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Norme in materia di gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario. (31-7-2009)
Veneto
Legge n.15 del 31-7-2009
n.63 del 4-8-2009
Politiche socio sanitarie e culturali
18-9-2009 /
Impugnata
La legge regionale in oggetto, recante “Norme in materia di gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario”, istituisce una “Commissione conciliativa regionale” con il compito di comporre in via stragiudiziale le controversie per danni da responsabilità civile derivanti da prestazioni sanitarie erogate dalle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, nonché dalle strutture sanitarie private provvisoriamente accreditate. Tale legge presenta profili di illegittimità costituzionale con particolare riferimento all’articolo 1, comma 2, agli articoli 2 e 3, nonché con riferimento alle altre disposizioni inscindibilmente connesse ad essi.
Tali disposizioni, con cui la Regione Veneto “individua e disciplina le procedure funzionali alla composizione stragiudiziale delle controversie” (art. 1, comma 2), eccedono infatti dalla competenza regionale, avendo ad oggetto la disciplina di un istituto – quello della conciliazione – che, come già ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale (sentenze nn. 50 e 384 del 2005), rientra nella materia dell’“ordinamento civile”, in quanto concernente la definizione transattiva delle relative controversie, ed in quella della “giurisdizione e norme processuali”, per l’incidenza che la previsione e la regolamentazione del tentativo di componimento bonario delle liti possono avere sullo svolgimento del processo. Ciò comporta la necessità di una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale, necessità che appare particolarmente evidente ove si consideri l’imprescindibile esigenza di regolamentare i rapporti tra lo svolgimento del procedimento di composizione stragiudiziale della controversia e l’esercizio del diritto di azione in sede giurisdizionale, con particolare riguardo alla decorrenza dei termini di prescrizione e di decadenza durante il tempo occorrente per l’espletamento del tentativo di conciliazione.
Le disposizioni regionali in esame, pertanto, violano l’art. 117, comma 2, lett. l), Cost., risultando lesive di una potestà legislativa esclusiva statale. Tale potestà è stata peraltro di recente esercitata dallo Stato attraverso l’adozione della legge 18 giugno 2009, n. 69 (“Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”), il cui art. 60 contiene una delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali, ed individua una serie di principi e criteri direttivi che risultano violati dalle disposizioni regionali in parola.
Tale contrasto, che risulta comunque assorbito dai rilievi sopra esposti, si evidenzia inoltre per i seguenti aspetti:
1) l’art. 2, che istituisce la “Commissione conciliativa regionale” (comma 1) e ne disciplina l’ambito di competenza (comma 2), al comma 3 configura tale Commissione come organo di nomina politica (in quanto prevede che essa sia “nominata dalla Giunta regionale”), e ne fissa la durata in tre anni. In tal modo la disposizione regionale si pone in contrasto con l’art. 60, comma 3, lett. b), della legge n. 69/2009, in base al quale l’attività di mediazione deve essere svolta da organismi “indipendenti” e “stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione”;
2) l’art. 3, che disciplina l’attività della Commissione ed indica principi e criteri direttivi cui deve ispirarsi il procedimento dinanzi alla stessa, al comma 2, lett. h), definendo “atto negoziale di diritto privato ai sensi dell’art. 1965 del codice civile” l’accordo che conclude il procedimento di conciliazione, qualifica quest’ultimo come transazione anche laddove non sia caratterizzato – come invece previsto dall’art. 1965 c.c. – da reciproche concessioni. In tal modo la disposizione interferisce con la disciplina del contratto di transazione, violando l’art. 117, comma 2, lett. l), Cost.
Le disposizioni regionali indicate risultano eccedere dalla competenza regionale anche in relazione ad un secondo profilo. Esse, istituendo la “Commissione conciliativa regionale” (art. 2, comma 1), e prevedendone competenze, criteri di formazione, composizione, struttura, attività, modalità operative, etc., creano e disciplinano una nuova figura professionale – di “conciliatore” o “mediatore” – diversa da quella profilata nel menzionato art. 60, violando in tal modo l’art. 117, comma 3, Cost., con riferimento alla materia “professioni”.
La Corte costituzionale ha infatti più volte chiarito che “la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle “professioni” deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e i titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera di singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale” (sent. n. 153/2006). Ne consegue pertanto che “non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali” (sent. n. 300/2007).
Tale giurisprudenza è stata pienamente recepita nel d.lgs. n. 30/2006, che, in attuazione della delega contenuta nell’art. 1 della legge n. 131/2003, ha provveduto alla ricognizione dei principi fondamentali della materia “professioni”.
Dunque, le disposizioni regionali, che non possono in alcun modo incidere in tale ambito normativo, risultano in contrasto con i principi regolatori dettati, anche in materia di “professioni”, dall’art. 60 della legge n. 69/2009. Tale ultima norma, infatti, nel prevedere espressamente che l’attività di mediazione, finalizzata alla conciliazione delle controversie in materia civile e commerciale, “sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione” (comma 3, lett. b), ha istituito una nuova figura professionale, dettando i criteri direttivi cui dovrà attenersi il legislatore delegato nel disciplinare l’ambito dell’attività del mediatore. Essa, inoltre, prevedendo la creazione di un apposito registro degli organismi di conciliazione sottoposto alla vigilanza del Ministero della Giustizia (comma 3, lett. c), e rinviando ad apposito decreto del Ministro della Giustizia la fissazione dei requisiti per l’iscrizione nel registro (comma 3, lett. d), ha regolamentato anche l’accesso alla professione.
Infine, è opportuno evidenziare che le disposizioni regionali citate si pongono in contrasto anche con i principi contenuti nella direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, per il cui recepimento è già stata conferita delega al Governo dall’art. 1 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008).
Anche la normativa comunitaria, infatti, analogamente a quella italiana, pone quale condizione per lo svolgimento dell’attività di mediazione i requisiti di imparzialità e di competenza del mediatore (art. 3); impone agli Stati membri di adottare misure per consentire che gli accordi risultanti dalla mediazione abbiano efficacia esecutiva (art. 6); impone di salvaguardare il diritto delle parti che abbiano fatto ricorso al procedimento di mediazione dagli effetti pregiudizievoli della prescrizione e della decadenza (art. 8).
Profili, questi, che attengono alla materia della giurisdizione e delle norme processuali e a quella dell’ordinamento civile, e che impongono pertanto una disciplina statale unitaria dell’istituto della mediazione in materia civile.
Per i motivi esposti si ritiene che le disposizioni regionali sopra menzionate debbano essere impugnate dinanzi la Corte costituzionale ai sensi dell’art. 127 Cost.
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