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Norme in materia di commercio, artigianato, alpinismo, esercizi pubblici, turismo e miniere. (13-11-2009)
Bolzano
Legge n.10 del 13-11-2009
n.48 del 24-11-2009
Politiche infrastrutturali
13-1-2010 /
Impugnata
La legge provinciale, che detta norme in materia di commercio, artigianato, alpinismo, esercizi pubblici, turismo e miniere, è censurabile relativamente alla modifica introdotta alla disciplina della cave e delle torbiere,
In proposito, si segnala che la Provincia, ai sensi dell'art. 8, comma 1, punto 14 , dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige , D.P.R. 670/1972, vanta competenza primaria in materia di miniere, comprese le acque minerali e termali, cave e torbiere, e, in base ai punti nn. 5 e 6 , del medesimo articolo 8 ha potestà legislativa primaria in materia di "tutela del paesaggio" e "urbanistica" nonchè , ai sensi dell’articolo 9, punto 10, competenza legislativa concorrente in materia di "igiene e sanità".
Pur ciò premesso, secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale, confermata nella pronuncia n. 378/2007, la potestà di disciplinare l'ambiente nella sua interezza è stata affidata in via esclusiva allo Stato, dall'art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come è noto, parla di "ambiente" (ponendovi accanto la parola "ecosistema") in termini generali e onnicomprensivi. Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come una entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto. Ed è da notare che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente, inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sent. n. 151/1986) ed assoluto (sent. n. 210/ 1987) e deve garantire, come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore. Inoltre, la disciplina unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materie di competenza propria, ed in riferimento ad altri interessi. Ciò comporta che la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l'ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna sua parte, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, come ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza 380/2007. Pertanto, nelle materie oggetto di disciplina della legge in esame il legislatore provinciale, nell'esercizio della propria competenza legislativa, è sottoposto al rispetto degli standards minimi ed uniformi di tutela posti in essere dalla legislazione nazionale, ex art. 117, comma 2, lettera s) Cost., oltre che al rispetto della normativa comunitaria di riferimento secondo quanto disposto dall'art. 8, comma 1 dello statuto speciale e dall'art. 117, comma 1 della Costituzione.
La Corte Costituzionale, ha peraltro ribadito nella pronuncia n. 62/2008 che rientra nell'ambito della "tutela dell’ambiente e dell’ecosistema" il potere dello Stato di determinare principi di tutela uniformi da valere sull’intero territorio nazionale, in particolare, ha precisando che “la competenza legislativa esclusiva in materia di "tutela del paesaggio" e "urbanistica" e la competenza legislativa concorrente in materia di "igiene e sanità" possono costituire un valido fondamento dell’intervento provinciale, ma tali competenze devono essere esercitate nel rispetto dei limiti generali di cui all’art. 4 dello statuto speciale, richiamati dall’art. 5 .......”.
La Consulta ha inoltre affermato, nella recente sentenza n. 315/2009 , che alle Regioni, nel rispetto dei livelli di tutela fissati dalla disciplina statale, è demandato esercitare le proprie competenze, dirette essenzialmente a regolare la fruizione dell’ambiente, evitando compromissioni o alterazioni dell’ambiente stesso. In questo senso è stato affermato che la competenza statale, allorché sia espressione della tutela dell’ambiente, costituisce “limite” all’esercizio delle competenze regionali e provinciali.
Sulla base di queste premesse è censurabile, perché invasiva della competenza esclusiva statale di cui all'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione ed in violazione dei vincoli posti al legislatore provinciale dai suindicati artt. 8 e 9 dello Statuto, la disposizione contenuta nell’articolo 9, comma 8, della legge provinciale, relativo alla lavorazione di materiali inerti, che contrasta con la vigente normativa nazionale di settore ed in particolare con la definizione di “rifiuto”, così come stabilita, in ambito nazionale, dalla Parte IV del Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 ed , in ambito comunitario, dalla Direttiva 2006/12/CE.
La norma provinciale , infatti, nella parte in cui consente all’interno delle cave “la lavorazione di materiali inerti provenienti anche da altre cave, sbancamenti, scavi, gallerie, fiumi, torrenti, rii o zone colpite da eventi naturali eccezionali ubicati ad una distanza non superiore a 15 chilometri dall’impianto”, senza assoggettare tale attività alle prescrizioni in materia di autorizzazioni all’esercizio di impianti di trattamento rifiuti, esclude aprioristicamente e genericamente che tali materiali (tra i quali sono ricompresi le terre e rocce da scavo e i materiali da demolizione) rientrino nell’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti.
A tal proposito, infatti, la sfera di applicazione della Parte IV del Dlgs 152/06 e delle altre disposizioni del settore è individuata sulla base della definizione di “rifiuto” e dei limiti di applicazione della stessa.
In tal senso, l’articolo 183, comma 1, lettera a), del Dlgs 152/06 definisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie di cui all’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”, mentre l’art. 185 del Dlgs 152/06, rubricato “Limiti al campo di applicazione”, precisa le categorie di rifiuti esclusi dal campo di applicazione della Parte IV e le relative condizioni di esclusione. Tale ultima norma non comprende i materiali in questione stabilendo un criterio non derogabile dalla disciplina regionale. Infine l’articolo 186 del Dlgs 152/06, rubricato “Terre e rocce da scavo” permette il riutilizzo solo a determinate e rigide condizioni.
Secondo tali definizioni, risulta evidente che i suddetti materiali rientrano nella definizione di rifiuto (Codice CER 01 e 17 ).
Allo stesso tempo, non potrebbe essere ritenuto sufficiente a sottrarre detti materiali dalla disciplina in materia di rifiuti la circostanza per cui essi sono “riutilizzati”.
Questa interpretazione è accolta anche in ambito comunitario, laddove la Corte di Giustizia - in merito all’applicazione della definizione di rifiuto recata dell’art.1, paragrafo 1, lettera a) della Direttiva 12/2006/CE - ha più volte ribadito che la sfera di applicazione della vigente Direttiva 12/2006/CE in materia di rifiuti è determinata congiuntamente dalla definizione di rifiuto e dall’art. 2, paragrafo 1, della stessa direttiva, che indica quali tipi di rifiuti sono o possono essere esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva. Inoltre la Corte ha precisato che la sfera di applicazione non può essere limitata dalle norme nazionali mediante disposizioni che traviserebbero necessariamente l’ambito di applicazione della direttiva stessa e che “sono le circostanze specifiche a fare di un materiale un rifiuto o meno e che pertanto le autorità competenti devono decidere caso per caso” .
Quanto sopra affermato è stato anche ribadito dalla Commissione Europea nella “Comunicazione interpretativa sui rifiuti e sui sottoprodotti” (Bruxelles, 21.2.2007 COM(2007) 59) destinata al Parlamento ed al Consiglio Europeo. Nella citata Comunicazione la Commissione ha infatti chiarito che non esiste “una distinzione netta tra i materiali e rifiuti ” e che “per applicare la normativa sui rifiuti occorre tracciare caso per caso, una linea chiara tra le due situazioni giuridiche stabilendo se il materiale di cui si tratta costituisce rifiuto o meno”.
Per le ragioni sopra esposte si ritiene che consentire la lavorazione delle terre e rocce da scavo e i materiali da demolizione, così come prospettato dalla disposizione provinciale in esame, significa escluderli automaticamente dalla categoria dei rifiuti in maniera non coerente con la normativa nazionale e comunitaria sui rifiuti.
La norma provinciale violando il vincolo del rispetto comunitario - derivante dall'art. 117, primo comma, della Costituzione – rappresentato nella materia dei rifiuti dalla Direttiva 2006/12/CE e dai principi generali stabiliti dalla Corte di giustizia europea in ordine alla definizione di "rifiuto", esporrebbe altresì l’Italia al rischio di infrazione comunitaria.
Sulla base di quanto esposto, la normativa provinciale in questione, dettando disposizioni confliggenti con la normativa nazionale vigente, espressione della potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art.117, comma 2, lett. s) della Costituzione, nonché con disposizioni di derivazione comunitaria, in violazione dell’articolo 117, comma 1 Cost., eccede dalle competenze provinciali di cui agli articoli 8 e 9 dello Statuto speciale di autonomia.
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