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Con la presente legge la Regione Siciliana detta norme in materia di enti locali.
Tuttavia talune disposizioni eccedono dalla competenza statutaria della Regione Siciliana, pur riconoscendo alla medesima una competenza in materia di “regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative” (art. 14, lett. o); “circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali” (art. 15); “ordinamento degli uffici e degli enti regionali” (art. 14, lett. p.). Esse risultano in contrasto con le disposizioni del decreto legislativo n. 165/2001, che costituiscono per le Regioni a statuto speciale norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica e, in quanto tali, esse si impongono al rispetto del legislatore della Regione autonoma (cfr. sentenze Corte Cost. n. 93/2019; n. 201 e n. 178 del 2018; n. 16/2020), in violazione dell’articolo 117, secondo comma, della costituzione che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento civile.
La presente legge è censurabile per le seguenti motivazioni:
L’articolo 9 reca la riformulazione del testo dell'art. 14 della L.R. n. 7/1992 (Norme per l'elezione con suffragio popolare del Sindaco. Nuove norme per l'elezione dei consigli comunali, per la composizione degli organi collegiali dei comuni, per il funzionamento degli organi provinciali e comunali e per l'introduzione della preferenza unica). La norma in questione riguarda il conferimento di incarichi ad esperti che possono essere disposti dai Sindaci. In particolare vengono modificati il numero massimo degli incarichi in rapporto alle fasce di popolazione comunale ed i titoli richiesti per la nomina. Viene altresì disciplinata la determinazione del compenso da corrispondere agli esperti nominati, prevedendosi anche il conferimento di incarichi a titolo gratuito previa accettazione dell'interessato, stabilendosi un tetto massimo di incarichi individuali (pari a due) nonché l'incompatibilità con altri incarichi di collaborazione esterna e/o consulenza.
Pertanto con il citato articolo 9 si apportano modifiche all'articolo 14 che viene sostituito come di seguito indicato:
"Art. 14. Incarichi ad esperti 1. Il sindaco può conferire incarichi a tempo determinato, rinnovabili, che non costituiscono rapporto di pubblico impiego, ad esperti estranei all'amministrazione. L'oggetto e la finalità dell'incarico devono essere definiti all'atto del conferimento e possono anche riferirsi ad attività di supporto agli uffici in materie di particolare complessità, per le quali l'ente abbia documentabili carenze delle specifiche professionalità. Il sindaco può altresì conferire, in aggiunta agli incarichi ad esperti di cui al presente comma, l'incarico di portavoce previsto dall'articolo 7 della legge 7 giugno 2000, n. 150. Gli incarichi di cui al presente comma non possono essere conferiti dal sindaco negli ultimi sei mesi del mandato. 2. Il numero degli incarichi ad esperti di cui al comma 1 non può essere superiore a: a) due nei comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti; b) tre nei comuni con popolazione superiore a 30.000 e fino a 250.000 abitanti; c) quattro nei comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti. 3. Gli esperti nominati ai sensi del presente articolo devono essere dotati di documentata professionalità. In caso di nomina di soggetto non provvisto di laurea, l'atto di conferimento dell'incarico deve essere ampiamente motivato. 4. Il sindaco annualmente trasmette al consiglio comunale una dettagliata relazione sull'attività svolta dagli esperti da lui nominati. 5. Agli esperti è corrisposto un compenso mensile non superiore allo stipendio tabellare previsto per la qualifica unica dirigenziale dal CCNL del comparto Regioni ed autonomie locali. Sono, altresì, consentiti conferimenti di incarichi a titolo gratuito, nei limiti di cui al comma 2, ove il soggetto individuato accetti espressamente, all'atto del conferimento, la gratuità della prestazione. 6. Ad un medesimo soggetto non possono essere conferiti contemporaneamente più di due incarichi ai sensi del presente articolo. L'incarico di esperto è compatibile con altri incarichi di collaborazione esterna e/o di consulenza, purché gli incarichi non comportino conflitti di interesse. 2. All'articolo 127, comma 1, della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2 e successive modificazioni, il terzo periodo è soppresso”.
Rispetto alla precedente formulazione dell'art. 14 della L.R. 26 agosto 1992, n. 7 , che consentiva al sindaco di conferire “incarichi a tempo determinato che non costituiscono rapporto di pubblico impiego” esclusivamente per l’espletamento di attività connesse con materie di competenza del primo cittadino medesimo, l’art. 9 in esame estende tale possibilità anche alle “attività di supporto agli uffici in materie di particolare complessità, per le quali l'ente abbia documentabili carenze delle specifiche professionalità”.
Si evidenzia che la legittimità della norma regionale in esame va valutata in rapporto alla normativa statale che regola il conferimento di incarichi a soggetti esterni alla pubblica amministrazione. Al riguardo si rammenta che l’art. 7, commi da 5-bis a 6-quater , del decreto legislativo 30 marzo del 2001, n. 165, fermo restando il divieto di stipulare rapporti di lavoro che si concretino in collaborazioni etero-organizzate dal committente, consente di attribuire esclusivamente incarichi individuali di lavoro autonomo al ricorrere delle seguenti condizioni: “a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico; d) devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione”.
Emerge, pertanto, come i presupposti di legittimità appena elencati, richiesti dal legislatore statale, non appaiano invero pienamente rispettati dalla Regione, in primo luogo, laddove si consente il rinnovo degli incarichi di cui si discorre. E difatti, un elemento che connota in senso peculiare le prestazioni di lavoro autonomo presso le pubbliche amministrazioni. È il carattere temporaneo della prestazione medesima che, afferendo a “obiettivi e progetti specifici e determinati”, di per sé non può avere carattere di durata, ciò che ne esclude espressamente il rinnovo e ne ammette la proroga esclusivamente per il completamento del progetto (cfr. art. 7, comma 6, lett. a e c) del Tupi). Diversamente, la prosecuzione dell’incarico, svincolata dal fine suddetto, finirebbe con il configurare un’elusione delle forme ordinarie di accesso all’impiego pubblico.
La Regione intende inoltre conferire gli incarichi in parola “anche per attività di supporto agli uffici in materie di particolare complessità”, finalità questa che crea un contrasto con i requisiti di ammissibilità richiesti dal più volte citato art. 7, che ancora l’oggetto della prestazione ad un progetto specifico e determinato e pone il divieto di ricorrere a contratti di lavoro autonomo per l’espletamento di funzioni ordinarie. Sul punto vale la pena richiamare quanto evidenziato da autorevole dottrina, ovvero che “l’individuazione del presupposto di legittimità ad opera dell’art. 7, comma 6, lett. a) elimina dal campo delle prestazioni di lavoro autonomo legittime tutte quelle che, non avendo ad oggetto un progetto specifico e determinato, si connotano vuoi nei termini di una mera faciendi necessitas, vuoi in un generico facere autonomo, sia esso collegato o meno ad un risultato finale dedotto in obbligazione”.
L’articolo in esame rileva un contrasto anche con la lettera d) dell’art. 7 del Tupi, che richiede, sempre ai fini del legittimo affidamento dell’incarico, la preventiva determinazione del compenso, dell’oggetto e della durata, elementi che la norma regionale non esplicita chiaramente, facendo a ben guardare riferimento soltanto all’oggetto e alla finalità da definire all’atto del conferimento.
Sotto il diverso profilo dei requisiti soggettivi, si ritiene che la possibilità prevista dal legislatore regionale di affidare, in via generalizzata e non meglio circostanziata, incarichi “anche a soggetti non provvisti di laurea”, si pone in contrasto con quanto stabilito dal comma 6 dell’art. 7 più volte citato che, invero, non deroga tout court al requisito della laurea, bensì individua un numerus clausus di casistiche, ovvero quelle elencate nell’ultima parte del medesimo comma 6, connesse allo svolgimento di determinate attività e servizi, al ricorrere delle quali è possibile prescindere dal possesso del titolo universitario e sempre che sia accertata l’esperienza maturata dal settore e sussista, laddove richiesto, il titolo di abilitazione professionale. Pertanto, “al di fuori delle deroghe descritte riprende pienamente vigore il principio della specializzazione universitaria secondo cui, la sola laurea triennale non è sufficiente a integrare il requisito essendo a tal fine necessario il possesso della laurea magistrale o del titolo equivalente” (in questo senso cfr. parere DFP- n. 51 del 14 ottobre 2008 e parere n. 202/4 del 20 gennaio 2011).
Un’ulteriore violazione della normativa statale concerne la mancata previsione, da parte del legislatore regionale, di procedure selettive, quale momento necessario ad appurare la competenza degli incaricati (cfr. Corte dei Conti, Sez. Centr. Contr. Gestione Amministrazioni dello Stato, 16 aprile 2014, n. 8), espressamente disciplinato dal comma 6-bis dell’art. 7, cit. ai sensi del quale “Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”. Al fine di assicurare la piena attuazione del principio di trasparenza, le amministrazioni sono quindi tenute ad adottare specifici regolamenti sulle forme di pubblicità e le procedure comparative a seguito delle quali conferire gli incarichi a soggetti esterni (cfr. circolare Dipartimento della funzione pubblica dell'11 marzo 2008, n. 2). Le ipotesi di affidamento diretto costituiscono pertanto un numerus clausus, non suscettibile di interpretazione estensiva (cfr. comma 6-quater dell’art. 7, d.lgs. N. 165/2001 che esclude l’applicabilità dell’art. 6-bis agli organismi indipendenti di valutazione e circ. DFP n. 2/2008 cit. per altre casistiche “minimali”).
In base al dichiarato disposto di cui al comma 6-ter dell’art. 7 del d.lgs. N. 165/2001, anche i regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali, di cui al comma 6 dell’art. 110 del decreto legislativo del 2000, n. 267, debbono conformarsi ai principi delineati dalla regolamentazione nazionale per il conferimento di incarichi esterni.
Infine, il legislatore regionale dovrebbe altresì tener conto, e recare, pertanto, espresso rinvio della normativa nazionale che vieta di attribuire incarichi di studio e consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza (cfr. art. 5, comma 9, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135), nonché delle disposizioni di cui all’art. 53 del già citato decreto legislativo n. 165/2001 in materia di conferimento di incarichi a soggetti dipendenti pubblici.
Inoltre, si rileva che la facoltà di utilizzare le forme di collaborazione previste dal nuovo articolo 14 della legge regionale n. 7/1992 non può legittimamente essere rivolta all'espletamento di compiti gestionali, come tali sottratti alla competenza funzionale del sindaco e degli altri organi politici (cfr. ex multis Corte dei conti, sez. giur. Per la Regione siciliana, sentenza n. 612/2020). La separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e funzioni di gestione amministrativa costituisce, infatti, un principio di carattere generale, che trova il suo fondamento nell'articolo 97 della Costituzione (cfr. ex multis Corte Costituzionale, sentenza n. 81/2013) al quale le regioni, pur nel rispetto della loro autonomia, non possono sottrarsi.
La giurisprudenza costituzionale, in particolare, si è espressa nel senso che "l'individuazione dell'esatta linea di demarcazione tra gli atti da ricondurre alle funzioni dell'organo politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa spetta al legislatore. A sua volta, tale potere incontra un limite nello stesso articolo 97 della Costituzione: nell'identificare gli atti di indirizzo politico amministrativo e quelli a carattere gestionale, il legislatore non può compiere scelte che, contrastando in modo irragionevole con il principio di separazione tra politica e amministrazione, ledano l'imparzialità della pubblica amministrazione" (sentenza Corte Costituzionale n. 81/2013).
Per i motivi suesposti, si ritiene di sollevare la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale della legge della Regione Siciliana n. 5 del 2021, relativamente all’articolo 9, che modifica l’articolo 14 della legge regionale n.7 del 1992, in quanto, alla luce di quanto sopra rappresentato, stante il contrasto con le disposizioni ordinamentali, poste dal legislatore nazionale, come sopra richiamate (art. 7, commi 6, 6-bis, 6-ter, 6-quater del D.lgs n.165/2001), relative ai presupposti, ai requisiti e alle modalità di conferimento degli incarichi in parola, costituendo norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, ne consegue la violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost., che affida allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento civile, nonché dei principi di buon andamento, imparzialità, trasparenza ed efficienza della pubblica amministrazione desumibili dall’art. 97 Cost.
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