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La legge regionale in esame, recante norme in materia sanitaria, presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale:
1) L’art. 1, comma 1, che integra le previsioni di cui all’art. 3, comma 40, della legge regionale n. 40 del 2007, prevede che il personale medico, assunto a tempo determinato, che svolge servizio presso le unità operative di medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza delle aziende sanitarie, possa accedere alle procedure di stabilizzazione (se in possesso di determinati requisiti) senza l’utilizzazione delle procedure selettive previste dal D.P.R. n. 483 del 1997 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del servizio sanitario nazionale).
Tale norma eccede dalle competenze regionali sotto vari profili.
- Essa si pone innanzitutto in contrasto con il comma 94 dell’art. 3, della legge n. 244/2007 (l. finanziaria 2008) che esclude l’applicabilità delle procedure di stabilizzazione per il personale dirigente. Costituendo la citata normativa statale disposizione di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica, la disposizione regionale in esame risulta pertanto in violazione dell’art. 117, comma 3, Cost.
- Inoltre tale stabilizzazione, effettuata per esplicita ammissione del legislatore regionale, “in deroga a quanto previsto dal D.P.R. 483/97”, ossia in assenza di procedure di selezione, contrasta con la necessità che alla dirigenza sanitaria si acceda per concorso pubblico per titoli ed esami, stabilita dall’art. 15 del d.lgs. 502/1992, che costituisce normativa di principio in materia di tutela della salute (ai fini dell’art . 117, comma 3, Cost.) secondo quanto può evincersi anche dall’art. 19, comma 1, della stessa legge, che la qualifica espressamente come tale.
- Essa viola altresì i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost. In particolare, con specifico riferimento al principio del pubblico concorso, la Corte Costituzionale ha recentemente ribadito (sent. n. 81/2006) che “il principio del pubblico concorso costituisce la regola per l'accesso all'impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, da rispettare allo scopo di assicurare la loro imparzialità ed efficienza. Tale principio si è consolidato nel senso che le eventuali deroghe possano essere giustificate solo da peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico” (si vedano in argomento anche le sentenze n. 159 del 2005, n. 205 e n. 34 del 2004). Nella medesima pronuncia la Corte ha altresì escluso che tali peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico possano essere ravvisate nella personale aspettativa degli aspiranti, pur già legati da rapporto d’impiego con la Pubblica Amministrazione.
2) L’art. 3, escludendo dal regime dell’autorizzazione, previsto dall’art. 5 della legge regionale n. 8 del 2004, tutti gli studi medici privati e gli studi odontoiatrici non aperti al pubblico, eccede dalla competenza regionale concorrente attribuita alla Regione in materia di tutela della salute dall’art. 117, terzo comma, Cost., e incide altresì sui principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 41 Cost.
Tale disposizione si pone in particolare in contrasto con il principio fondamentale in materia di tutela della salute espresso dagli articoli 8, comma 4, e 8-ter del d. lgs. n. 502/92, secondo i quali tutti gli studi medici e odontoiatrici, per la peculiarità dell’attività posta in essere, devono essere assoggettati ad un provvedimento autorizzatorio previa verifica del possesso dei requisiti fissati con il D.P.R. 14 gennaio 1997, che è stato emanato d’intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni, e le Province autonome. Il rispetto di tali prescrizioni è infatti indispensabile per assicurare livelli essenziali di sicurezza e di qualità delle prestazioni in ambiti nei quali il possesso della dotazione strumentale e la corretta gestione e manutenzione della stessa assume carattere rilevante nell’assicurare l’idoneità e la sicurezza delle cure. Su tale punto è quindi necessario che le previsioni normative regionali non presentino alcun elemento di confusione, come, di contro, accade nella disposizione regionale in esame.
3) L’articolo 4, prevedendo che "I dirigenti medici in servizio a tempo indeterminato presso gli uffici a staff della direzione generale funzionalmente dipendenti dalle direzioni sanitarie delle aziende sanitarie locali (ASL), delle aziende ospedaliero- universitarie e degli IRCCS pubblici ovvero in servizio presso le direzioni sanitarie di presidio ospedaliero da almeno tre anni, alla data di entrata in vigore della presente legge sono inquadrati, a domanda, nelle direzioni sanitarie con la disciplina “Direzione medica di presidio ospedaliero", eccede dalla competenza regionale concorrente attribuita alla Regione, in materia di tutela della salute dall’articolo 117, terzo comma, Cost. In particolare tale disposizione regionale, che prevede genericamente l’inquadramento nelle direzioni sanitarie di dirigenti medici che svolgono attività di staff presso direzioni generali senza alcuna specificazione circa la necessità che vi sia corrispondenza (ovvero equipollenza o affinità) tra le specializzazioni acquisite dai medici e quelle richieste per operare nelle direzioni sanitarie, e circa i requisiti necessari per l’inquadramento (come il fatto di prestare servizio da un determinato numero di anni, e di essere in servizio da una determinata data), viola il principio generale in materia di tutela della salute di cui dall’articolo 15, comma 7, del d.lgs. n. 502/92, come specificato dall’articolo 24 del D.P.R. n° 483/97, e dall’articolo 13 del ccnl per la dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000, dai quali si evince che l’inquadramento del dirigente medico nelle direzioni sanitarie ha come presupposto imprescindibile, oltre alla laurea in medicina e chirurgia, la specializzazione nella disciplina di riferimento.
Così disponendo la previsione regionale in esame viola altresì il principio di uguaglianza e di parità di trattamento sia nei confronti degli operatori, differenziando i medici destinatari della disposizione in esame rispetto agli altri medici della stessa e delle altre regioni, sia nei confronti dei cittadini pugliesi che, diversamente dagli altri cittadini italiani, non hanno la sicurezza di poter essere curati dai medici specializzati nella disciplina richiesta. Da ciò consegue la violazione dei principi di eguaglianza e buona amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., nonché dei livelli essenziali di assistenza previsti dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
4) L’art. 13 dispone che “i componenti, a qualsiasi titolo, ivi compresi i segretari, delle commissioni per l’accertamento della invalidità civile, cecità civile, sordomutismo e della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), sono incompatibili con tali funzioni qualora detengano cariche elettive politiche o si candidino per conseguirle”.
La norma in questione è illegittima nella parte in cui, con l’utilizzo dell’espressione onnicomprensiva “cariche elettive politiche”, include fra i propri destinatari anche i parlamentari nazionali, nonché le cariche elettive degli enti locali territoriali. Infatti, pur avendo la Regione potestà legislativa in ordine alla disciplina dei citati comitati, viene in rilievo la disposizione Costituzionale, art. 65 Cost., che attribuisce al solo legislatore statale la competenza a legiferare in materia di incompatibilità ed ineleggibilità dei parlamentari nazionali. Relativamente poi alle cariche elettive negli enti territoriali locali la suddetta norma regionale invade la competenza esclusiva dello Stato nella materia "organi di governo" di Comuni, Province e Città metropolitane prevista dall'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. In tal senso si è espressa la Corte Costituzionale con la sentenza n. 29 del 2006.
In particolare per quanto attiene all'ineleggibilità e all'incompatibilità tra gli incarichi previsti dalla norma regionale e la carica di parlamentare la fattispecie contemplata da tale norma è analoga a quella sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi la Corte Costituzionale con sentenza n. 456/2005, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 16, comma 1, secondo periodo della legge della Regione Puglia n. 20/2004, nella parte in cui prevedeva che “la carica di presidente dell’organo esecutivo delle Comunità Montane è incompatibile con quella di parlamentare”.
La Consulta ha affermato che “l’art. 65 della Costituzione – stabilendo che la legge determina i casi di ineleggibilità ed incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore - pone una precisa riserva di legge statale e che, quindi, è precluso al legislatore regionale, anche se fornito, nel caso di specie, di potestà legislativa residuale di determinare le cause di incompatibilità (oltre che di ineleggibilità) con l’ufficio di deputato o di senatore (sentenze n. 127 del 1987 e n. 60 del 1966)”, ribadendo espressamente come non sia “consentito che una fonte diversa da quella statale possa vietare il cumulo di due cariche, delle quali una sia quella di membro del Parlamento”.
Tale disposizione regionale viola pertanto l’art. 65 Cost., ed incide sulla competenza esclusiva statale in materia di legislazione elettorale prevista dall’art. 117, secondo comma, lett. p), e in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. m).
5) L’art. 18 della legge regionale in esame, che prevede l’inquadramento nel ruolo della dirigenza sanitaria non medica degli ‘educatori professionali’ in servizio presso le Asl della Regione Puglia (inquadrati nella categoria DS del ccnl del Comparto sanità) eccede dalla competenza legislativa concorrente attribuita alla Regione in materia di tutela della salute dall’art. 117, terzo comma, Cost., e viola altresì i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost. In particolare tale disposizione, che prevede il passaggio di personale dal comparto sanità alla dirigenza senza rispettare il requisito del pubblico concorso per titoli ed esami, si pone in contrasto con il principio fondamentale in materia di tutela della salute di cui all’art. 6 della l. n. 251 del 2000 (concernente la disciplina per l’accesso alla qualifica unica di dirigente delle professioni sanitarie infermieristiche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica), specificato con d.P.C.M. del 25 gennaio 228, che nello stabilire la procedura per l’accesso alla dirigenza per i profili professionali del comparto, prevede la procedura concorsuale “alla quale si accede con requisiti analoghi a quelli richiesti per l’accesso alla dirigenza del Servizio sanitario regionale”.
Tale ultima disposizione statale fa sì che in relazione alla disposizione regionale in esame possano muoversi, oltre a quelli ora formulati, i medesimi rilievi di illegittimità costituzionale già svolti al punto 1).
Per tali motivi si ritiene che le disposizioni censurate debbano essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale.
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