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Con delibera del Consiglio dei Ministri dell'11 settembre 2009 è stata impugnata la legge della Regione Umbria n.8 del 10 luglio 2008 concernente: "Norme per i centri storici. "
I motivi dell'impugnazione poggiavano sulla circostanza che le disposizioni regionali, nel perseguire la valorizzazione dei centri storici in una prospettiva tutta interna al governo del territorio, prescindendo dall'esplicito richiamo e riferimento alla normativa statale in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale (il Codice dei Beni culturali,D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) , sono apparse in contrasto – oltre che con l’art. 9 – con l’articolo 117, commi 2, lettera s) della Costituzione.
Altre disposizioni regionali, prevedendo forme di perequazione urbanistica generalizzate non richiamando il rispetto delle distanze minime tra gli edifici , sono sembrate incidere sul contenuto del diritto di proprietà e sul regime della pubblicità dei trasferimenti immobiliari, in assenza dei principi generali nella materia ordinamento civile di cui all’art. 117, comma 2, lett. l), Costituzione.
Un più approfondito esame delle questioni può far venir meno le motivazioni oggetto del ricorso avanti la Corte Costituzionale.
Infatti, per quanto riguarda l'aspetto concernente la pretesa violazione della competenza statale in materia di beni culturali, occorre considerare che, per costante giurisprudenza Costituzionale la tutela dei beni culturali, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, ha un proprio ambito materiale, ma nel contempo contiene l’indicazione di una finalità da perseguire in ogni campo in cui possano venire in rilievo beni culturali.Alle Regioni va riconosciuta la possibilità di assicurare forme di valorizzazione di beni, sia che essi siano sottoposti a forme di tutela statali, sia qualora la disciplina di salvaguardia posta in essere riguardi beni non tutelati dallo Stato (cfr. sent. n. 94/2004 sui locali storici del Lazio , sent. n. 232/2005, sulle ville venete, n. 288/2005 in materia si tratturi della Puglia).
Sulla base di tali argomentazioni, inoltre, il Governo, nella seduta nel Consiglio dei Ministri del 17 settembre 2008, ha ritenuto di non impugnare una legge della regione Puglia dagli analoghi contenuti.
Per quanto riguarda le censure relative agli aspetti urbanistici, per le parti in cui la norma regionale non richiama espressamente la normativa statale concernente i limiti di distanza tra i fabbricati, questa deve comunque ritenersi applicabile.Infatti La Corte costituzionale ha affermato (sent. n. 232/2005), il principio secondo il quale, " tra diverse, possibili interpretazioni è necessario scegliere quella che non dà luogo a contrasti con principi costituzionali”. Inoltre , riguardo all'introduzione dell'istituto della perequazione urbanistica, esso è già presente in numerose leggi regionali .
Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, ricorrono i presupposti per rinunciare al ricorso.
11-9-2008 /
Impugnata
La legge regionale presenta aspetti di illegittimità costituzionale relativamente a numerose disposizioni.
A .Si premette che la valorizzazione (e prima ancora, sia pure nominalmente, la tutela, cui la legge dedica accenni) dei centri storici viene perseguita dalla legge regionale in una prospettiva tutta interna al governo del territorio, prescindendo dalla considerazione dell’esistenza di una normativa statale in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale (il Codice dei Beni culturali,D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) che disciplina obbiettivi, strumenti e moduli procedimentali di esercizio delle relative attività amministrative.
Occorre al riguardo sottolineare che, dal punto di vista delle qualificazioni giuridiche, i centri storici sono, prima di tutto, un’importantissima componente del patrimonio culturale, quale luogo privilegiato di ubicazione dei beni culturali, individuati con provvedimenti statali (mediante le dichiarazioni di interesse storico-artistico, archeologico, storico-relazionale e, per i beni di appartenenza pubblica, mediante le corrispondenti verifiche dell’interesse culturale) e disciplinati dalle disposizioni della Parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio. I centri storici sono quindi da considerarsi alla stregua di “beni culturali complessi”, tutelabili nell’insieme a prescindere dalla qualificazione dei singoli immobili rinvenibili al loro interno, inoltre, di regola, essi stessi, nel loro insieme, sono beni paesaggistici, ai sensi delle disposizioni della Parte III del predetto Codice, il quale ribadisce che , nell’ambito della tipologia dei beni paesaggistici costituita da “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale” devono intendersi “inclusi i centri e i nuclei storici” (articolo 136, lettera c). In particolare, tutti i centri storici più significativi della Regione Umbria sono sottoposti a vincoli paesaggistici.
La disciplina della tutela dei beni culturali e dei beni paesaggistici, rinvenibile nel Codice, è espressione della potestà legislativa esclusiva, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, Cost.
Il Codice (articoli 138-141-bis e 143) stabilisce che i vincoli paesaggistici (quelli nuovi, ma anche quelli esistenti) vengano corredati dalle “prescrizioni d’uso” dei beni vincolati, in particolare, prevedendo (articolo 143) che i piani paesaggistici regionali definiscano apposite prescrizioni e previsioni preordinate alla conservazione degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni, alla riqualificazione delle aree compromesse o degradate, all’individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, la ricognizione degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico, la loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea all’identificazione, l’individuazione di specifiche prescrizioni d’uso nonché i casi nei quali la realizzazione degli interventi effettivamente volti al recupero e alla riqualificazione non richiede l’autorizzazione di cui all’art.146 del predetto Codice.
E i piani paesaggistici (insieme ai vincoli provvedimentali che i piani sono tenuti a recepire ed a coordinare) prevalgono sugli strumenti urbanistici generali ed in generale su qualsiasi previsione in materia di governo del territorio, come viene espressamente sancito – in coerenza con l’orientamento ormai pacifico della Corte Costituzionale - dall’articolo 145 del Codice.
Sulla base di tali premesse la legge regionale in esame risulta censurabile relativamente alle seguenti nome :
1) le disposizioni contenute nell'art. 2, comma 1, lettere a) e c), definiscono i "centri storici e il "quadro strategico di valorizzazione" stabilendo, rispettivamente, che gli insediamenti vengano individuati dai comuni e che il programma di valorizzazione delinea le politiche comunali da attuarsi.
2) la norma di cui all'art 3, comma 1, lettera d), indica come obiettivo regionale la valorizzazione e la tutela degli edifici di particolare pregio ed interesse storico, architettonico e monumentale.
3) la previsione contenuta nell'art. 4, comma 3, demanda al Comune ogni competenza in merito all’individuazione e regolamentazione dei centri storici, mediante la redazione di un “quadro strategico di azione” compilato secondo le linee guida approvate dalla Giunta regionale.
4) le disposizioni di cui all'art. 6, comma 1, lettere a) e b),prevedono ipotesi di interventi ad attuazione diretta per ristrutturazione edilizia e cambiamenti d’uso,
Tali disposizioni prescindono dalla disciplina del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Infatti l'imposizione e la gestione dei vincoli culturali e paesaggistici, come sopra evidenziato, rientrano per intero nelle competenze del Ministero per i beni e le attività culturali. L’imposizione dei vincoli paesaggistici e la loro integrazione con le prescrizioni d’uso, competono in forma disgiunta e parallela alla Regione ed al Ministero (articoli 140, 141 e 141-bis del Codice).L’elaborazione dei piani paesaggistici è demandata alla competenza congiunta dei due livelli istituzionali (articolo 143).
La stessa gestione dei vincoli, attraverso il procedimento autorizzatorio dei singoli progetti, vede la competenza delle Regioni, con subdelega agli enti locali, ma con la partecipazione endoprocedimentale della Soprintendenza statale (la quale, attraverso l’espressione di un parere vincolante, assume un ruolo preponderante fino al momento in cui i vincoli non siano stati corredati delle prescrizioni d’uso dei beni – articolo 146 del Codice).
Ciò fa sì che non si possano pianificare o incentivare interventi di riqualificazione o trasformazione dei centri storici, se non intervenendo anzitutto nelle sedi di esercizio dei poteri di tutela, indicate dal Codice: provvedimenti dichiarativi, piani paesaggistici, piani urbanistici comunali nella parte in cui recepiscono e dettagliano su scala di progetto le previsioni dei primi.
Vale a dire, in sedi decisionali, statali o regionali, distinte da quelle comunali in cui vengono decise le politiche di governo del territorio (urbanistica), e comunque attraverso elaborazioni e valutazioni di interessi specifiche ed autonome rispetto ad esse.
Nella legge regionale non vengono previsti raccordi con l’elaborazione e l’integrazione dei vincoli provvedimentali e dei piani paesaggistici e con i conseguenti procedimenti autorizzatori, né con i procedimenti autorizzatori che discendono dai vincoli storico-artistici.
La legge non presuppone né richiama l’esito delle valutazioni compiute ai fini di tutela ai sensi del Codice. Non prevede in alcun caso l’intervento delle Soprintendenze e non contiene riferimenti al necessario rapporto di leale collaborazione tra Stato e Regioni che la materia impone.
Il fatto che nella legge non prenda espressamente e concretamente in considerazione l’obbligo di tutela dei centri storici come beni culturali e beni paesaggistici (obbligo che, in base all’art. 9 Cost., cui danno oggi specifica attuazione gli articoli 1-5 del Codice, grava anche sulle regioni), ma si limiti a disciplinarne la valorizzazione, in una prospettiva esclusivamente interna alle tematiche del governo del territorio e dello sviluppo locale, la pone in contrasto – oltre che con l’art. 9 – con l’articolo 117, commi 2, lettera s) e 3, Cost.
Infatti, va ribadito che la tutela dei beni culturali rientra nella potestà esclusiva dello Stato, e la valorizzazione può essere disciplinata dalle regioni nel rispetto dei principi fondamentali della legge statale, tra i quali assumono rilievo la prevalenza logico-giuridica delle attività di tutela (articolo 6, comma 2, del Codice: “La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze”), ed il metodo della cooperazione nell’esercizio delle funzioni e dei compiti in materia di valorizzazione (articolo 7, comma 2: “Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento, l’armonizzazione e l’integrazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici”). Una disciplina della valorizzazione che si sviluppi autonomamente, prescindendo dai necessari raccordi con la disciplina della tutela, elude e rende impossibile la realizzazione di detti principi.
Anche qualora si ritenesse che la Regione Umbria ha inteso disciplinare i centri storici come meri “beni a rilevanza culturale” e, secondo le indicazioni contenute nelle sentenze della Corte Costituzionale n. 94/2003 e n. 232/2005, abbia dettato una disciplina “leggera” ed aggiuntiva di quella statale di tutela, la carenza di qualsiasi previsione di raccordo con le sedi della tutela dei centri storici resta comunque censurabile, in quanto determina una sistematica duplicazione dei procedimenti amministrativi: quelli previsti dalla legge regionale, ai fini della selezione ed incentivazione degli interventi, si sovrappongono a quelli già disciplinati dal Codice, senza avere la forza di modificarli, così originando incertezza negli amministratori e negli utenti, aggravi procedimentali e spreco di risorse pubbliche.
B. Risultano altresì censurabili, perché in contrasto con la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, di cui all'articolo 117, comma 2, lettera l), nonché con i principi fondamentali in materia di governo del territorio, quindi in violazione dell'articolo 117, comma 3 della Costituzione,le seguenti norme :
1) L' articolo 8, e collegati articoli 9 e 10, disciplina gli "interventi premiali", prevedendo che i proprietari degli edifici o isolati possono beneficiare di quantità edificatorie premiali in alcuni interventi di restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia ed urbanistica. Il comma terzo dell’art. 8 definisce la quantità premiale come fattispecie “…costituita da diritti edificatori espressi in superficie utile coperta…”. Tali disposizioni, prevedendo un forma di perequazione generalizzata, incide sul contenuto del diritto di proprietà e sul regime della pubblicità dei trasferimenti immobiliari, in assenza dei principi generali nella materia i quali non possono che essere contenuti nella legge statale in virtù della riserva di legge prevista dall’art. 42, comma 2, Cost. (in ordine alla determinazione dei modi di acquisto e godimento della proprietà) e della competenza esclusiva attribuita allo Stato in materia di ordinamento civile dall’art. 117, comma 2, lett. l), Costituzione;
2) le disposizioni contenute negli articoli 10, comma 2, e 11, comma 2, non prevedono , rispettivamente, che l’utilizzo della prevista quantità premiale debba avvenire nel rispetto anche delle distanze minime di cui al DM 1444 del 1968 e non impone il rispetto di tali limiti per la ricostruzione di edifici demoliti. In proposito si richiama la Sentenza della Corte Costituzionale n. 232 del 2005, nella quale il Giudice delle Leggi ha avuto modo di precisare che la disciplina delle distanze fra costruzioni rientra nella materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, che pertanto non può essere derogata dal legislatore regionale.
Si propone quindi l'impugnazione della legge regionale ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.
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