Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria anno 2010. (21-1-2010)
Campania
Legge n.2 del 21-1-2010
n.7 del 21-1-2010
Politiche economiche e finanziarie
4-2-2010 / Impugnata
La legge in esame è censurabile per i motivi che di seguito si espongono.

- L’articolo 1, comma 1, della legge regionale in oggetto, detta norme in tema di affidamento del servizio idrico integrato in contrasto con la disciplina statale di riferimento.
In via preliminare va evidenziato che la disciplina statale in tema di servizio idrico integrato è l’espressione della potestà legislativa esclusiva statale, come espressamente riconosciuto anche della Corte Costituzionale nelle più recenti sentenze, in cui si legge che <> (sentenza n. 307/2009).
Nella medesima occasione, proprio la Corte Costituzionale ha ricordato come iniziative legislative regionali in tema di affidamento del servizio potrebbero essere ritenute legittime solo nella misura in cui ponessero un livello di tutela maggiore per la concorrenzialità del mercato.
In particolare, la disciplina degli affidamenti dei servizi pubblici locali di rilevanza economica è stata di recente riscritta dal legislatore statale con l’art. 23-bis del dl n. 112/2008 e s.m.i., che ha in parte sostituito le discipline di settore con esse contrastanti e che si pone, quindi, come norma espressione della competenza statale su descritta.
La legge regionale in oggetto si pone in contrasto con il quadro statale di riferimento appena delineato, per diversi aspetti.
In primo luogo essa stabilisce che <>.
La declinazione del servizio idrico come <> è in palese contrasto con tutta la disciplina nazionale di riferimento e con la consolidata giurisprudenza costituzionale. Il primo periodo del comma 1 dell’articolo 1 della citata legge regionale definisce infatti il servizio idrico integrato come privo di rilevanza economica, mentre il menzionato art. 23 bis disciplina i servizi pubblici locali di rilevanza economica, prevedendo espressamente che “le disposizioni del presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali”.
Sulla rilevanza economica del servizio idrico integrato si segnala, per un verso, come la stessa fosse implicita già dalla lettura dell’art. 113 del d. lgs. n. 267/2000, che vi faceva riferimento nel disciplinare proprio la <>. Per altro verso la rilevanza economica del servizio idrico si evince chiaramente dalle pronunce della Corte Costituzionale sulla rilevanza economica dei servizi pubblici locali (sent. n. 272/2004) e sul servizio idrico in particolare (da ultimo sent. 307/2009).
In secondo luogo le disposizioni regionali violano la normativa statale in tema di affidamento del servizio idrico, rappresentata dall’articolo 23 bis del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, come da ultimo modificato dal dl n. 135/2009, nella misura in cui disciplinano in modo del tutto difforme le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio ed il termine di decadenza degli affidamenti in essere.
In particolare il secondo periodo del comma 1 dell’art. 1, della legge regionale, prevede che “in merito alle politiche relative alle società di distribuzione dell’acqua potabile, le aziende operative nella regione Campania devono avere la maggioranza assoluta dell’azionariato a partecipazione pubblica”. Tale norma pone alle aziende che intendano “operare” nella regione un vincolo di assetto proprietario definito, incidendo, in tal modo, sulle procedure di affidamento, poiché vieta alle società prive della maggioranza assoluta dell’azionariato pubblico di ottenere l’affidamento del servizio.
La disciplina statale, invece, all’art. 23- bis, comma 2, del dl n. 112/2008, prevede, sul punto, che “Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria […] b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento”.
Allo stesso modo, anche il terzo periodo del comma 1, dell’ articolo 1 della legge regionale si pone in contrasto con la disciplina statale poiché dispone che <>. Detta norma contrasta con il comma 8 dell’articolo 23 bis che prevede una più complessa, articolata e restrittiva disciplina del regime transitorio, disciplinando dalle lettere a) ad e), la materia in modo difforme e più complesso, dettando pre ogni tipo di gestione una specifica disciplina per il periodo transitorio.
Per tutti i profili suesposti la disciplina regionale si pone in contrasto con l’articolo 23 bis del dl. n. 112/08, da ultimo modificato dal dl. n. 135/09 e viola l’art. 117, comma 2, lett. e) ed s) in materia di tutela della concorrenza e tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva statale, come più volte chiarito anche dalla Corte Costituzionale in tema proprio di servizi pubblici (cfr., tra tutte, sentt. Corte Cost. nn. 272/2004 e 307/09).

- L'articolo 1, comma 2, è illegittimo in quanto, secondo il suo disposto, nel territorio campano, in assenza di intese con lo Stato, in merito alla loro localizzazione, è preclusa l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione e di stoccaggio del combustibile nucleare, nonché di depositi di materiali radioattivi.
Si premette che l’articolo 7 del D.L. n. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008 definisce la strategia energetica nazionale posta in essere, perseguendo, tra l’altro, l’obiettivo della realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare (comma 1, lettera d) articolo citato).
Inoltre, con l’articolo 25 della legge n. 99/2009, è stata data delega al Governo ad emanare decreti legislativi di riassetto normativo recanti la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché dei sistemi per il deposito definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi e per la definizione delle misure compensative da corrispondere e da realizzare in favore delle popolazioni interessate. Detti decreti sono adottati, acquisito il parere della Conferenza Unificata Stato Regioni ed autonomie locali.
Tale ultima norma statale è stata impugnata da numerose regioni di fronte alla Corte Costituzionale, ove il giudizio è pendente.
Le disposizioni nazionali citate costituiscono espressione della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, comma 2, lettera s) Cost) nonché principi fondamentali in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia (art. 117, comma 3, Cost).
Quanto sopra premesso, la disposizione regionale indicata risulta censurabile per i seguenti motivi.
La preclusione nel territorio regionale dell’istallazione di impianti, fabbricazione, stoccaggio e deposito del combustibile nucleare, di materiali radioattivi, disposta unilateralmente con lo strumento legislativo eccede dalle competenze regionali e risulta in contrasto con i principi di sussidiarietà, ragionevolezza e leale collaborazione, seppure menzionati dalla stessa norma regionale.
Infatti, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, “alle regioni è sempre interdetto adottare misure di ogni genere capaci di ostacolare in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le regioni, e una normativa che precluda il transito e la presenza, anche provvisoria, di materiali nucleari è precisamente una misura fra quelle che alle Regioni sono vietate dalla Costituzione.
La comprensibile spinta, spesso presente a livello locale, ad ostacolare insediamenti che gravino il rispettivo territorio degli oneri connessi, non può tradursi in un impedimento insormontabile alla realizzazione di impianti necessari per una corretta gestione del territorio e degli insediamenti al servizio di interessi di rilievo ultraregionale.” Ciò, quand’anche la disciplina regionale fosse transitoria, poiché la stessa Consulta ha precisato che “non varrebbe a giustificarla sul piano costituzionale una volta che si riscontri che essa eccede dalla competenza della regione e viola limiti a questa imposti dalla Costituzione". (cfr. sent. n. 62/2005, ed altresì nn. 161/2005, 247/2006, 10/2009). La disposizione regionale, pertanto, viola quindi l’articolo 120, primo comma Cost..
Il previsto divieto regionale invade altresì in modo palese la competenza esclusiva attribuita dallo Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di cui è espressione il citato articolo 25 della legge n. 99/2009. Infatti, secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale, confermata nella pronuncia n. 378/2007, la potestà di disciplinare l'ambiente nella sua interezza è stata affidata in via esclusiva allo Stato, dall'art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come è noto, parla di "ambiente" (ponendovi accanto la parola "ecosistema") in termini generali e onnicomprensivi. Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come una entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto. Ed è da notare che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente, inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sent. n. 151/1986) ed assoluto (sent. n. 210/ 1987) il cui perseguimento in modo unitario è attribuito allo Stato.
Analogamente, la norma regionale viola i principi fondamentali in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia (art.117, comma 3, Cost). L’articolo 25 della legge n.99/2009, infatti, delega il Governo in materia nucleare e prescrive principi e criteri direttivi, con il necessario coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali, concernenti anche la localizzazione di impianti e la dichiarazione dei siti quali aree di interesse strategico nazionale. Ciò costituisce indubbiamente principio fondamentale della materia non derogabile dalle singole discipline regionali. Peraltro, con ragionamento a contrario, laddove fosse consentito alle Regioni di precludere il proprio territorio alla localizzazione di tali impianti o fosse consentito ad esse di adottare misure restrittive al deposito di materiali radioattivi, si vanificherebbe la strategia unitaria dello Stato in materia energetica, in violazione dell’articolo 7 del d.l. n.112/2008 come convertito in legge n. 133/2008, con evidente pregiudizio per gli interessi dell’intera collettività, ed in particolare di quelli residenti in territori regionali ove non risultassero presenti tali limitazioni.
Censurabile risulta altresì l’art.1, comma 2, nella parte in cui, alla mancanza di intesa con lo Sato in merito alla localizzazione degli impianti, consegue la preclusione sopra indicata. Infatti, l’articolo 25 delle l.n. 99/2009 prevede una idonea forma di coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali. Peraltro, al fine di evitare che gli obiettivi strategici previsti dalla normativa nazionale siano vanificati dal mancato raggiungimento di un accordo, la stessa normativa nazionale di attuazione della delega sta prevedendo, oltre l'intesa, anche una procedura “alternativa all’intesa” onde evitare la paralisi dell’azione amministrativa (v. art. 11, comma 5 e 6 dello schema d. lgs. in itinere). Da ciò si evince con chiarezza, al di là della concreta effettività delle norme, la necessità di adottare un percorso condiviso e di conseguenza, l’illegittimità di discipline unilaterali regionali di senso opposto. La disposizione regionale pertanto costituisce un ingiustificato ostacolo alla libera circolazione delle cose tra le Regioni in violazione dell’art. 120, comma 1, Cost.

- L’articolo 1, comma 12, ultimo capoverso, della legge regionale in oggetto, è in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria vigente in materia di acque.
La norma prevede un finanziamento con fondi comunitari (risorse FESR) di condotte sottomarine da realizzare “lungo i canali artificiali con più elevato carico inquinante del litorale Dominio/Flegreo” (e perciò, implicitamente, dell’ammissibilità di tali interventi); così disponendo risulta incompatibile con la doverosa destinazione delle risorse pubbliche alla realizzazione di opere funzionali, nel caso di specie, a garantire la corretta depurazione e, quindi, lo scarico di acque reflue a norma.
La realizzazione e il finanziamento delle suddette infrastrutture è volto a creare, senza alcun beneficio ambientale, una diversificazione di ricettore di scarichi non depurati, nel mare piuttosto che nei canali artificiali. Ciò, in un’area quale quella del Litorale Domizio Flegreo - già sito di interesse nazionale, territorio nel quale sono già in campo notevoli risorse umane e finanziarie tese al ripristino di uno stato di legalità ambientale - laddove occorre assicurare interventi maggiormente riqualificanti, dedicati alla irreggimentazione delle acque e dei reflui urbani che scaricano in assenza di depurazione ed a garantire una depurazione che rispetti i limiti tabellari.
La formulazione della norma in esame consentirebbe interventi non legittimi e sottrarrebbe risorse pubbliche a soluzioni alternative, risolutive dello stato di degrado esistente.
Per le motivazioni sin qui esposte, non è conforme al dettato costituzionale l’articolo 1, comma 12, ultimo capoverso, in quanto introduce una previsione contraria alla normativa comunitaria e nazionale vigente in materia di acque – Dir. 2000/60/CE e parte III del 152/2006 – ed inoltre non tiene conto delle finalità istituzionali con le quali sono stati fissati e condivisi obiettivi tra Comunità Europea, Stato e Regioni, finalizzati alla piena attuazione della stessa. La norma regionale in oggetto, dettando disposizioni difformi dalla normativa comunitaria, nonché a quella nazionale di riferimento afferente alla materia della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» e della “tutela della concorrenza”, si pone in contrasto con l’art. 117, comma 1, e comma 2, lett e) ed s), della Costituzione.

- Art. 1, comma 16, in tema di addestramento ed allenamento dei cani da caccia.
Tale disposizione prevede che “Al fine di contribuire al rilancio dell’economia delle zone montane e dei territori compresi nei parchi mediante il turismo cinofilo (cino-turismo), i comuni ricompresi in queste aree istituiscono, anche d’intesa con gli organi di direzione degli enti parco medesimi, aree cinofile. Dette aree sono adibite esclusivamente all’addestramento ed allenamento dei cani da caccia ed alle conseguenti verifiche zootecniche. Nell’interno delle stesse i comuni individuano strutture ove consentire l’addestramento anche dei cani da pastore, da utilità e dei cani adibiti alla pet-therapy ed al soccorso. La realizzazione e gestione di tali aree e strutture è prevalentemente affidata a cooperative di giovani residenti nei comuni interessati o ad imprenditori agricoli, singoli o associati, ed alle associazioni cinofilo-venatorie. In tali zone sono altresì consentite, nell’arco dell’anno, prove zootecniche per il miglioramento delle razze canine da caccia e da pastore di cani iscritti all’anagrafe canina…”
Così disponendo, la norma regionale si pone in contrasto con la normativa statale di settore rappresentata dalla legge n. 394/91 “Legge quadro sulle aree protette”, la quale all’articolo 11 prevede che ogni parco, nel rispetto delle proprie caratteristiche, attraverso il proprio Regolamento, disciplini l’esercizio delle attività consentite entro il territorio di competenza, imponendo, tuttavia, al comma 3, il divieto di tutte “le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat ”. Tra tali attività rientra sicuramente l’ addestramento cani atteso che, come affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 350 del 1991 “nessun dubbio può sussistere ne in ordine al fatto che , in quanto attività strumentale all’esercizio venatorio, debba ricondursi alla materia della ...”, appare assimilabile alla materia della caccia e di conseguenza assolutamente vietata nelle aree protette.
Conclusivamente, la norma regionale in oggetto, dettando disposizioni difformi dalla normativa nazionale di riferimento afferente alla materia della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» e della “tutela della concorrenza” di cui all’art. 117, comma 2, lett. s) ed e), per la quale lo Stato ha competenza legislativa esclusiva, presenta profili di illegittimità costituzionale.

- Censurabile è, ancora, l’articolo 1, comma 25, in materia di inserimento di centrali di produzione di energia da fonti rinnovabili. In particolare è disposto il rispetto di una distanza minima per tutti gli insediamenti energetici non inferiore a cinquecento metri lineari dalle aree interessate da coltivazioni viticole con marchio DOC e DOCG e non inferiore a mille metri lineari da aziende agrituristiche ricadenti in tali aree. Tale disposizione, quindi, nel fissare distanze minime per gli insediamenti energetici, individua aree non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
A tal riguardo, si precisa, infatti, che l'art. 12, comma 10, del D. lgs. n. 387 del 2003 prevede che “In Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali, si approvano le linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3”, relativo al rilascio dell'autorizzazione per l'installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Tale disposizione è espressione della competenza statale in materia di tutela dell'ambiente, in quanto, inserita nell'ambito della disciplina relativa ai procedimenti per il rilascio dell'autorizzazione relativa agli impianti da fonti rinnovabili di cui sopra, ha quale precipua finalità quella di proteggere il paesaggio. Il legislatore, infatti, allo stesso comma 10, ha espressamente sancito che le linee guida “sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio”.
Come costantemente affermato dalla Corte Costituzionale <<[…] la normativa statale di cornice non contempla alcuna limitazione specifica, né divieti inderogabili, rinviando alle linee guida di cui all'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003, il compito di «assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio». È ben vero che la richiamata disposizione statale abilita le Regioni a «procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti», ma ciò può aver luogo solo «in attuazione» delle predette linee guida. Al momento attuale non risulta che le linee guida siano state adottate con le modalità previste dallo stesso comma 10, vale a dire in sede di Conferenza unificata. Al riguardo, questa Corte ha precisato che «la presenza delle indicate diverse competenze legislative giustifica il richiamo alla Conferenza unificata, ma non consente alle Regioni […] di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa» (sentenza n. 166 del 2009). Il bilanciamento tra le esigenze connesse alla produzione di energia e gli interessi, variamente modulati, rilevanti in questo ambito impone, infatti, una prima ponderazione concertata in ossequio al principio di leale cooperazione, al fine di consentire alle Regioni ed agli enti locali di contribuire alla compiuta definizione di adeguate forme di contemperamento di tali esigenze. Una volta raggiunto tale equilibrio, ogni Regione potrà adeguare i criteri così definiti alle specifiche caratteristiche dei rispettivi contesti territoriali.>> (cfr. sent. Corte Cost. n. 282/09, punto 4, cons. in diritto).
La norma è lesiva della competenza dello Stato in materia di tutela dell'ambiente di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera s) Cost., nonché del comma 3 dello stesso articolo, in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.

- Sono censurabili, inoltre, le disposizioni contenute nell’art. 1 dai commi 55 a 63, in materia di personale.
Le disposizioni contenute nei commi da 55 a 60 sono dirette a modificare l’art. 81 della l.r. n. 1/2008, nel senso di estendere le procedure di stabilizzazione previste dal medesimo articolo nell’ambito di quanto previsto dall’art. 1, comma 565, della legge n. 296/2006:
- alla “dirigenza di primo livello” (con esclusione dei dirigenti di strutture semplici e complesse) che abbia prestato servizio a tempo determinato presso le aziende sanitarie;
- al personale del comparto ed alla dirigenza delle aziende ospedaliere universitarie che svolge in via esclusiva attività di assistenza sanitaria in forza di contratti a tempo determinato stipulati con le medesime aziende.
Le predette previsioni ripropongono sostanzialmente i contenuti delle disposizioni recate dell’art. 1, commi 1 e 4, della precedente legge della regione Campania 14 aprile 2008, n. 5 sulle quali si è espressa la Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 215/2009), dichiarandone l’illegittimità ed affermando, a sostegno delle censure mosse, che nella fattispecie non risultano delimitati i presupposti per l’esercizio del potere di assunzione, non essendo la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato subordinata all’accertamento delle necessità funzionali dell’amministrazione, né risultano previste procedure imparziali ed obiettive di verifica dell’attività svolta per la valutazione di idoneità ad altri incarichi dirigenziali in grado di garantire la selezione dei migliori.
In considerazione di quanto sopra, i commi 56, 57 e 58 della legge n. 2/2010 integrano le predette previsioni
con apposite norme volte a disporre che la stabilizzazione del personale dirigenziale avvenga:
previo accertamento delle specifiche necessità funzionali dell’amministrazione procedente;
a seguito di verifica in termini positivi dell’attività svolta come dirigente nell’ambito del rapporto a tempo determinato.;
nei confronti del personale dirigenziale assunto ab origine mediante procedure concorsuali preordinate al conferimento di incarichi dirigenziali prevedendo altresì che, in caso contrario, gli interessati debbano comunque essere preventivamente sottoposti a selezioni basate sulle norme statali vigenti in materia di accesso alla dirigenza.
Al riguardo, pur prendendo atto di quanto sopra, si osserva che il quadro normativo statale in materia di assunzioni di personale precario è profondamente mutato sia con riferimento alla generalità delle amministrazioni pubbliche sia relativamente, in particolare, agli enti del SSN.
In proposito si segnala quanto segue:
il citato articolo 1, comma 565, in quanto riferito al triennio 2007-2009, deve intendersi superato. Per l’anno in corso e per gli anni 2011-12 occorre invece far riferimento, per quanto concerne il contenimento delle spese di personale degli enti del S.S.N., alle norme contenute nell’art. 2, commi da 71 a 74, della legge n. 191/2009 che si configurano quali norme di coordinamento della finanza pubblica e che non recano alcuna disposizione volta a consentire l’attuazione di procedure di stabilizzazione di personale anche non dirigenziale;
le predette procedure di stabilizzazione devono intendersi superate anche per effetto delle previsioni recate dall’art. 17, commi da 10 a 13, del decreto-legge n. 78/2009 convertito con modificazioni nella legge n. 102/2009 che, con riferimento alla generalità delle amministrazioni pubbliche, stabiliscono nuove modalità di assunzione a tempo indeterminato del personale non dirigenziale che abbia prestato servizio a tempo determinato. Dette norme, richiamate dallo stesso articolo 2, comma 74, della n. 191/2009, fanno esclusivo riferimento al personale precario non dirigenziale delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del d. lgs 165/2001 e successive modificazioni, tra cui sono ricompresi anche gli enti del SSN.
Alla luce di quanto precede, si ritiene che i commi in esame violano sia l’articolo 117, comma 2, lettera l, della Costituzione il quale riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal Codice civile (contratti collettivi) sia il comma 3 del medesimo articolo 117 che ricomprende la materia del coordinamento della finanza pubblica nell’ambito di quelle a legislazione concorrente.
Si segnala infine che risulta improprio il riferimento alla dirigenza di primo livello recato dai commi in esame, tenuto conto che il d. lgs. n. 229/99, nel dettare una nuova disciplina della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale, ha stabilito che la stessa è articolata in un unico ruolo ed unico livello. Tale modifica ordinamentale è stata recepita dal CCNL 8.6.2000 e non ha subito variazioni per effetto dei successivi CCNL.

- La Regione, all’articolo 1, comma 69, apporta talune modifiche all’art. 32 bis della legge regionale 28 marzo 2007, n. 4 (pubblicata in B.U.R. n. 19 del 3 aprile 2007), recante “ Norme in materia di gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati”, di talché la disposizione in parola, a seguito delle variazioni introdotte, diviene del seguente tenore: “I consorzi obbligatori per lo smaltimento dei rifiuti cessano di svolgere le proprie funzioni, trasferite alle province, che subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, dal momento dell’avvenuto trasferimento dei servizi al nuovo soggetto gestore”. Il testo originale dell’articolo 32 bis, inserito dalla l.r. n. 4/07, recitava come segue: “Alla data di entrata in vigore della presente legge i consorzi obbligatori per lo smaltimento dei rifiuti cessano di svolgere le proprie funzioni, trasferite alle province, che subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi”.
Giova, prima di tutto, evidenziare come la disciplina dei rifiuti, per consolidato orientamento della Corte Costituzionale, venga concordemente fatta rientrare, “collocandosi nell’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, nell’ambito della legislazione esclusiva statale ai sensi del comma 2, lettera s), dell’ art. 117 della Costituzione (cfr. Corte Cost. sent. n. 314/2009), restando in capo alle Regioni la “possibilità … di intervenire ovviamente nel rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati dallo Stato” (Corte Cost. Sent. n. 314/2009).
E ancora, similmente: “La competenza statale nella materia ambientale si intreccia con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare standard di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. Pertanto, anche nel settore dei rifiuti, accanto ad interessi inerenti in via primaria alla tutela dell’ambiente, possono venire in rilievo interessi sottostanti ad altre materie, per cui la competenza statale non esclude la concomitante possibilità per le Regioni di intervenire … ovviamente nel rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati dallo Stato” (Corte Cost. Sent. n. 62/2008, ma anche, ex multis, Sent. 407/2002, Sent. 62/2005, Sent. 247/2006, Sent. 380/2007).
E proprio nel legittimo esercizio di siffatta potestà, il Governo ha emanato il decreto legge 195/2009, recante, tra l’altro, norme specifiche per l’emergenza rifiuti proprio nella Regione Campania e in armonia con la disposizione regionale dell’originale art. 32 bis della l.r. n. 4/07, per un definitivo trasferimento di funzioni alle province, con il conseguente venir meno della figura consortile.
Il disegno regionale originale, dunque, coincideva con quello espresso nell’articolo 11, comma 2, del decreto legge n. 195/2009, il quale prevede talune misure volte ad accelerare, anche al fine di evitare soluzione di continuità rispetto agli atti compiuti nella fase emergenziale, la costituzione e l’avvio delle società provinciali, mediante l’immediata assunzione da parte delle province, anche per il tramite delle società provinciali, dell’intero ciclo di gestione dei rifiuti.
Tali misure, nello specifico e per quanto qui di interesse, si concretizzano inoltre nella facoltà per le amministrazioni provinciali, anche per il tramite delle società provinciali stesse, di subentrare nei contratti in corso con soggetti privati “che attualmente svolgono in tutto o in parte le attività di raccolta, di trasporto, di trattamento, di smaltimento ovvero di recupero dei rifiuti. In alternativa, possono affidare il servizio in via di somma urgenza, nonché prorogare i contratti in cui sono subentrati per una sola volta e per un periodo non superiore ad un anno con abbattimento del 3 per cento del corrispettivo negoziale inizialmente previsto”.
Con l’attuale versione dell’art. 32 bis, l’impianto strategico previsto dallo Stato viene posto nel nulla, atteso che l’ultrattività della figura consortile impedisce, ad esempio, alle Province di intraprendere le sopra menzionate attività di gestione del ciclo dei rifiuti.
E, ancora, il successivo comma 3, secondo periodo, dell’articolo 11, recita testualmente: “Per fronteggiare i relativi oneri finanziari, le Società provinciali di cui alla legge della regione Campania 28 marzo 2007, n. 4, agiscono sul territorio anche quali soggetti esattori della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) e della tariffa integrata ambientale (TIA)”.
La “reviviscenza” dei consorzi, così come sancita dal novellato art. 32 bis, dunque, fa sì che risultino non praticabili le attività di cui al predetto comma 3, significando, al riguardo, che gli introiti derivanti dall’imposizione della TARSU e della TIA non possano trovare utile allocazione nelle casse provinciali (si legga anche società provinciali), bensì, ancora una volta, in quelle consortili, proprio in ragione delle prestazioni da essi consorzi eseguite. Ciò comporta, di conseguenza, che le società provinciali non si trovino attualmente nelle condizioni, previste per legge, di assumere la veste di soggetti esattori, con la determinazione, di fatto, dell’inefficacia delle disposizioni di cui all’art. 11, comma 3, del dl n. 195/09.
Il successivo articolo 12 del decreto legge in parola, poi, in tema di riscossione dei crediti nei confronti dei comuni campani, testualmente dispone che: “1. Per la sollecita riscossione da parte dei Consorzi operanti nell'ambito del ciclo di gestione dei rifiuti dei crediti vantati nei confronti dei comuni, è autorizzata la conclusione tra le parti di transazioni per l'abbattimento degli oneri accessori dei predetti crediti. Sulla base delle previsioni di cui all'articolo 32-bis della legge della regione Campania 28 marzo 2007, n. 4, e successive modificazioni, i Presidenti delle province della regione Campania, con i poteri di cui all'articolo 11, comma 1, nominano, entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, un soggetto liquidatore per l'accertamento delle situazioni creditorie e debitorie pregresse, facenti capo ai Consorzi, ed alle relative articolazioni societarie, ricadenti negli ambiti territoriali di competenza e per la successiva definizione di un apposito piano di liquidazione.
2. Le somme dovute dai comuni alla struttura del Sottosegretario di Stato di cui all'articolo 1 del decreto-legge n. 90 del 2008 in relazione al ciclo di gestione dei rifiuti sono recuperate mediante riduzione dei trasferimenti erariali, nonché in sede di erogazione di quanto dovuto per la compartecipazione al gettito IRPEF, e per la devoluzione del gettito d'imposta RC auto. A tale fine, i crediti vantati nei confronti dei singoli enti sono certificati dalla competente Missione ai fini dell'attestazione della relativa esistenza. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sono stabiliti i criteri e le modalità per l'applicazione delle disposizioni di cui al presente comma”.
E’ di tutta evidenza come la richiamata disposizione muova anch’essa dalla precedente versione dell’art. 32 bis della menzionata legge regionale del 2007 e appronti specifiche misure volte a consentire la sollecita riscossione da parte dei consorzi, operanti nel ciclo di gestione dei rifiuti, dei crediti vantati nei confronti dei comuni.
L’intervento della legge regionale in esame impedisce, chiaramente, che vengano portate a compimento le operazioni di rendicontazione e chiusura delle pendenze finanziarie in vista del trasferimento alle province, svuotando di significato la nomina di un soggetto liquidatore. Ciò detto, quindi, il legislatore eccede dalle sue competenze legislative, ponendosi in contrasto con la normativa statale su richiamata e violando l’articolo 117, comma 2, lett. s, della Costituzione, in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

- Sono censurabili, in ultimo, le disposizioni contenute nell’art. 1 commi da 83 a 91 in materia di retribuzione ed anzianità di servizio.
Le disposizioni in esame consentono ai dipendenti del Consiglio regionale, della Giunta regionale e degli enti strumentali della regione Campania, con solo otto anni di anzianità lavorativa, di presentare domanda per la risoluzione del rapporto di lavoro per gli anni 2010 – 2011 – 2012, dietro corresponsione a detto personale, da parte della Regione, di incentivi economici fino ad un massimo di trentasei mensilità per il personale non dirigente e fino ad massimo di trenta mensilità per il personale dirigenziale.
Così disponendo, le norme incidono sulla materia del trattamento economico riservate alla contrattazione collettiva. Ne consegue, pertanto, un contrasto con le disposizioni contenute nel titolo III (Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale), da art. 40 a art. 50, del d. lgs n. 165/2001 che obbliga al rispetto della normativa contrattuale e delle procedure da seguire in sede di contrattazione. L’art. 1, commi da 83 a 91, quindi, viola l’art. 117, lett. l) della Costituzione, il quale riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi i rapporti di diritto privato regolabili dal Codice civile (contratti collettivi).

La legge deve quindi essere impugnata ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione

« Indietro