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La legge provinciale n. 12 del 16/11/2007 della Provincia autonoma di Bolzano, pubblicata sul BUR n. 48 del 27/11/2007, recante norme in materia di ordinamento dei servizi pubblici locali, presenta diversi profili di illegittimità costituzionale.
Si premette che le Province autonome, pur avendo una competenza legislativa primaria nella materia "assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione", ex art. 8, comma 2, n. 19, del DPR 670/1972 recante lo Statuto speciale per il Trentino Alto Adige, sono chiamate a disciplinare tale materia nel rispetto dei limiti posti dall'art. 4 del DPR su citato , tra i quali il rispetto del diritto internazionale e del vincolo comunitario. In proposito si segnala che la materia è oggetto di disciplina del diritto comunitario; infatti nonostante il fatto che i contratti di concessione di pubblici servizi, allo stadio attuale del diritto comunitario, siano esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva 92/50, gli enti aggiudicatori che li stipulano sono comunque tenuti a rispettare le norme fondamentali del Trattato, in generale, e il principio di non discriminazione in base alla nazionalità, sancito dall’art. 12 CE; le norme del Trattato più specificamente applicabili alle concessioni di pubblici servizi comprendono in particolare l’art. 43, l’art. 49 e l'art. 86 CE. Tale è stata la posizione assunta dalla Corte di Giustizia nella sentenza c- 458/2003, in cui richiamando la propria giurisprudenza precedente, secondo cui il principio della parità di trattamento degli offerenti ha lo scopo di consentire che tutti gli offerenti dispongano delle stesse possibilità nella formulazione dei termini delle loro offerte, a prescindere dalla loro nazionalità, ha precisato che questo principio deve applicarsi anche alle concessioni di pubblici servizi. In particolare, in tale sentenza la Corte, ribadendo quanto già sostenuto nelle cause C-107/98 e 26/03, ha statuito che la concessione di pubblici servizi in assenza di gara non è conforme con il disposto degli artt. 43 CE e 49 CE, né con i principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza. Al contrario non occorre applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici o di concessioni di pubblici servizi nel caso in cui un’autorità pubblica svolga i compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza far ricorso ad entità esterne.
Sulla base di tali premesse, si ritiene che la legge provinciale in esame contrasti con le su citate disposizioni comunitarie e, pertanto violi l'art. 8, comma 1 dello Statuto speciale e l'art. 117, comma 1, Cost.
In particolare sono censurabili le seguenti disposizioni della legge in esame:
- L'art. 3, comma 3 delinea una definizione del requisito della "rilevanza dell'attività" dell'ente concessionario difforme da quella elaborata dalla Corte di giustizia nella sentenza C-340/04. Infatti, mentre la norma provinciale stabilisce che la rilevanza dell'attività debba essere considerata in base al fatturato ed alle risorse economiche impiegate, il giudice comunitario ha statuito che il requisito della prevalenza debba essere inteso non solo in termini quantitativi, ma anche e soprattutto qualitativi per cui si può ritenere che la società concessionaria svolga una parte rilevante della sua attività con l'ente che la controlla "solo se l'attività di detta impresa è principalmente destinata all'ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale". Una interpretazione del requisito della "rilevanza dell'attività" meno restrittiva rispetto a quella elaborata dalla Corte di Giustizia determina un ampliamento dei casi in cui sia possibile il ricorso all'affidamento diretto a società a capitale interamente pubblico e conseguentemente comporta una effettiva restrizione del regime di concorrenza. Tale disposizione, quindi, contrastando con i principi comunitari in materia di concorrenza (artt. 43, 49, 86 del Trattato CE), viola il combinato disposto degli artt. 8, comma 1 dello statuto e 117, comma 1, Cost.
- L'art. 5, comma 1, prevede che i servizi pubblici di rilevanza economica possono essere affidati direttamente a soggetti privati, purché nei loro confronti uno o più degli enti di cui all’articolo 1, comma 2, della stessa legge esercitino influenza dominante. Il successivo comma 2 indica i requisiti per la sussistenza dell'influenza dominante. Tali disposizioni contrastano con i principi comunitari riferiti all'affidamento dei servizi ai privati ed in particolare con i requisiti elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia nelle sentenze C-107/98 e C-26/03 in quanto consentono l'affidamento diretto a soggetti privati senza specificare se si tratta di società miste o meno e senza che sia stato rispettato il principio di gara per la scelta del socio privato . Infatti, per la normativa comunitaria l'affidamento diretto è consentito qualora ricorrano i seguenti requisiti: a) il capitale della società affidataria sia interamente pubblico; b) l'amministrazione eserciti sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, ossia un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione in modo tale che l'affidatario non possa ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante, ma debba considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministarzione stessa; c) il soggetto affidatario svolga la maggior parte della propria attività in favore dell'ente pubblico di appartenenza. Nella fattispecie esaminata, i requisiti la cui presenza nella giurisprudenza comunitaria sono necessari, non sono invece contemplati. Pertanto, la norma in esame si pone in contrasto con gli artt. 43, 49 e 86 del Trattato CE e conseguentemente viola il vincolo del rispetto del diritto comunitario di cui agli artt. 8, comma 1 dello statuto e 117, comma 1, Cost. Inoltre, tale disposizione può determinare effetti distorsivi sulla libera concorrenza e quindi invade la competenza esclusiva statale in materia di "tutela della concorrenza", ex art. 117, comma 2, lettera e), Cost.
Per tali ragioni si ritiene che la legge in esame debba essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale.
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