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Legge di stabilità regionale anno 2022. (24-5-2022)
Molise
Legge n.8 del 24-5-2022
n.26 del 25-5-2022
Politiche economiche e finanziarie
21-7-2022 /
Impugnata
La legge della Regione Molise n. 8 del 24/05/2022, recante “Legge di stabilità regionale anno 2022” presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale.
§§§
Articolo 4, comma 1: la norma dispone che “Per il completamento della procedura di scioglimento della società Sviluppo della Montagna molisana spa di cui all'articolo 5, comma 4, della legge regionale 4 maggio 2021, n. 2 (Legge di stabilità regionale anno 2021), è autorizzato lo stanziamento di euro 100.000,00, alla missione 14, programma 1, titolo I del bilancio pluriennale di previsione 2022-2024 - esercizio 2022.”
La norma in argomento è illegittima sotto il profilo della legittimità costituzionale in quanto lesiva della competenza statale prevista dall’articolo 117, comma 3, della Costituzione, nella materia a legislazione concorrente del coordinamento della finanza pubblica, e del principio di buon andamento di cui all’articolo 97 della medesima Carta, nella parte in cui pone a carico della Regione il debito derivante dalla procedura di liquidatoria della società partecipata.
Preliminarmente occorre rilevare come l’articolo 2325 del codice civile, nell’ambito della disciplina dettata dal Libro quinto, Titolo V, Capo V (Società per azioni), stabilisca, al comma 1, che “Nella società per azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio” e che la scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implichi il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta (in questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con la sent. n. 26806/2009) e, in primo luogo, a quelle dell’autonomia patrimoniale e della limitazione di responsabilità.
Nel caso in esame, la Regione Molise, con propria legge regionale, ponendosi in contrasto con il principio dell’autonomia patrimoniale perfetta recato dal cennato articolo 2325 del codice civile, secondo il quale, come detto, delle obbligazioni contratte nell’esercizio dell’attività della società risponde solo quest’ultima con il suo patrimonio sociale, dispone, in sostanza, che delle obbligazioni sorte in capo alla procedura di liquidazione della società Sviluppo della Montagna Molisana S.p.A. risponda il socio Regione Molise.
La decisione della Regione di rispondere per la società partecipata attraverso un sostanziale accollo dei debiti della procedura si pone pertanto in contrasto con il principio della sana gestione finanziaria espresso dall’articolo 14, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” (TUSP), violando così l’articolo 117, comma 3, della Costituzione, nella materia di legislazione concorrente del coordinamento della finanza pubblica, nonché il principio di buon andamento di cui all’articolo 97 della Costituzione.
Secondo costante giurisprudenza contabile (tra le altre Sezione regionale di controllo Toscana, deliberazione n. 84/2018, Lazio, deliberazione n. 1/2019/PAR; Puglia, deliberazione n. 47/2019/PAR; Lombardia, deliberazione n. 296/2019, Marche, deliberazione n. 123/2019/PAR), l’articolo 14, comma 5, del T.U.S.P. sancisce il cosiddetto “divieto del soccorso finanziario” da parte di un soggetto pubblico rispetto ai suoi organismi partecipati e impone l’abbandono della logica del “salvataggio a tutti i costi” di strutture e organismi partecipati che versano in situazione di dissesto.
Sulla base di tale principio, sono stati dichiarati inammissibili “interventi tampone”, con dispendio di disponibilità finanziarie a fondo perduto, erogate senza un programma industriale o una prospettiva che realizzi l’economicità o l’efficienza della gestione nel medio e lungo periodo. La ratio di tale norma è stata individuata nell’esigenza di porre “un freno alla prassi, ormai consolidata, seguita dagli enti pubblici e in particolare dagli enti locali, di procedere a ricapitalizzazioni e ad altri trasferimenti straordinari per coprire le perdite strutturali (tali da minacciare la continuità aziendale); prassi che, come noto, da un lato finisce per impattare negativamente sui bilanci pubblici compromettendone la sana gestione finanziaria; dall’altro si contrappone alle disposizioni dei trattati (articolo 106 TFUE, già articolo 86 TCE), le quali vietano che soggetti che operano nel mercato comune possano beneficiare di diritti speciali o esclusivi, o comunque di privilegi in grado di alterare la concorrenza nel mercato, in un’ottica macroeconomica” (Sezione regionale di controllo Abruzzo, deliberazione n. 279/2015, e, nello stesso senso, la giurisprudenza sopra citata).
In tale contesto, l’articolo 14, comma 5, del TUSP ha fissato “un generale divieto di disporre, a qualsiasi titolo, erogazioni finanziarie ‘a fondo perduto’ in favore di società in grave situazione deficitaria, relegando l’ammissibilità di trasferimenti straordinari ad ipotesi derogatoria e residuale, percorribile con finalità di risanamento aziendale e per il solo perseguimento di esigenze pubblicistiche di conclamato rilievo, in quanto sottendenti prestazioni di servizi di interesse generale ovvero la realizzazione di programmi di investimenti affidati e regolati convenzionalmente, secondo prospettive di continuità” (Sezione regionale di controllo Lazio, deliberazione n. 66/2018/PAR).
Secondo la magistratura contabile nei casi di società in liquidazione vige un divieto assoluto di “soccorso finanziario”. Tali società, infatti, restano in vita senza la possibilità di intraprendere nuove operazioni rientranti nell’oggetto sociale, al solo fine di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali ed alla distribuzione dell'eventuale residuo attivo tra i soci.
Tenuto conto della particolare fase della vita sociale che la liquidazione rappresenta, infatti, l’apporto finanziario richiesto al socio è in re ipsa destituito delle finalità proprie di duraturo riequilibrio strutturale, venendo piuttosto a tradursi sul piano sostanziale in un accollo delle passività societarie, con rinuncia implicita al beneficio della ordinaria limitazione di responsabilità connessa alla separazione patrimoniale, al solo e circoscritto fine di consentire il fisiologico espletamento della fase di chiusura.
In definitiva, anche se non realizzano il presupposto formale del divieto di soccorso finanziario, consistente nelle reiterate perdite di esercizio, le società in liquidazione ne realizzano il presupposto sostanziale, concernente la mancanza di una concreta prospettiva di risanamento, condizione indispensabile per la fruizione di risorse pubbliche, tanto più se straordinarie.
Ove si decidesse di effettuare dei trasferimenti diretti a colmare l’incapienza del patrimonio societario rispetto al complesso delle pretese creditorie, si porrebbe in essere un’operazione economica equivalente ad un accollo dei debiti della società, in relazione alla quale non sussiste alcun obbligo a suo carico e, anzi, si giungerebbe al paradosso di sconfessare la scelta originaria di operare per mezzo di una società di capitali piuttosto che in forma diretta.
Tale orientamento è stato confermato da numerose pronunce della magistratura contabile (cfr.: Corte dei Conti - Sezione regionale di controllo per il Lazio, deliberazione n. 1/2019/PAR; deliberazione n. 66/2018/PAR; Sezione delle autonomie, deliberazione n. 27/2016/FRG; Sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione n. 84/208/PAR; Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazioni n. 84/2018/PAR, n. 42/2014/PAR e n. 260/2015/PRSE; Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 3/2018/PAR, cit.; Sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione n. 71/2015/PAR; Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, deliberazione n. 279/2015/PAR.) che ha più volte ribadito il principio secondo cui “il divieto di soccorso finanziario opera anche per le società poste in liquidazione, le quali, proprio perché rimangono in vita senza la possibilità di intraprendere nuove operazioni rientranti nell’oggetto sociale, ma al solo fine di risolvere i rapporti finanziari e patrimoniali pendenti, compresi quelli relativi alla ripartizione proporzionale tra i soci dell’eventuale patrimonio netto risultante all’esito della procedura, non possono, per definizione, prospettare alcuna possibilità di recupero o risanamento”.
Nella medesima prospettiva, è stato affermato che un intervento volto ad assumere debiti della partecipata in liquidazione dovrà essere supportato da una congrua e analitica motivazione in ordine alle sottostanti ragioni di razionalità, convenienza economica e sostenibilità finanziaria che lo possano eventualmente ed esaustivamente giustificare (Corte dei Conti – Sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazione n. 47/2019/PAR).
Le amministrazioni partecipanti dovranno, infatti, assolvere il gravoso compito di motivare in termini di razionalità, convenienza economica e sostenibilità finanziaria, l’eventuale decisione di accollarsi l’onere dei debiti di una società in liquidazione o fallita la quale, per definizione, non può assicurare alcuna prospettiva di una più efficiente prosecuzione dell’attività sociale di pertinenza.
La Corte dei conti ha, per esempio, escluso che il concreto interesse pubblico all’operazione possa essere rinvenuto nella mera esigenza di soddisfare i creditori sociali (Corte dei Conti, Sez. Reg. Liguria, delibera n. 84/2018) e, ancora, non ha considerato meritevole la prospettata necessità di assolvere gli impegni finanziari di una partecipata, allo scopo di riacquisire beni immobili dati a garanzia dal Comune, a fronte di un finanziamento ottenuto dalla partecipata (Corte dei Conti, Sez. Reg. Puglia, del. n. 164/2014).
Da ultimo, la Corte (cfr. Sez. regionale di controllo per la Lombardia, del. 64/2021/PAR), ha evidenziato come l’ente pubblico che intenda assorbire a carico del proprio bilancio i debiti o i risultati negativi della gestione di un organismo partecipato è tenuto a dimostrare lo specifico interesse pubblico perseguito in relazione ai propri scopi istituzionali, evidenziando in particolare le ragioni economico-giuridiche dell’operazione. E la motivazione degli eventuali interventi decisi in tal senso dovrà essere oggetto di valutazione secondo i parametri della legalità finanziaria, ovvero anche in rapporto ai canoni di efficienza, efficacia ed economicità su cui l’azione amministrativa si regge (articoli 1 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e articolo 97 della Costituzione).
L’applicazione del principio di sana gestione finanziaria giustificherebbe l’assunzione di debiti altrui solo in presenza di un prevalente interesse pubblico, adeguatamente motivato alla luce degli scopi istituzionali, rappresentando altrimenti un ingiustificato favor verso i creditori del soggetto partecipato incapiente (Sezioni regionali di controllo Lombardia, deliberazioni n. 98/2013/PAR, n. 410/2016/PRSE, n. 296/2019/PAR; Liguria, deliberazione n. 71/2015/PAR; Toscana, deliberazione n. 84/2018/PAR).
Si tratta, quindi, di opzione che va, pertanto, opportunamente e sufficientemente motivata. In particolare, il principio di economicità richiede che l’ente dia conto delle ragioni di vantaggio e di utilità che la giustificano (in questo senso Corte dei Conti Veneto, deliberazione n. 434/2012).
Ne consegue che il c.d. divieto di soccorso finanziario, introdotto allo scopo di perseguire obiettivi di maggiore efficienza delle società pubbliche, tenuto conto dei princìpi nazionali e comunitari in termini di economicità e di concorrenza, “appare espressivo di un vero e proprio principio di ordine pubblico economico, fondato su esigenze di economicità e razionalità nell’utilizzo delle risorse pubbliche e di tutela della concorrenza e del mercato. Tale principio s’impone alle amministrazioni pubbliche prescindendo, a tutela dell’effettività del precetto, dalle forme giuridiche prescelte per la partecipazione in organismi privati che finirebbero, altrimenti, col prestarsi a facile elusione del chiaro dettato normativo” (Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 296/2019/PAR).
Alla luce dell’ampia giurisprudenza della magistratura contabile richiamata in precedenza, non può poi rinvenirsi nelle motivazioni successivamente rappresentate dalla Regione lo specifico interesse pubblico perseguito con l’intervento finanziario disposto dalla medesima, atteso che le motivazioni sottese all’adozione della norma appaiono essere riconducibili, per quanto affermato dalla stessa Regione, al mero soddisfo dei creditori della gestione liquidatoria e alla riduzione del numero degli organismi partecipati.
Al riguardo si ritiene opportuno ribadire che in relazione alle partecipate poste in liquidazione, la Corte dei conti, nelle pronunce sopra citate, ha sottolineato la sussistenza di un divieto assoluto di “soccorso finanziario” verso le medesime, in quanto destinate a rimanere in vita senza alcuna prospettiva di continuità dell’attività, ma al solo fine di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali ed alla distribuzione dell'eventuale residuo attivo tra i soci.
Occorre, altresì, far presente come la stessa Corte abbia escluso che il concreto interesse pubblico all’operazione possa essere rinvenuto nella mera esigenza di soddisfare i creditori sociali e, ancora, come non abbia considerato meritevole la prospettata necessità di assolvere gli impegni finanziari di una partecipata, allo scopo di riacquisire beni immobili dati a garanzia dal Comune, a fronte di un finanziamento ottenuto dalla partecipata (Corte dei Conti, Sez. Reg. Puglia, del. n. 164/2014).
Alla luce di tutto quanto sopra, tenuto conto che la strumentalità rispetto ad interessi primari, riconducibili a fondamentali principi di rango costituzionale, rende il divieto di soccorso finanziario un principio di ordine pubblico economico, precettivo e vincolante, di stretta e generale applicazione (Corte dei conti, Sezione controllo Piemonte, deliberazione n. 119/2021/PAR e Veneto, deliberazione n. 18/2021/PAR), la disposizione recata dall’articolo 4 della legge regionale in esame è censurabile sotto il profilo della legittimità costituzionale per violazione dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione, nella materia di legislazione concorrente del coordinamento della finanza pubblica, e del principio di buon andamento di cui all’articolo 97 della Costituzione, nella parte in cui pone a carico della Regione il debito della procedura di liquidazione della società partecipata Sviluppo della Montagna Molisana S.p.A.
§§§
Articolo 7, commi 5-14: le disposizioni in esame, riguardanti l’istituzione, presso il Consiglio regionale, della Scuola regionale di protezione civile (SRPC), comportano nuovi e maggiori oneri non quantificati, a fronte dei quali non è indicata la correlata fonte di finanziamento.
In assenza di indicazioni nel testo normativo e non essendo pervenuti i chiarimenti richiesti alla Regione circa la copertura finanziaria della norma, l’articolo in esame è illegittimo in quanto si pone in violazione dell’articolo 81, terzo comma, della Costituzione, trattandosi di una norma suscettibile di comportare oneri non quantificati e privi di copertura finanziaria.
§§§
L'articolo 7, comma 18 prevede che: "Nelle fasce di rispetto di tutte le zone e di tutte le aree di piano, in presenza di opere già realizzate e ubicate tra l'elemento da tutelare e l'intervento da realizzare, quest'ultimo è ammissibile previa V. A. per il tematismo che ha prodotto la fascia di rispetto, purché lo stesso intervento non ecceda, in proiezione ortogonale, le dimensioni delle opere preesistenti o sia compreso in un'area circoscritta nel raggio di mt. 50 dal baricentro di insediamenti consolidati preesistenti.".
Al riguardo, in quanto la formulazione della disposizione normativa non risultava chiara ed impossibile attribuirle un preciso significato dispositivo, veniva chiesto alla Regione di fornire chiarimenti sul significato da attribuire a talune espressioni contenute nella norma, tenuto conto del fatto che l'imprecisione del testo e la totale assenza di riferimenti normativi nell'ambito dello stesso rendevano la disposizione non intellegibile.
In particolare, veniva rappresentato che: "[...] dal tenore della previsione non appare possibile ricavare a quale tipologia di "piano" si faccia riferimento, né cosa debba intendersi per "opere già realizzate e ubicate tra l'elemento da tutelare e l'intervento da realizzare ". Non risulta, altresì, chiarito il significato da attribuire al termine "tematismo ", né tantomeno se "VA." sia utilizzato come acronimo della valutazione di impatto ambientale o della valutazione ambientale strategica o di entrambe".
In riscontro a tali osservazioni, nell'ambito delle proprie controdeduzioni, la Regione rappresentava che: "[ ... ] a chiarimento di quanto proposto con l'Emendamento di cui all'art. 7 comma 18 della Legge in esame, si evidenzia che le novità legislative si riferiscono al Piano Paesistico Regionale e che le opere ritenute ammissibili sono quelle che vanno a collocarsi in territori già "contaminati" da fabbricati, in presenza di opere già realizzate. Nello specifico, le opere di cui si intende consentire la realizzazione sono quelle che, seppur previste nelle cd 'fasce di rispetto ", sono progettate in maniera tale che la percezione visiva e di impatto delle stesse siano mitigate dalla proiezione ortogonale del manufatto: ove, cioè, tra l'elemento oggetto di tutela e il nuovo fabbricato vi siano già dei manufatti allineati sulla medesima proiezione e che comunque l'area oggetto di intervento ospiti già degli insediamenti consolidati. In ogni caso, è sempre fatta salva la Valutazione Ambientale riferita al vincolo esistente sul lotto, che ha originato l'applicazione della fascia di rispetto.".
Tanto premesso, anche in ordine agli elementi di chiarimento pervenuti, l’articolo in esame presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale, per i motivi appresso illustrati.
Anche a seguito dei chiarimenti della Regione, emerge come l'articolo 7, comma 18 introduca nell'ordinamento una disposizione dal significato non intellegibile, in aperto contrasto con il canone della ragionevolezza, imposto dal rispetto dell'articolo 3 della Costituzione.
Invero, pur avendo la Regione fornito taluni chiarimenti, gli stessi non sono idonei a superare le incertezze interpretative derivanti dalla norma, nell'ambito della quale si registra l'utilizzo di espressioni vaghe e suscettibili di varie interpretazioni, in aperto contrasto con il canone della ragionevolezza.
La disposizione definisce il proprio ambito di applicazione con riferimento alle "fasce di rispetto di tutte le zone e di tutte le aree di piano", senza chiarire di che piani si tratti (territoriali? urbanistici? di settore?) e a quali "fasce di rispetto" si sia inteso fare riferimento. Come noto, infatti, le fasce di rispetto sono poste a tutela di beni della più varia natura, essendo previste, ad esempio, a tutela degli ambiti cimiteriali, come anche delle strade, oppure di beni sottoposti a vincoli di diversa tipologia. Ovviamente, la diversa natura delle fasce di rispetto comporta anche una differenziazione del relativo regime, che è posto a presidio degli specifici interessi che ne hanno giustificato l'imposizione.
Con riguardo a tali, non meglio precisate, "fasce di rispetto", previste da altrettanto imprecisati "piani", la disposizione normativa fa riferimento all'ammissibilità di indeterminati "interventi", subordinandoli a una condizione del tutto incomprensibile, ossia la previa VA. per il tematismo che ha prodotto la fascia di rispetto, purché lo stesso intervento non ecceda, in proiezione ortogonale, le dimensioni delle opere preesistenti o sia compreso in un'area circoscritta nel raggio di mt. 50 dal baricentro di insediamenti consolidati preesistenti". Come sopra accennato, non risulta possibile comprendere cosa si intenda il legislatore regionale per "VA." (valutazione ambientale? E, ove fosse questo il senso dell'acronimo, si sta parlando di "valutazione di impatto ambientale", di "valutazione ambientale strategica", o di altro ancora?) e per "tematismo che ha prodotto la fascia di rispetto". Ancora più oscuro, poi, è il riferimento alla condizione che "lo stesso intervento non ecceda, in proiezione ortogonale, le dimensioni delle opere preesistenti o sia compreso in un'area circoscritta nel raggio di mt. 50 dal baricentro di insediamenti consolidati preesistenti".
Per quanto sopra, la previsione normativa non può essere compresa e, conseguentemente, applicata dai consociati. Nel caso in esame, non ricorre neppure "la possibilità obiettiva di più interpretazioni diverse, in un certo senso equivalenti l'una all'altra, e tutte ugualmente plausibili secondo il canone dell'interpretazione costituzionalmente orientata (...)" (cfr. ordinanza n. 197 del 29 giugno 2018 del CGA per la Regione Siciliana), bensì l'assoluta inconoscibilità del testo normativo, il quale risulta perciò manifestamente irragionevole e, quindi, in contrasto con il fondamentale canone di cui all'articolo 3 della Costituzione.
Anche la Corte costituzionale ha infatti più volte affermato che dall'articolo 3 della Costituzione si desume un canone di razionalità della legge rintracciato nell'esigenza di conformità dell'ordinamento a valori di giustizia e di equità ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, che costituisce un presidio contro l'eventuale manifesta irrazionalità o iniquità delle conseguenze della stessa (ex multis, Corte cost., sent.n. 87 del 2012, n. 421 del 1991, n. 46 del 1993, n. 81 del 1992).
Il legislatore regionale si pone, pertanto, al di fuori del perimetro tracciato dai principi costituzionali, che impongono la coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, delle leggi, anche di quelle regionali.
Per tali motivi, l'articolo 7, comma 18 della legge regionale in oggetto è illegittima per violazione dell'articolo 3 della Costituzione, per manifesta violazione del principio di ragionevolezza della legge.
La disposizione in esame si pone, altresì, in contrasto con l'articolo 117, comma secondo, lettera s), Cost., poiché incide sulla pianificazione paesaggistica, con invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato, attuata dagli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Dalle spiegazioni offerte dalla Regione e sopra riportate, anch'esse decisamente non chiare, sembra infatti emergere che il legislatore regionale abbia voluto consentire la realizzazione di opere (imprecisate) all'interno delle fasce di rispetto individuate dal Piano paesistico regionale, fatta salva la "Valutazione Ambientale riferita al vincolo esistente sul lotto, che ha originato l'applicazione della fascia di rispetto", e purché tali opere siano "progettate in maniera tale che la percezione visiva e di impatto delle stesse siano mitigate dalla proiezione ortogonale del manufatto".
L'obiettivo della norma (ferma restando, va ribadito, la scarsa intellegibilità della disposizione) sembrerebbe quello di consentire, nei casi confusamente descritti, la realizzazione di trasformazioni edificatorie non consentite dal Piano Paesistico Regionale.
Gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia sono dunque collocati al di fuori del necessario quadro di riferimento, che dovrebbe essere costituito dalle previsioni del piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore. Soltanto a quest'ultimo strumento spetta infatti di individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni.
Al contrario, la disposizione in esame appare volta a introdurre nell'ordinamento regionale una disposizione derogatoria in tema di pianificazione paesaggistica, che agevola la trasformazione edificatoria del territorio, con il conseguente grave abbassamento del livello della tutela del paesaggio, in violazione anche dell'articolo 9 della Costituzione, che sancisce la rilevanza della tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto (Corte cost. n. 367 del 2007).
Il legislatore nazionale, nell'esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia, ha assegnato al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono infatti l'inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l'immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr., ex multis, Corte cost. n. 180 dei 2008).
Come chiarito dalla Corte costituzionale, "l'art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004, dedicato al «coordinamento della pianificazione paesaggistico con altri strumenti di pianificazione», nel precisare, al comma 3, che le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti su quelle contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, esprime il cosiddetto principio di prevalenza delle prime sulle seconde, che «deve essere declinato nel senso che al legislatore regionale è impedito (…) adottare normative che deroghino o contrastino con norme di tutela paesaggistica che pongono obblighi o divieti, ossia con previsioni di tutela in senso stretto» (sentenza n, 141 del 2021; nello stesso senso, sentenza n. 74 del 2021)" (Corte cost., n. 261 del 2021).
In applicazione dei suddetti principi, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una disposizione legislativa della Regione Campania che prevedeva la deroga allo strumento di pianificazione territoriale con valenza paesaggistica vigente nella predetta Regione. In particolare, la Corte ha rimarcato che "Le disposizioni censurate, nel consentire di derogare al PUT nella parte in cui esso non prevede limiti di inedificabilità assoluta, contravvengono al principio di prevalenza gerarchica del piano paesaggistico su tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, ponendosi, così, in contrasto con il parametro interposto evocato dal remittente. Il legislatore campano ha infatti assegnato la definizione del relativo regime all'ordine della disciplina urbanistica, finendo in tal modo per degradare «la tutela paesaggistico da valore unitario prevalente a mera esigenza urbanistica "» _(sentenza n. 11 del 2016) e. perciò, per compromettere quell’impronta unitaria della pianificazione urbanistica che la normativa statale ha invece assunto a valore imprescindibile, «ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali» (sentenza n. 74 del 2020" (così ancora Corte cost., n. 261 del 2021).
Alla luce di tutto quanto sopra, l'articolo 7, comma 18 della legge regionale in oggetto è lesivo dell'articolo 3 della Costituzione, per manifesta violazione del principio di ragionevolezza della legge; dell'articolo 117, comma secondo, lettera s), Cost., poiché incide sulla pianificazione paesaggistica, con invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato, attuata dagli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio; dell'articolo 9 della Costituzione, in quanto agevola la trasformazione edificatoria del territorio con il conseguente grave abbassamento del livello della tutela del paesaggio.
§§§
Articolo 11: la disposizione prevede che "in virtù dell'alta specializzazione, viene autorizzata la Giunta regionale a procedere alla stabilizzazione del personale attualmente in servizio presso il Centro funzionale e presso la Sala operativa del servizio regionale di protezione civile, ovvero all'avvio dì ogni procedura utile alla valorizzazione della professionalità specifica maturata dal suddetto personale".
Va preliminarmente ricordato come l’articolo 20 del d.lgs. n. 75/2017 preveda per le amministrazioni pubbliche la possibilità di stabilizzare il personale non dirigenziale in possesso dei requisiti previsti di cui alle lett. a), b) e c) dello stesso articolo 20, comma 1, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni, con l'indicazione della relativa copertura finanziaria, nonché garantendo l’adeguato accesso dall’esterno.
L’articolo 33, commi 1, 1-bis, e 2 del decreto-legge n. 34/2019, ha introdotto per le Regioni a statuto ordinario, le Province e le Città metropolitane ed i Comuni, una nuova disciplina in materia di facoltà assunzionali basata sulla sostenibilità finanziaria delle stesse, in sostituzione del precedente criterio fondato sul turn over, consentendo una maggiore flessibilità per il reclutamento di personale. In tale modificato assetto di regolamentazione normativa, le nuove assunzioni a tempo indeterminato sono correlate alla sostenibilità finanziaria della spesa di personale in relazione a specifici valori soglia, differenziati per fascia demografica, del rapporto tra la spesa complessiva per tutto il personale (senza alcuna differenziazione tra le diverse modalità di reclutamento e la diversa natura del rapporto: concorso, mobilità, tempo indeterminato, tempo determinato, ecc.) al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione e la media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati, considerate al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione.
L’articolo 11 della legge regionale in esame non indica il numero di unità di personale potenzialmente interessate dall’intervento, il loro inquadramento economico e giuridico, la modalità con cui si intende procedere al reclutamento, nonché l’ambito normativo di riferimento nel rispetto del quale la prevista stabilizzazione di personale verrebbe operata.
Nell’articolato, poi, non si rinviene alcuna disposizione di carattere finanziario recante la quantificazione degli oneri assunzionali conseguenti alla previsione in esame e l’indicazione della relativa copertura finanziaria. Sul punto, occorre ricordare che le spese di personale, che per loro natura assumono caratteristica di strutturalità, necessitano di una copertura finanziaria che ne assicuri la sostenibilità finanziaria nel tempo senza determinare criticità negli equilibri di bilancio degli enti.
Al riguardo, va evidenziato che l’articolo 81, terzo comma, Cost. prevede che “Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”. Oltre a ciò, l’articolo 97, primo comma, Cost. dispone che “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”.
In aggiunta, l’articolo 119, prima comma, Cost. prescrive che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea”.
Inoltre l’articolo 17 della legge n. 196 del 2009, al comma 1, elenca in modo tassativo le modalità con cui assicurare la copertura finanziaria delle leggi che comportano nuove o maggiori spese, ossia l’utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali destinati alla copertura finanziaria di provvedimenti legislativi che si prevede siano approvati nel corso degli esercizi finanziari compresi nel bilancio pluriennale, la riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa, le modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate. Il successivo comma 3 stabilisce che le norme che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredate da una relazione tecnica che dia contezza della quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché delle relative coperture. Infine, il comma 7 precisa che “…per le disposizioni legislative in materia pensionistica e di pubblico impiego, la relazione di cui al comma 3 contiene un quadro analitico di proiezioni finanziarie, almeno decennali, riferite all’andamento delle variabili collegate ai soggetti beneficiari e al comparto di riferimento…”.
Infine, a completamento del quadro normativo in subiecta materia delineato, si segnala che il decreto legislativo n. 118 del 2011 – recante “Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42”, all’articolo 38 - posto a disciplinare, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e) Cost., l'armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni - dispone: “1. Le leggi regionali che prevedono spese a carattere continuativo quantificano l'onere annuale previsto per ciascuno degli esercizi compresi nel bilancio di previsione e indicano l'onere a regime ovvero, nel caso in cui non si tratti di spese obbligatorie, possono rinviare le quantificazioni dell'onere annuo alla legge di bilancio. 2. Le leggi regionali che dispongono spese a carattere pluriennale indicano l'ammontare complessivo della spesa, nonché la quota eventualmente a carico del bilancio in corso e degli esercizi successivi. La legge di stabilità regionale può annualmente rimodulare le quote previste per ciascuno degli anni considerati nel bilancio di previsione e per gli esercizi successivi, nei limiti dell'autorizzazione complessiva di spesa”.
Ciò posto, va rilevato che tutti gli adempimenti e gli elementi sopra richiamati non risultano essere stati predisposti a corredo della norma in trattazione.
Difatti, la norma in esame, nell’autorizzare la stabilizzazione del personale attualmente in servizio presso il Centro funzionale e presso la Sala operativa del servizio regionale di protezione civile, omette di indicare la relativa copertura finanziaria prescritta ai sensi della normativa statale summenzionata. Conseguentemente, l’omissione - come sopra qualificata - si pone in contrasto con gli articoli 81, 97, 117, secondo comma, lettera e) - in virtù della violazione della normativa interposta di cui all’articolo 38 del d.lgs. 118 del 2011 - e 119 Cost.
Sul punto, si richiamano anche i consolidati orientamenti della Corte Costituzionale, la quale, dal punto di vista della copertura finanziaria e dell’omissione della previsione degli oneri, ha chiarito che “[...] la mancata considerazione degli oneri vale a rendere la legge costituzionalmente illegittima per mancanza di copertura non soltanto per spese obbligatorie, ma anche se si tratta di oneri solo "ipotetici", in quanto l'art. 81 Cost. «impone che, ogniqualvolta si introduca una previsione legislativa che possa, anche solo in via ipotetica, determinare nuove spese, occorr[e] sempre indicare i mezzi per farvi fronte» (ex multis, sentenze n. 155 del 2022, n.163 del 2020 e n. 307 del 2013).
Pertanto, secondo l’orientamento della Corte “[...] devono essere dichiarate costituzionalmente illegittime quelle leggi in cui «l'individuazione degli interventi e la relativa copertura finanziaria, è stata effettuata dal legislatore regionale in modo generico e risulta priva di quella chiarezza finanziaria minima richiesta dalla costante giurisprudenza di questa Corte in riferimento all'art. 81 Cost.» (ex multis, sentenze n. 155 del 2022 e n. 227 del 2019).
Infine, si richiama anche quanto ribadito dalla suprema Corte in ordine all’equilibrio finanziario il quale «presuppone che ogni intervento programmato sia sorretto dalla previa individuazione delle pertinenti risorse: nel sindacato di costituzionalità copertura finanziaria ed equilibrio integrano "una clausola generale in grado di operare pure in assenza di norme interposte quando l'antinomia [con le disposizioni impugnate] coinvolga direttamente il precetto costituzionale" [...] (sentenza n. 184 del 2016)» (sentenze n. 155 del 2022 e n. 274 del 2017).
Sotto altro profilo, come sopra accennato, dalla formulazione della disposizione in esame non è dato desumere se le stabilizzazioni di cui trattasi avverranno in accordo con la normativa statale sul punto, con quella riguardante la programmazione delle assunzioni, oltreché del principio del concorso pubblico, con conseguente violazione dell’art. 97 della Costituzione.
In tema di stabilizzazione del personale c.d. precario va poi ricordato come la Corte Costituzionale abbia più volte qualificato le norme statali in materia come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, poiché si ispirano alla finalità del contenimento della spesa pubblica nello specifico settore del personale (ex plurimis, sentenze n.n. 310, 108, 69 e 68 del 2011; 51 del 2012; 277/2013; 231/2017; n. 194/2020). Più nello specifico, la Corte "ha riconosciuto come principi di coordinamento della finanza pubblica le disposizioni statali che stabiliscono limiti e vincoli al reclutamento del personale delle amministrazioni pubbliche ovvero relative alla stabilizzazione del personale precario, in quanto incidono sul rilevante aggregato di finanza pubblica costituito dalla spesa per il personale" (sentenze n.n. i del 2018, 277 e 18 del 2013, 148 e 139 del 2012; 251 del 2020).
La disposizione regionale in questione è altresì riconducibile alla materia dell'ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. 1) Cost. posto che la norma regionale incide sulla regolamentazione del rapporto precario (in particolare, sugli aspetti connessi alla sua durata) e determina, al contempo, la costituzione di altro rapporto giuridico (il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, destinato a sorgere proprio per effetto della stabilizzazione). In tale prospettiva la Corte Costituzionale ha avuto modo di chiarire che la disciplina della fase costitutiva del contratto di lavoro, così come quella del rapporto sorto per effetto dello stesso, si realizzano mediante la stipulazione di un contratto di diritto privato e, pertanto, appartengono alla materia dell'ordinamento civile (cfr. ex multis sentenza n. 324 del 2010 e n. 69 del 2011).
Alla luce di tutto quanto sopra e per i motivi ivi indicati, l’articolo in esame è illegittimo per violazione dell’articolo 81, terzo comma (copertura finanziaria), dell’articolo 97, primo comma, (principio dell'equilibrio di bilancio delle pubbliche amministrazioni), dell’articolo 117, secondo comma, lettera e) (armonizzazione dei bilanci pubblici) e lettera 1) (ordinamento civile), nonché dell’articolo 119, primo comma Cost (principi di coordinamento della finanza pubblica).
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Alla luce di tutto quanto sopra esposto, la legge regionale in parola, negli articoli sopra indicati, deve essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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