Dettaglio Legge Regionale

Legge collegata alla manovra di bilancio 2021-2023. (30-12-2020)
Friuli Venezia Giulia
Legge n.25 del 30-12-2020
n.1 del 7-1-2021
Politiche economiche e finanziarie
4-3-2021 / Impugnata
La legge Friuli Venezia Giulia n. 25 del 30/12/2020 recante “Legge collegata alla manovra di bilancio 2021-2023” è censurabile con riferimento alle disposizioni contenute all’articolo 5 per violazione delle regole sulla concorrenza di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione ed all’articolo 11, commi 1, 2 e 3 per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), in materia di ordinamento civile e va impugnata davanti alla Corte Costituzionale per le ragioni che di seguito si illustrano.

L’articolo 5 (Assetto del territorio, edilizia, trasporti e diritto alla mobilità) della legge regionale dispone testualmente:
“1. A causa della situazione emergenziale causata dalla pandemia da COVID-19 e della conseguente grave crisi economica che ha investito il settore degli autoservizi pubblici non di linea, i titolari di autorizzazione per il noleggio con conducente e i titolari di licenza taxi, in via del tutto eccezionale e fino al 31 dicembre 2022, possono cedere l'attività anche senza aver raggiunto i cinque anni dal rilascio dei medesimi titoli, fatti salvi i vincoli eventualmente derivanti da contribuzioni pubbliche”.
Vale premettere, in punto di diritto, che la legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea) prevede, per quanto di interesse:
a) che “l'esercizio del servizio di taxi e l'autorizzazione per l'esercizio del servizio di noleggio con conducente” sia subordinato al rilascio di apposita licenza da parte dell'Amministrazione comunale competente, all'esito di apposita procedura concorsuale (articolo 8, comma 1);
b) che la licenza, una volta conseguita mediante concorso, è soggetta ad un regime di “trasferibilità”, operante “su richiesta del titolare” e a favore di persona da questo “designata”, subordinatamente alla verifica dei relativi presupposti e dei prescritti requisiti (articolo 9, comma 1);
c) che, in tal caso, al titolare che abbia trasferito la licenza, per un verso “non può esserne attribuita altra per concorso pubblico” e, per altro verso, “non può esserne trasferita altra se non dopo cinque anni dal trasferimento della prima” (articolo 9, comma 2).
Il sistema delineato dall’articolo 9, della legge 15 gennaio 1992, n. 21, nel regolamentare la trasferibilità della licenza per l'esercizio del servizio di taxi e dell'autorizzazione per l'esercizio del servizio di noleggio con conducente, risponde all’esigenza di evitare possibili fenomeni speculativi idonei a falsare la concorrenza, “atteso che la licenza conseguita per concorso è di carattere gratuito”.
Così illustrato il contenuto delle disposizioni statali, occorre preliminarmente osservare che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, dopo la riforma del Titolo V, la materia del servizio pubblico di trasporto di linea e non di linea, in quanto non espressamente menzionata, deve considerarsi transitata nella competenza regionale residuale di cui all’articolo 117, quarto comma, Cost. (ex coeteris, sentenza n. 5 del 2019).
Sennonché, la disciplina del trasferimento delle licenze per l'esercizio del servizio di taxi e l'autorizzazione per l'esercizio del servizio di noleggio con conducente, afferisce anche alla materia “trasversale” della tutela della concorrenza, attribuita alla competenza esclusiva dello Stato ex articolo 117, secondo comma, lett. e) Cost.
Con specifico riguardo al regime di trasferibilità della licenza “per l'esercizio del servizio di taxi e l'autorizzazione per l'esercizio del servizio di noleggio con conducente”, il limite temporale minimo di cinque anni richiesto dalla legge statale definisce il punto di equilibrio fra il libero esercizio dell'attività di trasporto e gli interessi pubblici interferenti con tale libertà.
Come recentemente ricordato dal Giudice delle leggi, “Il bilanciamento così operato - fra la libertà di iniziativa economica e gli altri interessi costituzionali -, costituendo espressione della potestà legislativa statale nella materia della "tutela della concorrenza", definisce un assetto degli interessi che il legislatore regionale non è legittimato ad alterare (sentenza n. 80 del 2006)" (sentenza n. 30 del 2016). Tale bilanciamento, nel cui ambito la valutazione degli interessi confliggenti deve essere intesa sempre in senso sistemico, complessivo e non frazionato, può dunque condurre a un esito in forza del quale la tutela della concorrenza "si attua anche attraverso la previsione e la correlata disciplina delle ipotesi in cui viene eccezionalmente consentito di apporre dei limiti all'esigenza di tendenziale massima liberalizzazione delle attività economiche" (sentenza n. 30 del 2016, che richiama la sentenza n. 49 del 2014)” (sentenza n. 56 del 2020).
Una volta qualificata la disciplina statale come espressione della competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza ex articolo 117, secondo comma, lettera e), Cost., risulta di tutta evidenza il vizio di legittimità costituzionale che inficia la disposizione regionale.
Infatti, quest’ultima disposizione, nel prevedere, sia pure in via temporanea, la deroga al limite quinquennale fissato per il trasferimento della licenza, altera il meccanismo diretto a regolamentare l’accesso al mercato, come definito dal legislatore statale all’articolo 9, della legge 15 gennaio 1992, n. 21, e, dunque, le regole della concorrenza nello specifico settore, che anche le Regioni a statuto speciale devono seguire, con conseguente violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), Costituzione.
Né può valere il richiamo della competenza statutaria della Regione sancita dall’articolo 4, primo comma, n. 11, dello Statuto speciale (legge cost. n. 1 del 1963) che attribuisce la potestà legislativa esclusiva alla Regione in materia di “trasporti su funivie e linee automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di interesse regionale” o l’articolo 5, numero 7) potestà legislativa in tema di “disciplina dei servizi pubblici di interesse regionale ed assunzione di tali servizi”, la stessa potestà deve essere esercitata nel rispetto dei consueti limiti costituzionali e dell’ordinamento giuridico della Repubblica, previsti dal medesimo articolo 4 ed “in armonia con i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato nelle singole materie”, come recita lo stesso articolo 5 dello Statuto.
In aggiunta, come osservato in più occasioni dalla Consulta, la nozione di “concorrenza” di cui al secondo comma, lett. e), dell'articolo 117 Cost., non può non riflettere quella operante in ambito europeo.
Essa comprende, pertanto, sia le misure legislative di tutela in senso proprio, intese a contrastare gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati, sia le misure legislative di promozione, volte a eliminare limiti e vincoli alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese (c.d. concorrenza "nel mercato"), ovvero a prefigurare procedure concorsuali di garanzia che assicurino la più ampia apertura del mercato (c.d. concorrenza "per il mercato") a tutti gli operatori economici (ex multis, sentenze n. 56 del 2020, n. 137 del 2018, n. 83 del 2018, n. 291 del 2012, n. 200 del 2012 e n. 45 del 2010).
Infine, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, stante la natura «trasversale» e il carattere «finalistico» della competenza attribuita in materia allo Stato, la tutela della concorrenza assume carattere prevalente e funge da limite alla disciplina che le regioni possono dettare nelle materie di loro competenza, concorrente o residuale (sentenze n. 83 del 2018, n. 165 del 2014, n. 38 del 2013 e n. 299 del 2012), potendo influire su queste ultime fino a incidere sulla totalità degli ambiti materiali entro cui si estendono, sia pure nei limiti strettamente necessari per assicurare gli interessi alla cui garanzia la competenza statale esclusiva è diretta (ex plurimis, sentenze n.56 del 2020, n. 287 del 2016, n. 2 del 2014, n. 291 e n. 18 del 2012, n. 150 del 2011, n. 288 e n. 52 del 2010, n. 452, n. 431, n. 430 e n. 401 del 2007 e n. 80 del 2006).


L’articolo 11 (Patrimonio, demanio, servizi generali e sistemi informativi) della medesima legge regionale recita testualmente:
“1. Attesa l'emergenza epidemiologica da COVID-19, per l'annualità 2021 l'importo annuo del canone dovuto quale corrispettivo dell'utilizzazione di beni demaniali marittimi di competenza regionale e comunale con qualunque finalità non può, comunque, essere inferiore a 361,90 euro.
2. Non è dovuto alcun canone qualora il bene demaniale marittimo statale venga concesso a enti pubblici, anche economici, al fine della realizzazione di un'opera pubblica.
3. Il canone demaniale per le concessioni e le autorizzazioni inerenti all'utilizzo di beni del demanio marittimo e del demanio idrico regionale, relative alla messa in opera e all'utilizzo dei cosiddetti bilancioni (impianti con rete), è determinato con esclusivo riferimento alla superficie sviluppata dalla rete.
4. La durata delle concessioni demaniali marittime in scadenza è prorogata fino al 31 dicembre 2021 al fine di consentire alle Amministrazioni concedenti il perfezionamento dei procedimenti amministrativi di competenza nel rispetto della normativa vigente”.
Per quanto riguarda la disposizione di cui al citato articolo 11, si osserva, preliminarmente, che la Regione Friuli-Venezia Giulia è dotata, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, nn. 2, 3 e 10 del proprio statuto speciale di autonomia (legge cost. n. 1 del 1963), di competenza legislativa primaria in materia di ittica, pesca e turismo.
La menzionata competenza, ai sensi del medesimo articolo 4, deve essere esplicata in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato.
Inoltre, con il decreto del Presidente della Repubblica n. 469/1987 (Norme integrative di attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), sono state delegate all'amministrazione regionale le funzioni amministrative relative alla materia del «demanio marittimo, lacuale e fluviale» ed interessanti il litorale marittimo, le aree demaniali immediatamente prospicienti, le aree del demanio lacuale e fluviale, quando l'utilizzazione prevista abbia finalità turistico-ricreativa.
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia è, quindi, soggetto titolato all'esercizio delle funzioni amministrative trasferite sui predetti beni con finalità turistico-ricreative dal 1º gennaio 1996, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 16, comma 3, decreto-legge n. 535/1996, convertito nella legge n. 647/1996.
Nel riferito contesto normativo si inserisce l’articolo 11 della legge regionale in esame che, ai primi tre commi, reca disposizioni che incidono sulla disciplina del canone demaniale marittimo/idrico, prevedendone un ammontare minimo (comma 1), un’ipotesi di esenzione dal versamento del canone (comma 2) e disciplinandone le modalità di quantificazione riferite ad una determinata categoria di beni (comma 3).
Per quanto riguarda tali norme, si ritiene opportuno ricostruire preliminarmente l’assetto dominicale dei beni appartenenti al demanio marittimo.
I beni demaniali marittimi situati nel territorio della Regione Friuli Venezia Giulia sono di proprietà statale e la Regione autonoma esercita le funzioni delegate dallo Stato per la pertinente gestione, compresa l’attribuzione del canone delle relative concessioni, in forza dell’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 1 aprile 2004, n. 111 , secondo cui sono trasferite alla regione le funzioni amministrative “relative alle concessione dei beni (…) del demanio marittimo” , con precisazione al comma 5 che “i proventi e le spese derivanti dalla gestione del demanio marittimo (…) spettano alla Regione”.
Fanno eccezione i beni demaniali marittimi insistenti nella laguna di Marano-Grado che, in quanto trasferiti alla Regione in virtù dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265, sono divenuti di proprietà pubblica regionale e in relazione ai quali “la regione esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità dei beni trasferiti”.
Tanto premesso, si evidenzia che la Corte Costituzionale ha più volte avuto modo di precisare che la potestà di determinazione dei canoni per l’assegnazione in uso di aree del demanio marittimo segue la titolarità del bene e non quella della gestione (sentenze n. 94 del 2008 e n. 286 del 2004) in quanto costituisce espressione del potere di disporre (nei limiti in cui lo consente la natura demaniale) dei propri beni. In quanto tale, essa precede logicamente la ripartizione delle competenze ed inerisce alla capacità giuridica dell’ente secondo i principi dell’ordinamento civile (in tal senso, cfr. sentenze n. 427 del 2004 e n. 73 del 2018).
In considerazione di quanto sopra esposto, si rileva che per tutti i beni demaniali marittimi insistenti nel territorio della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia spetta allo Stato la competenza esclusiva nella determinazione della misura dei canoni, ossia dei criteri tabellari di riferimento rispetto ai quali l’ente gestore, nell’esercizio delle funzioni amministrative ad esso delegate, dovrà definire l’esatto ammontare parametrato alla tipologia e alla consistenza delle concessioni. Tale competenza, peraltro, comprende necessariamente quella di determinare i casi di eventuale esenzione.
In particolare, per quanto concerne il comma 1, la disciplina statale con il recente d.l. n. 104/2020 ha fissato, a decorrere dal 1° gennaio 2021, l'importo annuo del canone minimo dovuto, quale corrispettivo dell'utilizzazione di aree e pertinenze demaniali marittime con qualunque finalità, in 2.500 euro (comma 4 dell’art. 100).

Alla stregua dei suesposti principi, si ritiene che l’articolo 5 della legge regionale in esame si ponga in contrasto l’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione, poiché interviene nella materia della tutela della concorrenza, riservata alla competenza esclusiva statale, mentre l’articolo 11, commi 1, 2 e 3 della medesima legge regionale violino i principi dell’ordinamento civile sancito all’articolo 117, secondo comma lettera l).

Le predette disposizioni regionali eccedono peraltro dalla competenza statutaria della Regione, in quanto, sebbene l’articolo 4, primo comma, n. 11, dello Statuto speciale (legge cost. n. 1 del 1963) attribuisca una potestà legislativa esclusiva alla Regione nella materia “trasporti su funivie e linee automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di interesse regionale” e l’articolo 5, numero 7) la potestà legislativa in tema di “disciplina dei servizi pubblici di interesse regionale ed assunzione di tali servizi”, la stessa potestà deve essere esercitata nel rispetto dei consueti limiti costituzionali e dell’ordinamento giuridico della Repubblica, previsti dal medesimo articolo 4 ed “in armonia con i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato nelle singole materie”, come recita lo stesso articolo 5 dello Statuto. Tali considerazioni si adducono, altresì, con riferimento alle rimanenti disposizioni censurate, in quanto, nonostante l'articolo 4, comma 1, nn. 2, 3 e 10 del proprio statuto speciale di autonomia, individui la competenza legislativa primaria in materia di ittica, pesca e turismo, ad ogni modo, la stessa deve essere esercitata “in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonché nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni”.

In relazione a quanto precede, si ritiene di dover impugnare la legge in esame ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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