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo.”.
In una Regione in cui sia stato approvato il Piano paesaggistico regionale, dunque, l’eventuale deroga agli strumenti urbanistici confligge apertamente con il principio di inderogabilità dei piani paesaggistici, considerato che gli strumenti urbanistici comunali devono essere conformati o adeguati non solo alle prescrizioni d’uso contenute nel Piano paesaggistico (immediatamente conformative degli usi del territorio), ma anche alle disposizioni di indirizzo e di direttiva contenute nello stesso Piano (che spetta alla pianificazione urbanistica declinare in concreto e attuare).
Come evidenziato dal Giudice amministrativo, “In un certo senso, il rapporto che intercorre tra gli strumenti di pianificazione paesistica e i piani urbanistici, è simile a quello che caratterizza il rapporto tra le competenze statali in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio (ambito "trasversale" riservato alla potestà legislativa esclusiva dello Stato) e quelle delle Regioni nella materia di loro specifica attribuzione” (Cons. Stato, Sez. IV, 8 luglio 2019, n. 4778).
La deroga agli strumenti urbanistici consentita dal c.d. piano casa regionale potrebbe allora tradursi nella violazione della pianificazione paesaggistica, alla quale gli stessi devono conformarsi, con diretta lesione non solo dell’esigenza urbanistica di ordinato sviluppo del territorio, ma anche della tutela del paesaggio, costituente valore primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007).
Consegue da quanto illustrato che, nel sistema ordinamentale, l’approvazione del Piano paesaggistico regionale dovrebbe comportare il naturale esaurimento della disciplina “regionale” del c.d. piano casa (primo o secondo), atteso che – da un lato – con l’emanazione del piano paesaggistico tutte le esigenze di c.d. rigenerazione urbana dovrebbero trovare in quella sede la loro disciplina a regime e che – dall’altro – non è consentito alla Regione disporre, unilateralmente, in quali casi consentire la deroga degli strumenti urbanistici (conformati o da conformare al piano paesaggistico) minando concretamente l’operatività del Piano approvato d’intesa con lo Stato.
Si ribadisce che solo all’interno del Piano paesaggistico possono trovare adeguata disciplina, a regime, gli interventi a cui connettere premialità volumetriche o incentivi, se del caso attivando le procedure per introdurre specifiche normative incentivanti, ove non siano già previste, come disposto dal richiamato art. 143, comma 8.
Sotto altro profilo, deve rilevarsi che la Regione amplia la portata di una disciplina derogatoria introdotta per la prima volta nel 2009 e che consente sin da allora la realizzazione di nuove volumetrie in deroga alla pianificazione urbanistica, estendendone estende di due anni il termine di efficacia.
La finalità normativa era originariamente quella di consentire interventi straordinari, per un periodo temporalmente limitato. Dato, questo, puntualmente evidenziato dalla Corte costituzionale, la quale non ha mancato di rilevare come il c.d. piano casa fosse una “misura straordinaria di rilancio del mercato edilizio predisposta nel 2008 dal legislatore statale, contenuta nell’art. 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133” (Corte cost. n. 70 del 2020; cfr. anche Corte cost. n. 217 del 2020). Non a caso, anche nelle premesse della legge regionale n. 24 del 2009 viene richiamata “l’intesa sottoscritta in data 31 marzo 2009 (…) in sede di conferenza unificata”, relativa proprio alla predetta misura di carattere eccezionale e temporaneo.
Questa originaria finalità appare essere stata snaturata dalla Regione, la quale ha determinato la sostanziale stabilizzazione, per oltre un decennio, delle deroghe consentite dalla legge n. 24 del 2009 e persino l’ampliamento della relativa portata applicativa. Occorre rilevare al riguardo che in molte Regioni, invece, le disposizioni del piano casa hanno cessato ogni efficacia, proprio in virtù della loro natura essenzialmente “temporanea”.
Il risultato è quello di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi consentiti ex lege, al di fuori di qualsivoglia valutazione del singolo contesto territoriale, scardinando così il principio fondamentale in materia di governo del territorio – sotteso all’intero impianto della legge urbanistica n. 1150 del 1942, in particolare a seguito delle modifiche apportatevi dalla legge n. 765 del 1967 – secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica, che esercita una funzione di disciplina degli usi del territorio necessaria e insostituibile, in quanto idonea a fare sintesi dei molteplici interessi, anche di rilievo costituzionale, che afferiscono a ciascun ambito territoriale.
Gli interventi regionali – e da ultimo quello operato dalla legge n. 101 del 2020, che amplia la portata della legge n. 24 del 2009 – hanno quindi l’effetto di estendere una disciplina eccezionale, in quanto volta a consentire la realizzazione di volumi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici. E ciò, per di più, al di fuori del quadro della pianificazione paesaggistica elaborata in conformità al Codice, che dovrebbe costituire la sede necessaria di valutazione del corretto inserimento di tali interventi nei contesti sottoposti a tutela.
Al riguardo, deve tenersi presente che la Corte ha affermato che la compressione di diritti costituzionali, quali l’interesse alla tutela del paesaggio e il principio di copianificazione, può essere giustificata, al più, per ragioni eccezionali e per un limitato arco temporale, qualificandosi conseguentemente come illegittima la proroga reiterata di tale compressione (cfr. Corte cost., sentenza n. 186 del 2013).
3.Sotto altro profilo, deve considerarsi che la legge regionale in esame, a seguito delle modifiche apportatevi da diverse leggi regionali, e in particolare dell’introduzione, a opera della legge regionale n. 40 del 2011, dell’art. 3-bis, costituisce attuazione non solo del c.d. piano casa (frutto dell’intesa tra Stato, regioni ed enti locali del 1° aprile 2009), ma anche dell’articolo 5, comma 9, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70.
Con riferimento a quest’ultima disciplina, la Corte costituzionale ha espressamente affermato la natura di principio fondamentale, inderogabile dalle Regioni, della previsione di cui al comma 11, secondo periodo, del predetto articolo 5 (Corte cost. n. 217 del 2020); previsione la quale fa salvo – tra l’altro – “il rispetto (…) delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”. La predetta clausola va intesa, con ogni evidenza, come volta a fare salvo l’intero sistema della tutela previsto dal Codice. E, come detto, tale sistema richiede necessariamente che le valutazioni sottese al rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche siano basate su un quadro di disciplina stabilito a monte, sulla base di una valutazione dei diversi contesti, e contenuto nel piano paesaggistico elaborato previa intesa con lo Stato (artt. 135 e 143), le cui previsioni non sono derogabili da piani e programmi regionali di qualsivoglia natura (art. 145, comma 3), inclusi, quindi, anche quelli diretti alle finalità di c.d. efficientamento energetico cui si dichiara indirizzata la normativa censurata (cfr. commi 2 e 3 dell’art. 3-bis).
I principi ora illustrati trovano costante affermazione nella giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, anche di recente, ha ribadito che “la circostanza che la Regione sia intervenuta a dettare una deroga ai limiti per la realizzazione di interventi di ampliamento del patrimonio edilizio esistente, sia pure con riguardo alle pertinenze, in deroga agli strumenti urbanistici, senza seguire l’indicata modalità procedurale collaborativa e senza attendere l’adozione congiunta del piano paesaggistico regionale, delinea una lesione della sfera di competenza statale in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», che si impone al legislatore regionale, sia nelle Regioni a statuto speciale (sentenza n. 189 del 2016) che a quelle a statuto ordinario come limite all’esercizio di competenze primarie e concorrenti” (Corte cost. n. 86 del 2019).
Come pure evidenziato dalla Corte, “Quanto detto non vanifica le competenze delle regioni e degli enti locali, «ma è l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale: il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali» (sentenza n. 182 del 2006; la medesima affermazione è presente anche nelle successive sentenze n. 86 del 2019, n. 68 e n. 66 del 2018, n. 64 del 2015 e n. 197 del 2014)” (Corte cost. n. 240 del 2020).
Tali principi valgono viepiù anche ove il Piano paesaggistico sia già stato approvato, e tuttavia la Regione intervenga unilateralmente, menomandone l’effettiva applicazione.
L’abbassamento del livello della tutela del paesaggio, derivante dalla previsione censurata, determina anche la violazione dell’art. 9 della Costituzione, che sancisce la rilevanza della tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007) per violazione dei parametri interposti costituiti dagli articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore.
4. Deve, ancora, osservarsi che la disciplina derogatoria dettata dalla legge n. 24 del 2009 è operante indiscriminatamente non solo con riferimento a tutti i beni paesaggistici, ma anche al paesaggio non vincolato.
Al riguardo, deve tenersi presente che anche tale paesaggio, pur non assoggettato al regime dei vincoli paesaggistici, è stato oggetto di pianificazione da parte della Regione nell’ambito del piano territoriale del 2015, in quanto costituisce comunque oggetto di tutela ai sensi della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta a Firenze del 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14.
La Convezione prevede infatti, all’articolo 1, lett. a), che il termine «paesaggio» “designa una determinata parte di territorio, cosi come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Oggetto della protezione assicurata dalla Convenzione sono, quindi, tutti i paesaggi, e non solo i beni soggetti a vincolo paesaggistico.
Con riferimento ai paesaggi, così definiti, la Convenzione prevede, all’articolo 5, che “Ogni Parte si impegna a:
a) riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità;
b) stabilire e attuare politiche paesaggistiche volte alla salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione dei paesaggi, tramite l’adozione delle misure specifiche di cui al seguente articolo 6;
c) avviare procedure di partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti coinvolti nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche menzionate al precedente capoverso b);
d) integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un’incidenza diretta o indiretta sul paesaggio.”.
In forza del successivo articolo 6, inoltre, l’Italia si è impegnata all’adozione di misure specifiche, tra l’altro, in tema di “Identificazione e valutazione”, da attuare “Mobilitando i soggetti interessati conformemente all’articolo 5.c, e ai fini di una migliore conoscenza dei propri paesaggi, ogni Parte si impegna a:
a) i identificare i propri paesaggi, sull’insieme del proprio territorio;
ii analizzarne le caratteristiche, nonché le dinamiche e le pressioni che li modificano;
iii seguirne le trasformazioni;
b) valutare i paesaggi identificati, tenendo conto dei valori specifici che sono loro attributi dai soggetti e dalle popolazioni interessate; (…)”.
Le misure richieste dalla Convenzione prevedono, inoltre, la fissazione di appositi obiettivi di qualità paesaggistica e l’attivazione degli “strumenti di intervento volti alla salvaguardia, alla gestione e/o alla pianificazione dei paesaggi”.
L’adempimento degli impegni assunti mediante la sottoscrizione della Convenzione richiede che tutto il territorio sia oggetto di pianificazione e di specifica considerazione dei relativi valori paesaggistici, anche per le parti che non siano oggetto di tutela quali beni paesaggistici. Nel sistema ordinamentale, ciò si traduce nei precetti contenuti all’articolo 135 del Codice di settore, il cui testo è stato integralmente riscritto dal decreto legislativo n. 63 del 2008, a seguito del recepimento della Convenzione europea del paesaggio.
In particolare, il comma 1 del predetto articolo 135 stabilisce che “Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: "piani paesaggistici". L’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143.”.
Il medesimo articolo 135 disciplina, poi, la funzione e i contenuti del Piano paesaggistico.
Ne deriva che, anche con riferimento al paesaggio non vincolato, le Regioni sono tenute alla pianificazione paesaggistica, nell’ambito della quale deve trovare spazio – tra l’altro – la “riqualificazione delle aree compromesse o degradate”.
In questa prospettiva, appare confliggente con le disposizioni dell’articolo 135 del Codice di settore, che danno attuazione alla Convenzione europea sul paesaggio, prevedere che interventi di impatto assai rilevante sul territorio, quali quelli previsti dalla legge regionale n. 24 del 2009, avvengano sulla base di una mera previsione di legge e siano affidati nell’an, nel quomodo e nel quando alla libera iniziativa dei privati, invece di essere pianificati specificamente nell’ambito dello strumento apposito previsto dalla medesima disposizione nazionale, e del quale peraltro la Regione Toscana si è dotata sin dal 2015.
Al riguardo, deve tenersi presente che, come sopra detto, nessuna clausola di salvaguardia delle previsioni del Piano paesaggistico è presente nella legge n. 24 del 2009.
Per le ragioni illustrate, emerge la violazione degli artt. 9 e 117, primo comma, della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono norme interposte la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, nonché gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
5. Le disposizioni regionali contrastano anche con i principi di ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione, violando così gli artt. 3 e 97 Cost.
Al riguardo, si evidenzia che la giurisprudenza amministrativa, richiamata anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 217 del 2020, ha statuito la necessità di assoggettare a stretta interpretazione le disposizioni sul “piano casa” (per tutti Tribunale amministrativo regionale della Campania, sentenza 3 agosto 2020, n. 3474, e Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 ottobre 2017, n. 4992, riguardanti specificamente i limiti di densità edilizia di cui all’art. 7 del d.m. n. 1444 del 1968).
Ciò significa che la normativa regionale che apporti continue modifiche in senso ampliativo alla portata delle disposizioni statali sul c.d. piano casa, fino ad arrivare a un regime derogatorio sempre più ampio e stabile nel tempo, si pone in contrasto anche con i principi costituzionali di ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione.
Si ravvisa inoltre un ulteriore profilo di irragionevolezza riferibile al possibile contrasto della normativa regionale, che consente la deroga agli strumenti urbanistici, con il principio di intangibilità dello strumento di pianificazione di vertice nella gerarchia dei piani, ossia il Piano paesaggistico, al quale i piani sottordinati devono necessariamente conformarsi.
La possibile deroga a questi ultimi, che hanno l’obbligo di recepire le prescrizioni inderogabili di Piano e che fanno propri gli indirizzi e le direttive del Piano, potrebbe infatti tradursi nella deroga al Piano paesaggistico, approvato in Toscana d’intesa con lo Stato nel 2015.
Ciò appare in sé contradditorio, e quindi irragionevole, in quanto da una parte la Regione approva il Piano paesaggistico e dall’altra reitera ed anzi amplia la portata di disposizioni eccezionali derogatorie al Piano stesso, al di fuori della necessaria cornice pianificatoria inderogabile e cogente per gli strumenti urbanistici.
Come detto, l’approvazione del Piano paesaggistico segna necessariamente il naturale esaurimento delle normative regionali applicative del c.d. piano casa, con riguardo a tutto il paesaggio regionale, sia esso vincolato o meno. Le finalità di efficientamento energetico perseguite con la normativa regionale, nonché, più in generale, la finalità di favorire la riqualificazione urbana, il recupero, il riuso, il miglioramento del patrimonio edilizio esistente attraverso interventi edilizi di miglioramento dei tessuti urbani, potrebbero quindi trovare adeguato spazio all’interno del Piano paesaggistico, anche, se del caso, in sede di revisione o aggiornamento del Piano stesso.
Più in generale, la previsione a regime di interventi di impatto molto rilevante sul territorio realizzabili in deroga alla pianificazione urbanistica e al Piano paesaggistico e al d.m. m. 1444 del 1968 determina esiti irragionevoli e contrari al buon andamento dell’amministrazione, con conseguente violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.
6. Da ultimo, l’intervento unilaterale della Regione, destinato a trovare applicazione anche in relazione ai beni paesaggistici, oggetto di co-pianificazione in accordo con lo Stato, costituisce una violazione del principio di leale collaborazione, cui devono essere improntati i rapporti tra le Amministrazioni coinvolte nella pianificazione del paesaggio, e in forza del quale è precluso alla Regione esercitare unilateralmente la funzione di disciplina dei beni paesaggistici (Corte cost. n. 240 del 2020). E ciò tanto più a fronte di un accordo già concluso con lo Stato e trasfuso in un apposito piano, che la Regione continua unilateralmente a limitare nella sua concreta operatività.
Per le motivazioni sopra illustrate , l’articolo 1 deve essere impugnato ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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