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Modifiche di leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni. (10-6-2008)
Bolzano
Legge n.4 del 10-6-2008
n.26 del 24-6-2008
Politiche infrastrutturali
1-8-2008 /
Impugnata
La legge n. 4 del 10/06/2008 della Provincia autonoma di Bolzano, presenta profili di illegittimità costituzionale relativamente ad alcune disposizioni del Capo III concernenti la disciplina dell'energia, dell'ambiente e della tutela del lavoro.
In proposito, si segnala che, nonostante la Provincia, ai sensi dell'art. 8, comma 1, punti nn. 5 e 6 , del D.P.R. 670/1972 recante lo Statuto speciale per il Trentino Alto Adige, abbia una potestà legislativa primaria in materia di "tutela del paesaggio" e "urbanistica" e , ai sensi dell’articolo 9, punto 10, competenza legislativa concorrente in materia di "igiene e sanità", secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale, confermata nella pronuncia n. 378/2007, la potestà di disciplinare l'ambiente nella sua interezza è stata affidata in via esclusiva allo Stato, dall'art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come è noto, parla di "ambiente" (ponendovi accanto la parola "ecosistema") in termini generali e onnicomprensivi. Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come una entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto. Ed è da notare che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente, inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sent. n. 151/1986) ed assoluto (sent. n. 210/ 1987) e deve garantire, come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore. Inoltre, la disciplina unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materie di competenza propria, ed in riferimento ad altri interessi. Ciò comporta che la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l'ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna sua parte, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, come ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza 380/2007. Pertanto, nelle materie oggetto di disciplina della legge in esame il legislatore provinciale, nell'esercizio della propria competenza legislativa, è sottoposto al rispetto degli standards minimi ed uniformi di tutela posti in essere dalla legislazione nazionale, ex art. 117, comma 2, lettera s) Cost., oltre che al rispetto della normativa comunitaria di riferimento secondo quanto disposto dall'art. 8, comma 1 dello statuto speciale e dall'art. 117, comma 1 della Costituzione.
La Corte Costituzionale, ha peraltro di recente ribadito nella pronuncia n. 62/2008 che rientra nell'ambito della "tutela dell’ambiente e dell’ecosistema" il potere dello Stato di determinare principi di tutela uniformi da valere sull’intero territorio nazionale, in particolare, ha precisando che “la competenza legislativa esclusiva in materia di "tutela del paesaggio" e "urbanistica" e la competenza legislativa concorrente in materia di "igiene e sanità" possono costituire un valido fondamento dell’intervento provinciale, ma tali competenze devono essere esercitate nel rispetto dei limiti generali di cui all’art. 4 dello statuto speciale, richiamati dall’art. 5 .......”. .
Sulla base di queste premesse sono censurabili, perché invasive della competenza esclusiva statale di cui all'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione ed in violazione dei vincoli posti al legislatore provinciale dai suindicato artt. 8 e 9 dello Statuto, le seguenti disposizioni della legge in esame:
1) la norma contenuta nell’articolo 14 della legge provinciale in esame, intitolato <>, al comma 2, definisce le acque reflue urbane “il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato”: Tale definizione non rispetta quella di acque reflue urbane recata dall’articolo 74, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n. 152/2006 come modificato dal d.lgs 16 gennaio 2008, n. 4, secondo cui sono acque reflue urbane le “acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato”. Pertanto la Provincia non considera autonomamente la categoria delle “acque reflue domestiche”, come invece fa la normativa statale citata, che a tale classificazione fa corrispondere specifiche discipline. Si rammenta, ad esempio, che se le acque reflue domestiche fossero scaricate in reti fognarie, anche separatamente e provenissero da un agglomerato, non vi sarebbero valori limite per i relativi scarichi, perché l’Allegato 5 al decreto legislativo n. 4/2008 fissa i limiti allo scarico delle acque reflue urbane che, in sede nazionale e comunitaria (Direttiva 91/271/CEE), riguardano sia il miscuglio delle acque reflue domestiche e industriali sia solo le acque reflue domestiche. Diverso è inoltre il regime autorizzatorio ai sensi degli articoli 101, commi 1 e 2 e 124 del d. legs n. 152/2006.
2) la disposizione contenuta nell’articolo 15, introduce alcune modifiche alla legge provinciale 16 marzo 2000, n. 8, recante norme per la tutela della qualità dell’aria.
In particolare tale articolo detta alcune disposizioni in materia di autorizzazione ed esercizio degli impianti che producono emissioni in atmosfera, materia disciplinata a livello statale dalla parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Secondo quanto disposto dall’articolo 15, commi 3 e 4, della legge in esame, recante modifica dell’articolo 5 della legge provinciale 16 marzo 2000, n. 8, il gestore dell’impianto deve presentare all’Agenzia provinciale per l’ambiente, almeno 15 giorni prima della messa in esercizio, la domanda di autorizzazione alle emissioni, indicando la data di entrata in esercizio dell’impianto. La domanda deve essere corredata da una dichiarazione del gestore che attesta la conformità dell’impianto realizzato con il progetto precedentemente approvato ai sensi dell’articolo 4 della citata legge provinciale 8/2000. La presentazione di tale documentazione consente l’entrata in esercizio degli impianti.
Successivamente, l’Agenzia provinciale per l’ambiente, entro 90 giorni dall’entrata in esercizio degli impianti, esegue il collaudo degli stessi e rilascia l’autorizzazione alle emissioni. Tali disposizioni si pongono in contrasto con quanto disposto dalla citata normativa statale di riferimento. L’articolo 269 del decreto legislativo 152/2006, infatti, stabilisce che per tutti gli impianti che producono emissioni deve essere richiesta un’autorizzazione ai sensi della parte quinta dello stesso decreto e l’articolo 279 individua una specifica sanzione per chi inizia a installare o esercisce un impianto o esercita un’attività in assenza della prescritta autorizzazione.
Appare pertanto evidente che, secondo la legislazione statale, l’ottenimento dell’autorizzazione da parte del gestore dell’impianto deve precedere l’avvio dell’installazione dell’impianto, considerato che non si può ritenere un’autorizzazione alle emissioni in atmosfera la preliminare approvazione del progetto di cui all’articolo 4 della legge provinciale 8/2000, in quanto tale approvazione non contiene alcuno degli elementi previsti dall’articolo 269, commi 4 e 5 del decreto legislativo 152/2006.
3) La norma contenuta nell’articolo 15, comma 6, recante modifica dell’articolo 7 della legge provinciale 16 marzo 2000, n. 8., stabilisce che un impianto termico si definisce civile quando la produzione di calore è prevalentemente destinata al riscaldamento di edifici o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari.
La norma statale di riferimento è costituita dall’art.o 283, comma 1, lettera d) del d.lgs.n. 152/2006 che definisce come impianto termico civile “l’impianto termico la cui produzione di calore é destinata, anche in edifici ad uso non residenziale, al riscaldamento o alla climatizzazione di ambienti o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari”. La citata norma statale nella definizione di impianto termico civile non contempla alcun utilizzo del calore prodotto per fini diversi dal riscaldamento e dalla climatizzazione di ambienti o dal riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari, pertanto, nel caso in cui l’energia prodotta non sia esclusivamente destinata a tali fini, ma solo prevalentemente, l’impianto non può essere considerato un impianto termico civile.
Tale difformità, peraltro, porterebbe a sottrarre dal campo di applicazione del titolo I della parte quinta del decreto legislativo 152/2006 un numero elevato di impianti che, se qualificati come termici civili, sarebbero soggetti alla meno cautelativa disciplina del titolo II della suddetta parte. Si ricorda infatti, che l’obbligo della preventiva autorizzazione di cui all’articolo 269 si applica ai soli impianti di cui al titolo I, mentre per gli impianti ricadenti nel campo di applicazione dei titolo II è prevista una mera denuncia di installazione o modifica.
4) la norma di cui all’articolo 16, comma 1 della legge in esame modifica la lettera c) del comma 1 dell’art. 3 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, riscrivendo la definizione di “sottoprodotto”.In particolare, al punto 5, prevede che “la Giunta Provinciale stabilisce i criteri secondo i quali le terre e rocce da scavo sono considerati come sottoprodotti”. Come rilevato la sentenza della Corte costituzionale n. 62/08, tale previsione è illegittima in quanto , “sottraendo alla nozione di rifiuto taluni residui che invece, corrispondono alla definizione sancita dall’art. 1, lettera a), della direttiva 2006/12/CE, si pone in contrasto con la direttiva medesima, la quale funge da norma interposta atta ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all’ordinamento comunitario, in base all’art. 117, primo comma, della Costituzione”.La Corte Costituzionale ha infatti ricordato, nella citata sentenza, che “ la Corte di giustizia ha precisato che la modalità di utilizzo di una sostanza non è determinante per qualificare o meno quest’ultima come rifiuto, poiché la relativa nozione non esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Il sistema di sorveglianza e di gestione istituito dalla direttiva sui rifiuti intende, infatti, riferirsi a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero o di riutilizzo…. La norma provinciale fa sorgere la presunzione che, nelle situazioni da esse previste, le terre e rocce da scavo costituiscano sottoprodotti che presentano per il loro detentore, data la sua volontà di riutilizzarli, un vantaggio o un valore economico anziché un onere di cui egli cercherebbe di disfarsi. Se tale ipotesi in determinati casi può corrispondere alla realtà, non può esistere alcuna presunzione generale in base alla quale un detentore di terre e rocce da scavo tragga dal loro riutilizzo un vantaggio maggiore rispetto a quello derivante dal mero fatto di potersene disfare..”
5) L’art. 16, comma 4 modifica la lettera b) del comma 3 dell’art. 19 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, prevedendo l’esonero dall’obbligo di tenuta del formulario di trasporto dei rifiuti per “i trasporti di rifiuti che non eccedano la quantità di 30 chilogrammi o 30 litri al giorno, effettuati dal produttore di rifiuti stessi non a titolo professionale. In questo caso il gestore dell’impianto di trattamento deve lasciare una conferma scritta, secondo le modalità fissate dalla Giunta provinciale”. Siffatta norma contrasta sia con la normativa nazionale che con quella comunitaria. Infatti, l’art. 193 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, esonera dall’obbligo di tenuta del formulario soltanto “i trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di trenta litri”. Ed ancora l’art. 5, comma 3 della direttiva 12 dicembre 1991, n. 91/689/CEE dispone che “i rifiuti pericolosi, qualora vengano trasferiti, devono essere accompagnati da un formulario di identificazione”. Come già rilevato dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 62/08 “il legislatore statale, invero, ha istituito un regime più rigoroso di controlli sul trasporto dei rifiuti pericolosi, in ragione della loro specificità (artt. 178, comma 1, e 184 del d. lgs. n. 152 del 2006) e in attuazione degli obblighi assunti in ambito comunitario, in base ai quali «per quanto riguarda i rifiuti pericolosi i controlli concernenti la raccolta ed il trasporto [...] riguardano l’origine e la destinazione dei rifiuti» (art. 5, comma 2, della direttiva 91/689/CEE del 12 dicembre 1991, relativa ai rifiuti pericolosi), poiché «una corretta gestione dei rifiuti pericolosi richiede norme supplementari e più severe che tengano conto della natura di questi rifiuti» (quarto considerando della direttiva citata).Il formulario d’identificazione, strumento indicato dall’art. 5, comma 3, della citata direttiva 91/689/CEE, in mancanza del quale la legge statale, ove i rifiuti siano pericolosi, commina sanzioni penali (art. 258, comma 4, del d. lgs. n. 152 del 2006), consente di controllare costantemente il trasporto dei rifiuti, onde evitare che questi siano avviati per destinazioni ignote. La relativa disciplina statale, proponendosi come standard di tutela uniforme in materia ambientale, si impone nell’intero territorio nazionale e non ammette deroghe quali quelle previste dall’art. 19, comma 3, lettera b), della legge provinciale in esame”.
6)L’art. 16, comma 6 integra il contenuto dell’art. 20, comma 2 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, con il seguente terzo comma: “Con riguardo all’obbligo ed alle modalità di iscrizione all’albo nazionale, la Giunta provinciale può emanare disposizioni per regolamentare le procedure e l’obbligo di iscrizione”. Tale previsione si pone in evidente contrasto con l’art. 212 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 che disciplina analiticamente ed in maniera inderogabile le procedure, i termini e le procedure di iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali. Ancora una volta si deve rilevare che siffatto vizio della norma provinciale era stato già censurato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 62/08: “l’iscrizione all’Albo è posta dal legislatore statale in correlazione con l’esigenza di dare attuazione a direttive comunitarie (art.12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2006/12/CE del 5 aprile 2006, relativa ai rifiuti, e, prima, art. 12 della direttiva del Consiglio 75/442/CEE del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti; Corte di giustizia, sentenza 9 giugno 2005, in causa C- 270/03, Commissione c. Repubblica italiana). ....L’adozione di norme e condizioni per l’esonero dall’iscrizione ovvero per l’applicazione in proposito di procedure semplificate attiene necessariamente alla competenza statale, nell’osservanza della pertinente normativa comunitaria”.
7)L’art. 16, comma 7 sostituisce l’art. 24 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, il cui comma 6 dispone testualmente che “Per lo svolgimento delle singole campagne di attività sul territorio provinciale l'interessato, munito di autorizzazione, rilasciata anche da altre regioni, almeno 15 giorni prima dell'installazione dell'impianto deve comunicare all'Agenzia provinciale le specifiche dettagliate relative alla campagna di attività, allegando l’autorizzazione stessa e l'iscrizione all’Albo nazionale di cui all'articolo 212 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonché l’ulteriore documentazione richiesta al fine di documentare il rispetto delle norme ambientali. Decorso questo termine ovvero in presenza del nulla osta dell’Agenzia provinciale l’attività può essere iniziata.” La norma non innova sostanzialmente rispetto a quella previgente ma deve essere censurata laddove, in contrasto con l’art. 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, prevede, invece di 60, 15 giorni per la comunicazione all’Agenzia provinciale dell’installazione dell’impianto. Ebbene, poiché se la Amministrazione competente non solleva formalmente rilievi è consentito l’avvio della attività, la rilevante diminuzione del termine previsto a livello nazionale limita in modo sostanziale la possibilità per l’Amministrazione stessa di effettuare un adeguato controllo ed una efficace istruttoria, svilendo così le garanzie di tutela ambientale.
Sulla base di quanto esposto, la normativa provinciale in questione, dettando disposizioni confliggenti con la normativa nazionale vigente, espressione della potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art.117, comma 2, lett. s) della Costituzione, nonché con disposizioni di derivazione comunitaria, in violazione dell’articolo 117, comma 1 Cost., eccede dalle competenze provinciali di cui agli articoli 8 e 9 dello Statuto speciale di autonomia.
Si aggiunge infine che le norme contenute nell'articolo 14, commi 1 e 5, sostituendo il testo in lingua tedesca delle lettere j) e aa) del comma 1 dell’articolo 2 della legge provinciale 18 giugno 2002, n. 8, e non riportando la formulazione delle stesse in lingua italiana violano l'articolo 99 dello Statuto Speciale di Autonomia (D.P.R. n.670/1972) secondo cui la lingua italiana è la lingua ufficiale dello Stato e fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali è prevista la redazione bilingue.
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