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Modifiche alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 29 (Disciplina dell’enoturismo), modifiche alla legge regionale 20 dicembre 2017, n. 59 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma, per la tutela e la programmazione delle risorse faunistico-ambientali e per il prelievo venatorio) e modifica alla legge regionale 30 novembre 2021, n. 39 (Modifiche alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), disposizioni in materia urbanistica, modifica alla legge regionale 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio), modifica alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 11 febbraio 1999, n. 11 - Disciplina delle strutture ricettive ex artt. 5, 6 e 10 della legge 17 maggio 1983, n. 217 delle attività turistiche ad uso pubblico gestite in regime di concessione e delle associazioni senza scopo di lucro” e disposizioni varie) e disposizioni in materia di derivazione acque sotterranee”.
(Suppl. Bur n. 27 del 7 marzo 2022)
(4-3-2022)
Puglia
Legge n.3 del 4-3-2022
n.27 del 7-3-2022
Politiche infrastrutturali
2-5-2022 /
Impugnata
La legge regionale, recante "Modifiche alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 29 (Disciplina dell’enoturismo), modifiche alla legge regionale 20 dicembre 2017, n. 59 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma, per la tutela e la programmazione delle risorse faunistico-ambientali e per il prelievo venatorio) e modifica alla legge regionale 30 novembre 2021, n. 39 (modifiche alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), disposizioni in materia urbanistica, modifica alla legge regionale 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio), modifica alla legge regionale 6 agosto 2021, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 11 febbraio 1999, n. 11 “Disciplina delle strutture ricettive ex artt. 5, 6 e 10 della legge 17 maggio 1983, n. 217 delle attività turistiche ad uso pubblico gestite in regime di concessione e delle associazioni senza scopo di lucro” e disposizioni varie) e disposizioni in materia derivazione acque sotterranee", è censurabile relativamente alla disposizione contenuta nell’articolo 10 che, per i motivi sotto illustrati, si pone in contrasto con gli articoli 9 e 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, che, affermando come valore imprescindibile della Repubblica la tutela del paesaggio, ne affidano la relativa competenza legislativa allo Stato, risultando altresì in contrasto con l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, con riferimento alla materia “governo del territorio” andando a violare norme che costituiscono principi fondamentali posti dallo Stato, al cui rispetto le regioni sono tenute. La medesima disposizione, inoltre, fornendo un'interpretazione autentica di precedente disposizione dalla portata innovativa e retroattiva risulta illegittima anche per violazione del principio di ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione.
In particolare:
1. L’articolo 10 della legge regionale in esame sostituisce il comma 1 dell’articolo 4 della legge regionale 30 novembre 2021, n. 39 che prevede la possibilità di ampliamento delle attività produttive senza alcuna limitazione di superficie coperta o di volumi, disponendo testualmente:
“1. Nell'ambito dei procedimenti di cui all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) e della Delib.G.R. 11 dicembre 2018, n. 2332, per ampliamento delle attività produttive si intende l'aumento, di qualsivoglia percentuale, della dimensione dell'attività già esistente, in termini di superficie coperta o di volume.".
Si rappresenta che la disposizione contenuta nell’articolo 4 della legge regionale 30 novembre 2021, n. 39 nella formulazione precedente alla modifica, è stata oggetto di recente impugnativa, deliberata dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 31 gennaio 2022. La precedente formulazione, impugnata, testualmente recitava:
“1. L'ampliamento delle attività produttive di cui all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica del 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione e il riordino della disciplina sullo sportello unico per la attività produttive, ai sensi dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008) e alla Delib.G.R. 11 dicembre 2018, n. 2332, non è soggetto a limitazioni di superficie coperta e di volume.
Le modifiche apportate con la legge in esame non incidono sulle questioni prospettate nell’ambito dell’impugnativa deliberata dal Governo e pertanto, in relazione alla norma in esame, si ripropongono le medesime illegittimità già rilevate.
In base alla normativa di settore vigente e delle pronunce giurisprudenziali in materia, non è infatti consentito al legislatore regionale disporre che gli interventi di “ampliamento”, in quanto tali e in senso stretto, possano essere effettuati “a prescindere dall’incremento percentuale dei volumi e delle superfici coperte”.
Se è vero che il quadro normativo statale vigente non quantifica percentuali che consentano di inquadrare un intervento in termini di “ampliamento”, nondimeno, soccorre, al riguardo, a livello di disposizione di principio, l’articolo 3, comma 1, lettere e) e l) del D.P.R. n. 380 del 2001, non modificato dalle più recenti disposizioni legislative statali intervenute, ai sensi del quale sono comunque considerati interventi di nuova costruzione “la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente…”
La disposizione in esame, prevedendo la generalizzata possibilità di ampliamento delle attività produttive senza alcuna limitazione di superficie coperta e di volumi, si pone in contrasto oltre che con i principi e i valori di tutela del paesaggio, considerato il mancato coinvolgimento degli enti di tutela e il mancato rispetto dei principi di co- pianificazione, anche con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla competenza concorrente dello Stato nella materia governo del territorio, per contrasto con i principi dettati dalla legislazione statale. In particolare, la disposizione risulta in contrasto con quanto previsto a livello nazionale dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, che definisce non solo i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (art. 3 e 5) fissando le quantità minime di queste ultime, ma anche i limiti inderogabili di densità edilizia (art. 7), di altezza degli edifici (art. 8) e di distanza tra i fabbricati (art. 9) che vanno rispettati per le diverse zone territoriali omogenee. AI riguardo, si osserva che la legge 17 agosto 1942, n. 1150, al comma 8 dell'articolo 41- quinquies prevede che: "in tutti i comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché i rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. ". "È opportuno ricordare che (...) i limiti fissati dal d.m. n. 1444 del 1968, che trova il proprio fondamento nell'art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), hanno efficacia vincolante anche verso il legislatore regionale (si veda Corte Costituzionale, sentenza n. 232 del 2005), costituendo essi principi fondamentali della materia, in particolare come limiti massimi di densità edilizia a tutela del primario interesse generale all'ordinato sviluppo urbano " (cff. sentenza della Corte Costituzionale n.217 del 2020)
Gli interventi disciplinati dalle disposizioni regionali che si censurano costituiscono senza alcun dubbio ampliamento “all’esterno della sagoma esistente”, in quanto è previsto che lo stesso “non è soggetto a limitazioni di superficie coperta e di volume” (art. 4 comma 1 della legge regionale n. 39 del 2021) e consiste “nell’aumento, di qualsivoglia percentuale, della dimensione dell’attività già esistente, in termini di superficie coperta o di volume” (articolo 10, legge regionale n. 3 del 2022).
La Corte di Cassazione penale ha ripetutamente affermato che:
a) "In materia edilizia, le "modifiche volumetriche" previste dall'articolo 10 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 per le attività di ristrutturazione edilizia... devono consistere in diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ovvero in incrementi volumetrici modesti, tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria, perché altrimenti verrebbe meno la linea di distinzione tra la ristrutturazione edilizia e la nuova costruzione" (Cass. Pen., Sez. 3A, sentenza n. 43530 del 24/10/2019; si veda, nello stesso senso, Cass. Pen., Sez. 3, sentenza n. 47046 del 26/10/2007, Soldano);
b) "nel quadro delle predette definizioni, che la ristrutturazione edilizia si caratterizza anche per la previsione di possibili incrementi volumetrici, ma ciò rende necessaria una lettura della norma nel senso che l'aumento di cubatura deve essere senz'altro contenuto, in modo da mantenere netta la differenza con gli interventi di nuova costruzione" (Cass. Pen., Sez. 3A, sentenza n. 38611 del 04/06/2019, punti 2.2 e 2.3).
Ciò in disparte ogni valutazione circa il regime abilitativo delle diverse categorie di intervento. La norma regionale risulta quindi, per i motivi esposti, in contrasto con i principi e i valori di tutela del paesaggio, e quindi con gli articoli 9 e 117, secondo comma lettera s) della Costituzione, nonché con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla competenza concorrente dello Stato nella materia governo del territorio, per contrasto con i principi dettati dallo Stato con le disposizioni statali interposte sopra individuate.
2. In relazione al medesimo articolo 10 si ravvisa un ulteriore profilo di incostituzionalità, in considerazione del fatto che detta disposizione, per il suo tenore letterale potrebbe qualificarsi come norma interpretativa che, vista la sua portata retroattiva, avrebbe l'effetto di determinare una "sanatoria" non soltanto degli interventi realizzati in applicazione del già gravato art. 4, comma 1, LR n. 39 del 2021, ma anche in ordine a quelli, in ipotesi, effettuati prima dell'entrata in vigore di quest'ultima disposizione. La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 70 del 2020, ha avuto in modo di precisare che “vi è sostanziale indifferenza, quanto allo scrutinio di legittimità costituzionale, tra norme di interpretazione autentica - retroattive, salva una diversa volontà in tal senso esplicitata dal legislatore stesso - e norme innovative con efficacia retroattiva. Al legislatore, anche regionale, non è preclusa la possibilità di emanare norme retroattive di entrambi i tipi, ma la retroattività deve trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, potenzialmente lesi dall'efficacia a ritroso della norma adottata. (Precedenti citati: sentenze n. 108 del 2019 e n. 73 del 2017). La qualifica di norma (meramente) interpretativa va ascritta solo a quelle disposizioni che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo. Il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore. La distinzione tra norme interpretative e disposizioni innovative rileva, ai fini dello scrutinio di legittimità costituzionale, perché la palese erroneità di tale auto-qualificazione può costituire un indice, sia pure non dirimente, della irragionevolezza della disposizione impugnata. (Precedenti citati: sentenze n. 73 del 2017, n. 103 del 2013 e n. 41 del 2011). In tema di condono edilizio "straordinario", spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici, integralmente sottratti al legislatore regionale, le scelte dì principio sul versante della sanatoria amministrativa, in particolare quelle relative all' an, al quando e al quantum. Esula, infatti, dalla potestà legislativa concorrente delle Regioni il potere di ampliare i limiti applicativi della sanatoria oppure, ancora, di allargare l'area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato. A maggior ragione, esula dalla potestà legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale. (Precedenti citati: sentenze n. 208 del 2019, n. 68 del 2018, n. 73 del 2017, n. 233 del 2015, n. 117 del 2015 e 290 del 2009; con riferimento ai profili penalistici: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004)".
La disposizione in esame, quindi, determinando, con la sua portata “interpretativa” una possibile applicazione anche a opere realizzate prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 39 del 2021, estendendo, altresì, la propria applicabilità anche pro futuro risulta illegittima anche per violazione del principio di ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione come declinato nella citata sentenza della Corte Costituzionale.
Per i motivi esposti, la legge regionale, limitatamente alla disposizione contenuta nell’articolo 10, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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