Dettaglio Legge Regionale

Interventi normativi e finanziari per l'anno 2010. (10-8-2010)
Abruzzo
Legge n.38 del 10-8-2010
n.13 del 13-8-2010
Politiche economiche e finanziarie
7-10-2010 / Impugnata
La legge regionale in esame è illegittima per i motivi che di seguito si espongono.
- L'art. 2 fornisce un'interpretazione autentica del comma 2 dell'art. 34 della L.r. n.17/2010, "nel senso che per ogni giornata di deroga dall’obbligo di chiusura domenicale deve corrispondere la concertazione di una corrispondente giornata di chiusura infrasettimanale e che non è consentita la deroga alle chiusure domenicali e festive in caso di mancato adempimento di questo obbligo. Non è consentita, inoltre, la deroga di cui al comma 2 dell’art. 34 della L.R. n. 17/2010, così come interpretato dal presente articolo nel caso di mancato rispetto del comma 3 del medesimo articolo 34.".
Si premette che i commi 2 e 3 dell'art. 34, della L.r. n. 17/2010, sono stati oggetto di censura governativa (delibera CdM del 9/7/2010) ed è tutt'ora pendente il ricorso dinanzi la Corte Costituzionale, di cui si ribadiscono le motivazioni. In particolare il comma 2 era stato oggetto di censura poiché, tale disposizione nel dare la possibilità agli esercenti il commercio, con propria libera scelta, di disporre di derogare dall’obbligo di chiusura domenicale e festiva, per un numero di 40 giornate nell’arco dell’anno, previa Ordinanza Sindacale, concertata con i Sindacati e con le Organizzazioni di categoria delle giornate di chiusura infrasettimanale, si pone in contrasto con la normativa nazionale di riferimento, violando l'articolo 117, comma 2, lett. e).
In particolare, l'articolo 11 del d.lgs. n.114/1998, prevede che gli orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio sono rimessi alla libera determinazione degli esercenti nel rispetto delle disposizioni del presente articolo e dei criteri emanati dai comuni, sentite le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti e che il comune, sentite le stesse, individua i giorni e le zone del territorio nei quali gli esercenti possono derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva. Detti giorni comprendono comunque quelli del mese di dicembre, nonché ulteriori otto domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell'anno. Questa disposizione deve farsi rientrare non già nell'ambito della materia "commercio", di competenza residuale regionale, bensì, nell'ambito della tutela della concorrenza, materia di competenza legislativa esclusiva statale, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lett. e), della Costituzione. Anche la Corte Costituzionale, infatti, ha stabilito che il d. lgs. n. 114 del 1998, ha espressamente posto quali finalità della disciplina in materia di commercio, tra le altre, quelle di realizzare «la trasparenza del mercato, la concorrenza, la libertà di impresa e la libera circolazione delle merci», «l'efficienza, la modernizzazione e lo sviluppo della rete distributiva, nonché l'evoluzione tecnologica dell'offerta» (cfr. sent. Corte Cost. n. 430/07). L'odierna interpretazione autentica del comma 2 dell'articolo 34, lungi dal recepire le censure governative sopra sommariamente richiamate ma che si intendono interamente oggi riproposte, determinano ancora alterazioni dell’assetto concorrenziale nel settore.
Pertanto, la Regione Abruzzo, nel ribadire la stessa disposizione e nel fornire un'interpretazione autentica del comma 2 dell'art. 34, della L.r. n. 17/2010, si pone in contrasto con l'art.11 del D.Lgs. n. 114/1998, violando di conseguenza l’articolo 117, comma 2, lettere e) in materia di tutela della concorrenza.
In riferimento all'ultimo periodo dell'articolo 2 oggi censurato, che si ricollega al rispetto del comma 3 del medesimo articolo 34, si intendono, inoltre, richiamate le censure a quel tempo sollevate.

- E', inoltre, censurabile l'art.5, comma 4 in materia di personale.
Anche in questo caso, il legislatore regionale ripropone la stessa disposizione contenuta nell'art. 5 della L.r. n. 24/2010, oggetto questa di censura governativa (giusta delibera del 17/09/2010), il cui ricorso è pendente dinanzi la Corte Costituzionale.
La citata norma regionale prevede genericamente "al fine di consentire l'ordinata conclusione dei progetti in itinere", la possibilità, per i dirigenti regionali, di prorogare i contratti di collaborazione in essere alla data di entrata in vigore della legge regionale. Si prevede, inoltre, che tali proroghe possano essere disposte anche più volte, purchè siano necessarie alla definizione dei programmi di lavoro e/o dei progetti per i quali i rapporti sono in corso e nel rispetto, comunque, delle norme generali di finanza pubblica. Tale generica previsione, oltre a porsi in contrasto con i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli articoli 3 e 97 Cost., consente un generalizzato meccanismo di proroga dei rapporti in essere, senza limiti temporali e senza il rispetto dei requisiti richiesti dall’art. 7, comma 6, del d.l.vo n. 165/2001, il quale prevede che il ricorso a contratti di collaborazioni per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. È vero che la Corte Costituzionale, con sent. n. 252/09, pronunciandosi su questione non dissimile, ha avuto modo di dire che le Regioni possono prevedere requisiti differenti da quelli previsti dall'articolo 7 del suddetto d. lgs., ma i criteri devono essere previsti dettagliatamente, devono essere razionali e ragionevoli. Nella fattispecie in esame, invece, è prevista la proroga incondizionata, dei contratti dei collaboratori in essere sul solo presupposto della necessità della definizione dei programmi di lavoro. Si evidenzia quindi, oltre al contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione per i motivi sopra esposti, anche, un contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, il quale riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal Codice civile (ciò in quanto le disposizioni del d.l.vo n. 165/2001 rappresentano principi ai quali il legislatore regionale deve fare riferimento).

Alla luce dei suddetti motivi, la legge deve essere impugnata dinanzi la Corte Costituzionale ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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