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La legge della Regione Puglia in esame, recante: “Disposizioni regionali urgenti” presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale:
1)L’art. 8, che impone l’obbligo alle aziende produttive, ai grossisti e ai farmacisti di non modificare la quota di rispettiva spettanza sul prezzo dei farmaci di fascia a) (ovvero i farmaci essenziali o per malattie croniche), prevedendo inoltre che la violazione di tale obbligo comporti l’applicazione degli artt. 171 e 172 del R.D. n. 1265 del 1934 che stabiliscono sanzioni penali e amministrative per il “farmacista che riceve per sé o per altri denaro o altra utilità ovvero ne accetti la promessa allo scopo di agevolare in qualsiasi modo la diffusione di specialità medicinali a danno di altri prodotti o specialità”, eccede dalla competenza legislativa concorrente attribuita alla Regione in materia di “tutela della salute” dall’art. 117, terzo comma, Cost., e dalla competenza legislativa residuale da essa riconosciuta in materia di “commercio” dall’art. 117, quarto comma, Cost., e incide nelle materie riguardanti l’ “ordinamento civile e penale” e la “tutela della concorrenza” riservate alla competenza legislativa statale dall’art. 117, lett. l) ed e), Cost.
Infatti l’art. 1, comma 40, della legge n. 662 del 1996 (recante “misure di razionalizzazione della finanza pubblica”), che prevede in favore dei produttori, grossisti e farmacisti le quote di spettanza sul prezzo di vendita dei farmaci di fascia a), non contiene alcun divieto di modificare tali quote. Inoltre dalla disciplina della commercializzazione dei farmaci di fascia a) (i medicinali di cui alla lett. a) dell’art. 8, comma 10, della l. n. 537 del 1993) emerge che l’immodificabilità delle quote di spettanza sul prezzo dei farmaci non soddisfa l’interesse della tutela della salute pubblica ed anzi che la modificabilità non contrasta con i divieti degli artt. 171 e 172 del R.D. n. 1265 del 1934.
Infatti, la fornitura dei farmaci di fascia a), ovvero i “farmaci essenziali e per malattie croniche”, che sono a carico del Servizio sanitario nazionale, avviene esclusivamente su presentazione da parte dell’assistito di ricetta del medico curante (cfr. art. 28 l. n. 833 del 1978, art. 3 d.P.R. n. 371 del 1978, artt. 87 e 88 del d. lgs. n. 219 del 2006).).
Il farmacista non ha quindi il potere di discostarsi dalle prescrizioni della ricetta medica e non può quindi trovarsi in situazione di conflitto di interessi qualora dalla vendita di alcuni medicinali riceva una maggiore quota in conseguenza della riduzione di quella del produttore o del grossista.
L’immodificabilità della quota di spettanza sul prezzo dei farmaci di fascia a), non prevista dalla legge ordinaria, non soddisfa dunque ragioni di tutela della salute e non rientra pertanto nell’ambito della legislazione concorrente della Regione.
L’art. 8 incide invece sull’autonomia contrattuale dei privati e quindi nelle materie riguardanti “l’ordinamento civile” e la “tutela della concorrenza” riservate alla competenza legislativa statale dell’art. 117 lett. l) ed e) Cost.
Incide, infatti, sull'autonomia contrattuale delle parti nella determinazione di accordi sulla distribuzione di farmaci introducendo un principio di immodificabilità contrario alla libera determinazione del contenuto dei contratti sancito dall’art. 1322 c.c. al quale è riconosciuta dignità costituzionale dagli art. 2 e 41 Cost. Determina inoltre un'ingiustificata distorsione della concorrenza tra gli operatori pugliesi, i cui accordi incorrerebbero nei divieti imposti dalla legge regionale, e quelli delle altre regioni, le cui intese sono consentite in base alla legge nazionale. Senza contare che si verificherebbe un'irragionevole disparità di trattamento a danno delle imprese pugliesi e contrasto con i principi di libera iniziativa economica delle imprese operanti nella “filiera” della produzione e distribuzione dei farmaci.
Infine l’art. 8, individuando sanzioni (quelle degli artt. 170 e 172 del R.D. n. 1265/1934) che non sono previste per la modifica delle quote di spettanza, fornisce un’interpretazione errata (non spettando alla Regione dare interpretazioni autentiche di leggi ordinarie) e incostituzionale della legge statale e configura una nuova fattispecie di illecito penale incidendo sulla competenza esclusiva riservata allo Stato in materia di “ordinamento penale” dall’art. 117, secondo comma, lett. l).
2)L’art. 14 della legge regionale in esame, secondo il quale nei comuni della Puglia con popolazione fino a 12.500 abitanti il numero delle autorizzazioni per l’istituzione di farmacie è stabilito in modo che vi sia una farmacia ogni 3.500 abitanti, eccede dalle competenze legislative attribuite alla Regione dall’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di tutela della salute.
Infatti, come più volte affermato dalla Corte Costituzionale (sent. nn. 87 del 2006 e 61 del 1968), la “materia” della organizzazione del servizio farmaceutico va ricondotta al titolo di competenza concorrente della tutela della salute, nel cui ambito le regioni possono legiferare nel rispetto dei principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato.
Tra tali principi fondamentali è senz’altro da ricomprendersi il criterio fissato dal legislatore nazionale per la pianificazione territoriale dell’assistenza farmaceutica. Infatti, al fine di assicurare l’omogenea distribuzione delle farmacie su tutto il territorio nazionale, la dislocazione territoriale degli esercizi farmaceutici viene effettuata, in base all’art. 1 della l. n. 475 del 1968 e dell’art. 104 del R.D. n. 1265 del 1934, tenendo conto del criterio numerico della popolazione da una parte, e di quello della distanza rispetto agli altri esercizi farmaceutici, dall’altra.
L’articolo 14 in oggetto altera tali criteri, prevedendo un rapporto farmacie/abitanti diverso da quello stabilito dalla legislazione statale: contrasta infatti con l’ art. 1 della l. n. 475 del 1968, secondo il quale nei comuni con popolazione fino a 12.500 abitanti il numero delle autorizzazioni è stabilito in modo che vi sia una farmacia ogni 5.000 abitanti, e non tiene alcun conto della distanza di almeno 3.000 metri tra i vari esercizi farmaceutici imposta dall’art. 104 del R.D. n. 1265 del 1934.
Del resto il fatto che la proporzione tra il numero delle farmacie e il numero degli abitanti costituisca principio fondamentale, o meglio, come afferma la Consulta, “indirizzo generale”, della materia, riservato al legislatore statale, è stato in più occasioni affermato dalla Corte Costituzionale, che ha costantemente ritenuto che l’ubicazione del servizio farmaceutico deve rispondere a criteri univoci da applicare in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, a salvaguardia della uniformità giuridica di un assetto organizzativo dal quale discendono immediate conseguenze per la salute pubblica e per la tutela della libertà di accesso alla professione di farmacista (in tal senso le sentenze nn. 579/1987, 177/1988, 446/1988, 4/1996, 27/2003, 275/2003, 76/2008). In particolare con la sentenza n. 27 del 2003 la Consulta ha sottolineato che “le finalità concrete che la legge vuole raggiungere con il contingentamento delle farmacie (assicurare ai cittadini la continuità territoriale e temporale del servizio ed agli esercenti un determinato bacino di utenza) vanno nello stesso senso di quelle che si vogliono conseguire con la limitazione dei turni e degli orari, in quanto, come è stato più volte osservato, l’accentuazione di una forma di concorrenza tra le farmacie basata sul prolungamento degli orari di chiusura potrebbe contribuire alla scomparsa degli esercizi minori e così alterare quella che viene chiamata la rete capillare delle farmacie. Esiste in altri termini, nella non irragionevole valutazione del legislatore, un nesso tra il contingentamento delle farmacie e la limitazione degli orari delle stesse, concorrendo entrambi gli strumenti alla migliore realizzazione del servizio pubblico considerato nel suo complesso”. Tali concetti sono ulteriormente precisati con la sentenza n. 76 del 2008, per la quale: “Questa Corte ha già avuto modo di affermare che il contingentamento delle farmacie è volto ad assicurare ai cittadini la continuità territoriale e temporale del servizio ed agli esercenti un determinato bacino di utenza. La sintesi tra siffatte esigenze è affidata alle scelte non irragionevoli del legislatore, in modo che siano garantiti sia un adeguato ambito di operatività alle farmacie in attività sia la piena efficienza a favore degli utenti del servizio farmaceutico; il diritto alla salute, costituzionalmente riconosciuto dall’art. 32 della Costituzione, non comporta l’obbligo per il legislatore di rimuovere qualsivoglia condizione obiettiva all’istituzione di farmacie e, anzi, al contrario, ne legittima la programmazione allo scopo di garantire la più ampia e razionale copertura di tutto il territorio nell’interesse della salute dei cittadini”.
3) L'art. 17, nel prevedere che i direttori generali, amministrativi e sanitari, delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere nonché degli IRCCS che abbiano compiuto il sessantacinquesimo anno di età nel corso del loro mandato, restano in carica fino alla naturale scadenza dell’incarico ricevuto, eccede dalla competenza concorrente in materia di “tutela della salute” attribuita alla Regione dall’at. 117, terzo comma, Cost. e contrasta con il principio fondamentale contenuto nell’art. 3, comma 7, D.Lgs. 30.12.1992 n. 502 e nell’art. 11, comma 3, D. Lgs. 16.10.2003 n. 288, secondo il quale le funzioni di direttore sanitario e di direttore amministrativo cessano al compimento del sessantacinquesimo anno di età.
Per i motivi sopra esposti si ritiene che le disposizioni regionali in oggetto debbano essere impugnate ai sensi dell’art. 127 Cost.
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