Dettaglio Legge Regionale

Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14. Variazioni al Bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024. Disposizioni varie (10-8-2022)
Sicilia
Legge n.16 del 10-8-2022
n.38 del 13-8-2022
Politiche economiche e finanziarie
10-10-2022 / Impugnata
La legge della Regione Siciliana n. 16 del 10 agosto 2022, recante "Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, u. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14 variazioni al bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024 Disposizioni varie", pubblicata nel B.U.R. Sicilia part I del 13 agosto 2022, n.38, è censurabile relativamente a molteplici disposizioni che, per i motivi a breve illustrati, eccede dalle competenze statutarie riconosciute alla Regione Siciliana dallo Statuto Speciale (R.D.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2,) e viola molteplici principi sanciti dalla Carta Costituzionale.

Articolo 12: la disposizione apporta modifiche alle modalità di copertura indicate dall'articolo 3 della legge regionale 25 maggio 2022, n. 13, a fronte dell’incremento dei fondi per il trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, nonché dell’integrazione delle risorse, già stanziate per il rinnovo del CCRL 2019-2021, da destinare alla revisione del sistema di classificazione del personale.
In via preliminare, occorre rammentare che la copertura finanziaria oggetto di modifica era stata ritenuta inidonea in quanto assicurata con i risparmi di natura strutturale derivanti dalle riduzioni di spesa del trattamento accessorio, quali indicati ai commi 3 e 4 dello stesso articolo, già finalizzati a dare attuazione al punto 2), lettere d) ed e), dell’Accordo Stato-Regione Siciliana del 14 gennaio 2021 e, in quanto tali, resi indisponibili per altre finalità o diversi utilizzi.
Conseguentemente, la norma regionale ha costituito oggetto di impugnativa per violazione dei principi costituzionali di cui all’articolo 81, all’articolo 97, secondo comma e all’articolo 119, primo comma, della Cost. con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 21 luglio 2022.
Ciò posto, si rileva che anche la diversa copertura finanziaria, definita con la modifica dell’articolo 3 della citata legge regionale n. 13/2022, non risulta idonea, in quanto la stessa è assicurata mediante l’utilizzo delle maggiori entrate – di natura tributaria - di cui al Titolo 1, Tipologia 103, capitolo 1026.
Al riguardo, le predette entrate non rivestono il necessario carattere di certezza e stabilità tale da garantire la copertura degli oneri derivanti dalle spese di personale di natura strutturale e incomprimibile nel tempo indicate nella norma regionale, in quanto trattasi di ritenute sugli interessi e redditi di capitale di cui la Regione aggiorna la quantificazione in relazione all’andamento del gettito comunicato dall’Istituto Cassiere e che, pertanto, non assume natura permanente e stabile anche per il futuro essendo correlato a future variabili dei mercati finanziari non prevedibile e consolidabili nel tempo.
A tale proposito si richiamano anche i principi normativi contenuti nell’ articolo 17, comma 1, lettera c), della legge n. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica), che consente la copertura delle maggiori spese mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate; fattispecie non rientrate nel caso in esame.
Peraltro, va richiamato anche quanto disposto dal comma 1-bis del citato articolo 17, che prevede, in via esplicita, che le maggiori entrate rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione derivanti da variazioni degli andamenti a legislazione vigente non possono essere utilizzate per la copertura finanziaria di nuove o maggiori spese o riduzioni di entrate e sono finalizzate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.
Sul punto si richiamano i consolidati indirizzi della Corte Costituzionale, che ha più volte affermato che la copertura finanziaria di una spesa e l’equilibrio del bilancio non possono essere assicurati solamente dall’armonia numerica degli stanziamenti in parte entrata e spesa (ex multis, sentenza n. 197 e n. 6 del 2019), ma devono fondarsi anche sulla ragionevolezza dei presupposti giuridici ed economici che ne sorreggono l’iscrizione in bilancio.
In particolare, con la richiamata sentenza n. 197/2019, la Corte ha ricordato che l’articolo 81, terzo comma, della Cost. pone il principio fondamentale della copertura delle spese richiedendo la contestualità, tanto dei presupposti che giustificano le previsioni di spesa, quanto di quelli posti a fondamento delle previsioni di entrata necessarie per la copertura finanziaria delle prime.
È costante, infatti, l’orientamento della Corte Costituzionale secondo cui le risorse stanziate in entrata devono essere congrue e attendibili, poiché dalla loro effettiva realizzazione dipende la tutela dell’equilibrio di bilancio, il cui canone costituzionale dell’articolo 81, terzo comma, Cost., “opera direttamente, a prescindere dall’esistenza di norme interposte” (tra le tante, sentenza n. 26 del 2013).
Va, altresì, richiamato anche il recente orientamento della Corte Costituzionale n. 155/2022 che nel dichiarare l’illegittimità dell’articolo 12 della legge Regione Siciliana n. 22/2021 per violazione dell’articolo 81 della Cost., ha puntualmente indicato che “....devono essere dichiarate incostituzionali quelle leggi in cui l’individuazione degli interventi e la relativa copertura finanziaria è stata effettuata dal legislatore regionale in modo generico e risulta priva di quella chiarezza finanziaria minima richiesta dalla costante giurisprudenza di questa Corte in riferimento all’articolo 81 della Cost. (ex multis, sentenza n. 227/2019).”
Tale regola, prosegue la Corte, trova applicazione anche per la Regione Siciliana che con l’articolo 7, comma 8, della legge regionale n. 47/1977, e con l’articolo 4, comma 8, del decreto presidenziale 17 marzo 2004, ha recepito i contenuti del decreto legislativo n. 118/2011 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi). In effetti, è proprio la correlazione tra la parte dell’entrata e quella della spesa a rendere indefettibile l’indicazione dei mezzi necessari per fronteggiare le spese di esercizio e assicurare “una visione globale del bilancio, nel quale tutte le spese si confrontano con tutte le entrate [così da assicurare] il mantenimento dell’equilibrio complessivo del bilancio presente e di quelli futuri, senza pretendere di spezzarne l’unità” (sentenza n. 1 del 1966). La copertura finanziaria delle spese deve necessariamente avere un fondamento giuridico, dal momento che, diversamente opinando, sarebbe sufficiente inserire qualsiasi numero nella parte attiva del bilancio per realizzare nuove o maggiori spese.
Tanto premesso, si rileva che l’articolo 12 della legge regionale in parola si pone in palese contrasto con l’articolo 81, terzo comma, Cost. e con le norme che ne specificano l’applicazione al caso in esame.
Si rappresenta, altresì, che il comma 4-bis, introdotto dall’articolo 12 della legge regionale in esame nel corpo dell’articolo 3 della legge regionale 25 maggio 2022, n. 13, prevede che le somme corrispondenti ai risparmi di spesa di cui ai commi 3 e 4 del medesimo articolo 3, derivanti dalla riduzione del fondo per il finanziamento della retribuzione di posizione, parte variabile e di risultato del personale dell'area della dirigenza dell'amministrazione regionale e del fondo risorse decentrate del personale del comparto non dirigenziale della medesima amministrazione, pari a complessivi euro 4.385.134,00 per ciascun anno del triennio 2022, 2023 e 2024, affluiscano a beneficio del bilancio regionale mediante iscrizione in apposito capitolo del dipartimento regionale del bilancio e del tesoro e non siano utilizzabili ai fini della gestione della spesa.
Sul punto, tale congelamento di fatto dei predetti risparmi di spesa si pone in antitesi con il perseguimento delle finalità contemplate nel citato Accordo Stato-Regione Siciliana, il quale subordina il raggiungimento dell’obiettivo di risanamento ad una serie di interventi che prevedono l’obbligo per la Regione di adottare specifici impegni di contenimento e di riqualificazione della spesa regionale mediante la riduzione strutturale di diverse componenti della spesa corrente, ivi incluse le spese di personale. In particolare, tra le misure indicate nel piano è ricompresa anche la riduzione del trattamento economico accessorio dei dipendenti regionali, compresi quelli di livello dirigenziale.
Pertanto, la norma regionale in esame, prevedendo il congelamento dei sopracitati risparmi di spesa derivanti dalle riduzioni di spesa del trattamento accessorio di cui al punto 2), lettere d) ed e) dell’Accordo, sottrae di fatto gli stessi dal concorso alla riduzione del disavanzo finanziario, generando peraltro una economia di bilancio utilizzabile in futuro, a seguito di successive leggi regionali che potrebbero determinare un utilizzo diverso di tali risparmi temporaneamente congelati se non un loro ritorno nell’ambito delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale in palese contrasto con i contenuti del citato Accordo-Stato Regione Siciliana.
Su tale aspetto, per completezza di informazione, si evidenzia che, successivamente alla sottoscrizione dell’Accordo, la Regione Siciliana ha legiferato norme in materia di incremento del trattamento accessorio del personale in palese contrasto con le finalità dell’accordo stesso finalizzate al contenimento di tale spesa, che state impugnate per violazione della Costituzione e sono state tutte dichiarate incostituzionali dalla Corte con le sentenze sotto riportate:
Sentenza Corte Costituzionale n. 190 depositata il 25 luglio 2022
• Legge Regione Siciliana n. 9/2021 (legge di stabilità 2021)
Articolo 5, comma 1, lettera f) – Indennità trattamento accessorio personale UREGA – dichiarata l’illegittimità costituzionale
Articolo 14 – Ricostruzione trattamento economico personale ex ARRA - dichiarata l’illegittimità costituzionale
• Legge Regione Siciliana n. 29/2021 (Modifiche alla legge regionale n. 9/2021)
Articolo 14 – Trattamento accessorio personale Dipartimento Beni Culturali - dichiarata l’illegittimità costituzionale
Sentenza Corte Costituzionale n. 200 depositata il 28 luglio 2022
• Legge Regione Siciliana n. 28/2021 (Norme in materia di funzionamento del Corpo Forestale) - dichiarata l’illegittimità costituzionale
• Legge Regione Siciliana n. 1/2022 (Esercizio provvisorio) – Articolo 1, comma 1 (Corpo Forestale) - dichiarata l’illegittimità costituzionale
Infine, si richiamano anche i consolidati orientamenti della Corte Costituzionale, la quale ha chiarito che gli interventi finalizzati al contenimento della spesa pubblica costituiscono principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, in quanto pongono obiettivi di riequilibrio, rilevando altresì che “[.....] la spesa per il personale, per la sua importanza strategica ai fini dell’attuazione del patto stabilità interno (data la sua rilevante entità), costituisce non già una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della spesa corrente, con la conseguenza che le disposizioni relative al suo contenimento assurgono a principio fondamentale della legislazione statale (Corte Costituzionale - sentenza n. 69 del 2011, che richiama la sentenza n. 169 del 2007).
Ciò posto, si rileva che la disposizione in esame assume carattere manifestatamente contraddittorio laddove sottrae i risparmi derivanti dalla riduzione del trattamento accessorio del personale al concorso del ripiano del disavanzo e mantiene di fatto tali risorse nella disponibilità futura del bilancio regionale, determinando la palese violazione dei principi costituzionali e, pertanto, si impugna l’articolo 12 per violazione dell’articolo 81, dell’articolo 97, secondo comma e dell’articolo 119, primo comma, della Costituzione.

Peraltro, la Regione Siciliana, nel corso dell’istruttoria della legge, ha sostenuto la natura non aleatoria della copertura finanziaria dedicata al finanziamento dell’incremento dei fondi per il trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, nonché delle risorse da destinare alla revisione del sistema di classificazione del personale del comparto, copertura operata a valere sull’utilizzo delle entrate - di natura tributaria – di cui al Titolo 1, Tipologia 103, capitolo 1026 (Ritenute sugli Interessi e Redditi di Capitale).
La tesi della Regione si articola nella descrizione degli andamenti e delle variazioni del corrispondente gettito tributario, richiamando documenti di varia natura afferenti anni passati e, in quanto tali, non idonei a confermare la futura certezza nel tempo delle entrate fiscali prese a riferimento, poste, invece, a copertura di nuove e maggiori spese di personale che, sulla base dei costanti e consolidati orientamenti della Corte Cost., assumono natura strutturale e incomprimibile e costituiscono, proprio per tale caratteristica, non già una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della spesa corrente che indica in misura significativa sui bilanci degli enti e della finanza pubblica più in generale (Corte Cost. – sentenza 69 del 2011).
Al riguardo, si rappresenta, altresì, che la Regione nulla argomenta in ordine al mancato rispetto dei principi di cui all’articolo 81 della Cost. posti a tutela degli equilibri di bilancio e alle interposte norme attuative, con particolare riferimento ai principi normativi contenuti nell’articolo 17 della legge n. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica), applicati anche alla Regione Siciliana.
Nello specifico caso in trattazione, si richiama anche il recente orientamento della Corte Costituzionale n. 155/2022, che nel dichiarare l’illegittimità dell’articolo 12 della legge Regione Siciliana n. 22/2022 per violazione dell’articolo 81 della Cost., ha puntualmente indicato che “....devono essere dichiarate incostituzionali quelle leggi in cui l’individuazione degli interventi e la relativa copertura finanziaria è stata effettuata dal legislatore regionale in modo generico e risulta priva di quella chiarezza finanziaria minima richiesta dalla costante giurisprudenza di questa Corte in riferimento all’articolo 81 della Cost. (ex multis, sentenza n. 227/2019).”
Ciò posto, ne consegue che su tale aspetto riguardante la violazione del dettato costituzionale relativo all’idoneità della copertura finanziaria delle leggi, le tesi della Regione Siciliana risultano prive di fondamento e non introducono alcun nuovo elemento di natura giuridica a supporto delle stesse.
Inoltre, per quanto riguarda il richiamo alla circostanza che il punto 2, lettera e), dell’Accordo Stato-Regione Siciliana prevede che, ai fini del rispetto del piano di rientro decennale del disavanzo, sono esclusi da tale computo gli oneri che derivano dai rinnovi contrattuali nei limiti minimi di quelli previsti per il medesimo periodo a livello nazionale, si ricorda che i rilievi mossi in sede di controllo della legittimità costituzionale della norma regionale non riguardano l’applicazione di tale clausola del citato accordo, ma unicamente l’inidoneità della correlata copertura finanziaria come sopra dettagliatamente evidenziato.
Ciò anche in considerazione delle recentissime sentenze della Corte Costituzionale prima richiamate, che hanno eliminato dall’ordinamento giuridico ben cinque norme regionali emanate in violazione del citato Accordo proprio in materia di spese di personale e di trattamento accessorio le quali, per completezza di informazione, vanno integrate anche con l’impugnativa per violazione dei principi costituzionali dell’analoga legge regionale n. 24/2021 (incremento trattamento accessorio dirigenti), con un significativo nesso di convergenti condivisioni istituzionali e caso unico nella storia della Consulta, sia dal CDM con deliberazione del 21.7.2022 sia dalla Sezione Regionale della Corte dei Conti con propria specifica deliberazione.
Per completezza di informazione, tale norma regionale è stata abrogata dalla stessa Regione Siciliana con la successiva legge regionale n. 13/2022, proprio al fine di evitare un’ulteriore e preannunciata bocciatura da parte della Corte Costituzionale.
Infine, l’articolo 1, commi 604 e 612, della legge n. 234/2021 (legge di bilancio 2022), prevede la possibilità per le amministrazioni non statali di incrementare le risorse finalizzate al trattamento accessorio e alla riclassificazione del personale, con oneri a valere sui propri bilanci, ferme restando le compatibilità di bilancio e soprattutto l’idoneità della copertura finanziaria a regime dei nuovi e maggiori oneri che ne conseguono.
Tanto premesso, si ritiene di dover impugnare il presente articolo per violazione dell’articolo 81, terzo comma, dell’articolo 97, secondo comma e dell’articolo 119, primo comma, della Costituzione.


Articolo 13, comma 11 - La norma prevede che il divieto di procedere a nuove assunzioni, promozioni e modifiche della pianta organica in Società partecipate, in Irfis-Finsicilia S.p.A. ed in enti sottoposti a controllo e vigilanza della Regione disposto dall’articolo 12, comma 15, della legge regionale n. 13/2022, non si applichi alle procedure discendenti dall'attuazione del comma 17 dell'articolo 3 della legge regionale n. 27/2016, secondo cui la Regione adotta le iniziative necessarie per l'assunzione con rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso apposito ente regionale o società partecipata, per i soggetti titolari di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, che alla data del 31 dicembre 2018 risultino ancora titolari di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato stipulato con la Regione, con gli enti sottoposti a vigilanza e tutela della stessa e con gli enti del settore sanitario o con gli enti pubblici territoriali della Regione.
Al riguardo, considerato che la norma in esame fa salve le stabilizzazioni già previste dalla legge regionale n. 27/2016, consentendo, fra l’altro, la stabilizzazione – anche presso società a partecipazione regionale – di personale precario della Regione e di altri enti regionali, la stessa si pone in contrasto con l’articolo 19, commi 2 e 5, del D.lgs. n. 175/2016 (TUSP) e, quindi, determina la violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. l), Cost. con riferimento all’ordinamento civile societario, nonché dei principi costituzionale di buon andamento, imparzialità e selettività di cui all’art. 97, commi secondo e quarto, Cost. e, pertanto, deve essere impugnata.


L'articolo 13, comma 20 autorizza, per l'esercizio finanziario 2022, la spesa di 500 migliaia di euro, prevedendone la copertura, al fine di assicurare agli operatori impegnati nell'emergenza Covid-19 presso l'Azienda Ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello di Palermo il riconoscimento dell’indennità di cui all’articolo 5, comma 8 dell'articolo 5 della legge regionale 12 maggio 2020, n. 9 e successive modificazioni.
Al riguardo, occorre premettere che il riconoscimento della predetta indennità di cui al citato comma 8, previsto per il periodo che decorre dal 1° marzo 2020 e fino al termine dello stato d'emergenza sanitaria, di 1.000,00 euro mensili è diretto agli operatori sanitari di ruolo con afferenza Covid del S.S.R. e di emergenza urgenza, SEUS/118, autisti soccorritori, infermieri, medici e medici 118 EST impegnati nell'emergenza Covid e gli oneri derivanti sono coperti ai sensi del comma 9 del citato articolo 5 anche attraverso l'utilizzo delle risorse extraregionali non impegnate.
Quindi, la norma regionale in esame nell’individuare in maniera puntuale i destinatari della stessa prefigura una nuova fattispecie rispetto a quella disciplinata dal citato comma 8 con necessità di nuova copertura (anche attraverso l’utilizzo delle risorse extraregionali non impegnate).

Il comma 21 estende il beneficio previsto dall'art. 5, comma 8 della legge regionale n. 9 del 2020 al personale dipendente dalla Società servizi ausiliari spa impegnato nei servizi ausiliari presso le Aziende sanitarie afferenti pazienti covid, individuandone la copertura nelle disposizioni di cui al comma 9 della precedente legge regionale n. 9/2020.

Il successivo comma 57 recita: "Al fine di garantire il riconoscimento del beneficio di cui al comma 8 dell'articolo 5 della legge regionale n. 9/2020, agli operatori sanitari che hanno prestato servizio in costanza dell'emergenza pandemica presso l'Ospedale Buccheri La Ferla-Fatebenefratelli e presso I'ISMETT di Palermo, è autorizzata, per l'esercizio finanziario 2022, la spesa di 600 migliaia di euro, di cui 150 migliaia per gli operatori dell'Ospedale Buccheri La Ferla - Fatebenefratelli e 450 migliaia per quelli dell'ISMETT (Missione 12, Programma 5)".

Prima di procedere all’esposizione delle motivazioni relative all’illegittimità delle suddette norme, si impone una premessa in merito alla disciplina recata dai commi 8 e 9 dell'art 5 della precedente legge regionale n. 9 del 2022 che le disposizioni in esame mirano ad estendere ai soggetti ivi indicati.
I commi in questione erano, infatti, già stati oggetto di osservazione nel corso dell’istruttoria per la verifica della legittimità della legge n. 9/2022.
Nel dettaglio, l'articolo 5, comma 8 della legge regionale n. 9 del 2020 riconosce al personale del servizio sanitario regionale coinvolto nella pandemia Covid-19, assunto a tempo indeterminato o a tempo determinato anche con forme flessibili e, con esclusione di quello reclutato in deroga, mediante avvisi legati all'emergenza, un riconoscimento economico mensile di 1000 euro per il periodo che decorre dal 1° marzo 2020 e genericamente fino al termine dello stato d'emergenza sanitaria, in aggiunta al sistema premiante aggiuntivo ordinario.
Il successivo comma 9 prevede che agli oneri di cui al precedente comma si provvede con il fondo sanitario regionale, come integrato dalle risorse nazionali per la emergenza Covid-19, e con le risorse extraregionali liberate, previa riprogrammazione, ai sensi della vigente regolamentazione comunitaria.
Al riguardo, la legge regionale n. 9 del 2020 è stata emanata anteriormente all'entrata in vigore del decreto legge n. 34 del 2020 che ha esteso la finalizzazione delle risorse di cui al all' art. 1, comma 1, del decreto legge n. 18/2020 (Art. 1 Finanziamento aggiuntivo per incentivi in favore del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale “Per l'anno 2020, allo scopo di incrementare le risorse da destinare prioritariamente alla remunerazione delle prestazioni correlate alle particolari condizioni di lavoro del personale dipendente delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale direttamente impiegato nelle attività di contrasto alla emergenza epidemiologica determinata dal diffondersi del COVID-19, i fondi contrattuali per le condizioni di lavoro della dirigenza medica e sanitaria dell'area della sanità e i fondi contrattuali per le condizioni di lavoro e incarichi del personale del comparto sanità, nonché, per la restante parte, i relativi fondi incentivanti sono complessivamente incrementati, per ogni regione e provincia autonoma, in deroga all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 e ai vincoli previsti dalla legislazione vigente in materia di spesa di personale, dell'importo indicato per ciascuna di esse nella tabella A allegata al presente decreto), oltre che alla remunerazione del lavoro straordinario, prioritariamente alla remunerazione delle prestazioni correlate alle particolari condizioni di lavoro del personale dipendente nonché, per la restante parte, ai relativi fondi incentivanti (articolo 2, comma 6, lettera a), consentendo altresì alle regioni ed alle province autonome di incrementare, fino al doppio delle risorse ivi previste, con proprie risorse disponibili a legislazione vigente, fermo restando l'equilibrio economico sanitario della regione e provincia autonoma (articolo 2, comma 6, lettera b).
Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 18/2020, per l’anno 2020, hanno previsto, quindi, in deroga all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, un finanziamento aggiuntivo in favore del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale, da destinare prioritariamente alla remunerazione delle prestazioni correlate alle particolari condizioni di lavoro del personale dipendente delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale direttamente impiegato nelle attività alla emergenza epidemiologica determinata dal diffondersi del COVID-19, nonché, per la restante parte, ai relativi fondi incentivanti, consentendo altresì alle Regioni ed alle province autonome di incrementare, fino al doppio delle risorse ivi previste, con proprie risorse disponibili a legislazione vigente, fermo restando l’equilibrio economico sanitario della regione e provincia autonoma.

Ciò premesso, il beneficio mensile previsto dal primo periodo del comma 8, art.5,l.r.n.9/2020 non è contemplato dal predetto decreto legge n. 34, né dal precedente decreto legge n. 18/2020, né, infine, risulta compatibile con l’attuale sistema di determinazione dei trattamenti economici previsto dalla contrattazione collettiva - a cui è riservata la disciplina dei trattamenti economici dei dipendenti pubblici contrattualizzati ai sensi del Decreto legislativo n. 165 del 2001 – che non contempla la possibilità di erogare benefici al di fuori della cornice definita dalla stessa contrattazione nazionale e da quella integrativa, quest’ultima a valere sui fondi per il trattamento accessorio.

Emerge, quindi, come il legislatore regionale con le norme in questione abbia elaborato criteri propri con riferimento ai destinatari (della Società Servizi Ausiliari S.p.A, l'Ospedale Buccheri La Ferla-Fatebenefratelli e presso l'ISMETT di Palermo) non presi in considerazione dal citato d.l. n. 18 del 2020, ciò in quanto le disposizioni statali sono dirette al solo personale dipendente del SSN ovvero al personale contrattualizzato. Ne consegue che le norme regionali in esame non risultano compatibili con l’attuale sistema di determinazione dei trattamenti economici previsto dalla contrattazione collettiva - a cui è riservata la disciplina dei trattamenti economici dei dipendenti pubblici contrattualizzati ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001 – che non contempla la possibilità di erogare benefici al di fuori della cornice definita dalla stessa contrattazione nazionale e da quella integrativa, quest’ultima a valere sui fondi per il trattamento accessorio.

In tali termini, la norma regionale con riferimento al personale destinatario si pone in contrasto con l’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, considerata la riserva esclusiva dello Stato sull’ordinamento civile e, quindi, sui rapporti di diritto privato regolabili dal Codice civile (contratti collettivi).
Pertanto, nel ribadire quanto espresso in merito alla corresponsione di tale indennità, quanto disposto dalle disposizioni in esame non risulta coerente né con la legislazione vigente né con la programmazione del Piano di rientro cui la regione è sottoposta. Si rammenta che la Regione Sicilia, impegnata nel piano di rientro dal disavanzo sanitario, non può erogare livelli ulteriori di assistenza. Si ritiene pertanto di dover impugnare, anche in considerazione dei riflessi finanziari - verosimilmente superiori a quelli consentiti dalla legislazione statale e tenuto conto che la regione Siciliana è attualmente in piano di rientro dai deficit sanitari, le disposizioni in esame dinanzi alla Corte Costituzionale, in quanto le stesse si pongono in contrasto con l’articolo 81 e l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, poiché le vigenti disposizioni in materia di Piano di rientro dal deficit sanitario si configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica.
Inoltre, le norme regionali in questione dispongono ancora la corresponsione del beneficio di che trattasi al perdurare dello stato di emergenza che si rammenta essere cessato nel marzo 2022.

Tanto premesso, per completezza espositiva non è stata rappresentata formalmente la posizione di contrasto sulla legge n. 9 del 2022, poiché, medio tempore, la regione Sicilia con formale impegno del Presidente ha comunicato che avrebbe adottato le necessarie iniziative legislative finalizzate a riconoscere la misura economica di cui all'art. 5, commi 8 e 9 quale indennità limitata al periodo 1° marzo - 31 maggio 2020, assicurando la copertura finanziaria a valere sulle risorse del Fondo sanitario, come integrato dalle risorse nazionali per la emergenza Covid-19, ma entro i limiti del tetto di spesa per il personale del Servizio sanitario regionale previsto dalla vigente normativa.
Ciò posto, le criticità rilevate rispetto alla disciplina della precedente legge n. 9/2022, si ripropongono rispetto all'art. 13, commi 20, 21 e 57 considerato che le disposizioni in parola hanno l'effetto di estendere il ristoro di cui al citato art. 5, comma 8 della legge regionale n. 9 del 2020 oltre la fine dello stato di emergenza.

Alla luce delle considerazioni effettuate, si ritiene di dover impugnare dinanzi alla Corte Costituzionale l’articolo 13, commi 20, 21 e 57 in quanto si pongono in contrasto con l’articolo 81, violano l'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, considerata riserva esclusiva dello Stato sull'ordinamento civile e, quindi, sui rapporti di diritto privato regolabili dal Codice civile (contratti collettivi) e l'articolo 117, terzo comma, che stabilisce la competenza esclusiva statale di coordinamento della finanza pubblica, poiché le vigenti disposizioni in materia di Piano di rientro dal deficit sanitario si configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica. Infine si ricorda quanto disposto dall’articolo 2, comma 80, della legge 191/2009 in merito alla cogenza degli interventi individuati dal piano di rientro che sono vincolanti per la Regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del suddetto piano.

Peraltro il comma 57 prevede l’estensione del beneficio anche agli operatori sanitari che hanno prestato servizio presso strutture private accreditate. Si evidenzia, al riguardo, che i rapporti con gli erogatori privati accreditati sono regolati da appositi accordi contrattuali ai sensi dell’art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/92 e i predetti accordi remunerano le prestazioni rese dai privati accreditati attraverso la corresponsione di tariffe omnicomprensive; non sono infatti remunerabili i fattori produttivi, ivi compreso il costo del personale, dei soggetti privati. Si riporta quanto disposto al comma 1 dell’articolo 8-sexies “Remunerazione” del D.Lgs. 30/12/1992, n. 502 “Le strutture che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi contrattuali di cui all'articolo 8-quinquies e determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte nell'ambito e per conto della rete dei servizi di riferimento.” Ciò premesso, si rappresenta che quanto disposto dalla norma in esame non risulta coerente con la programmazione del Piano di rientro, né con la legislazione vigente. Si ritiene pertanto di impugnare le disposizioni in esame dinanzi alla Corte Costituzionale, in quanto le stesse si pongono in contrasto con l’articolo 81 e articolo 117, terzo comma, della Costituzione, poiché le vigenti disposizioni in materia di Piano di rientro dal deficit sanitario si configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica.


L’articolo 13 comma 43 rinvia al 2023 l’elezione dei Presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani e proroga al 31 agosto 2023 le funzioni degli attuali commissari straordinari che svolgono le funzioni di Presidente dei liberi Consorzi comunali, in attesa delle elezioni di II livello previste in origine dalla legge regionale n. 15/2015 (Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane) e da allora mai indette in quanto sempre rinviate.
In particolare, la lett. a) del citato comma 43, intervenendo sull’art. 6, comma 2, della citata legge regionale n. 15/2015, stabilisce che, in sede di prima applicazione (originariamente prevista per il 2015 ma, come detto, mai realizzatasi), il Presidente della Regione fissa la data delle elezioni dei Presidenti dei liberi Consorzi comunali entro 60gg dall'ultima proclamazione degli eletti nei comuni interessati dal rinnovo degli organi nel turno elettorale del 2023 (a seguito della novella; il previgente termine riferito al 2022 era già stato prorogato dall’art. 1 della legge regionale n. 31/2021).
Analogamente, la lett. a) del citato comma 43 proroga al 2023 l’elezione dei Consigli metropolitani, la cui indizione spetta ai rispettivi sindaci metropolitani, ai sensi dell’art. 14-bis comma 7 della legge regionale n. 15/2015. Al riguardo, le elezioni per il rinnovo dei consigli comunali e dei sindaci dei comuni di Palermo e Messina si sono svolte da ultimo il 12 giugno 2022. Come detto, tuttavia, ad esse non sono seguite quelle dei Consigli metropolitani delle rispettive città metropolitane.
La disposizione previgente prevedeva (art. 1, comma 1, lett. a) della citata legge n. 31/2021) che in sede di prima applicazione l’elezione del Consiglio metropolitano si sarebbe dovuta svolgere entro 60gg dall’ultima proclamazione degli eletti nei comuni interessati dal rinnovo degli organi nel turno elettorale ordinario da svolgersi nel 2022. Come detto, tale termine, già prorogato costantemente dal 2015, è stato di nuovo disatteso in quanto la legge regionale in esame lo ha ulteriormente rimandato al 2023.
Dal canto suo, la lett. b) del comma 43 in argomento novella il comma 1 dell’art. 51 della legge regionale n. 15/2015 prevedendo che fino al 31 agosto 2023 le funzioni di Presidente del libero Consorzio comunale continuano ad essere svolte da un commissario straordinario.
In sintesi, dal 2015 ad oggi, la Regione ha rinviato ben undici volte le elezioni degli organi dei liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane prorogando contemporaneamente la gestione commissariale degli enti di area vasta:
1. legge regionale n. 5/2016 (art. 13) al 30 settembre 2016.
2. legge regionale n. 15/2016 (art. 1 comma 1 lett. c) al 30 novembre 2016.
3. legge regionale n. 23/2016 (art. 1 comma 1 lett. d) al 30 dicembre 2017.
4. legge regionale n. 17/2017 (art. 7 comma 1 lett. e) al 30 giugno 2018.
5. legge regionale n. 7/2018 (art. 1 comma 1 lett. b) al 31 dicembre 2018.
6. legge regionale n. 23/2018 (art. 9) al 31 luglio 2019.
7. legge regionale n. 6/2020 (art. 1 comma 1 lett. e) al 15 novembre 2020.
8. legge regionale n. 11/2020 (art. 2 comma 1 lett. c) al 31 gennaio 2021.
9. legge regionale n. 34/2020 (art. 1 comma 2 lett. b) al 30 aprile 2021.
10. legge regionale n. 13/2021 (art. 2 comma 1 lett. c) al 31 gennaio 2022.
11. legge regionale n. 31/2021 (art. 1 comma 1 lett. b) al 31 agosto 2022.

Le proroghe disposte con le leggi di cui ai nn. 8, 9 e 10 nell’elenco erano state motivate dall’emergenza epidemiologica legata alla pandemia da Covid-19, mentre la proroga disposta con legge di cui al n. 11 nell’elenco prevedeva espressamente che il rinvio delle elezioni degli organi degli enti di area vasta avvenisse nelle more dell'insediamento degli organi dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, nonché dell'approvazione di una legge di riordino della materia.

Il reiterato rinvio delle elezioni e le conseguenti proroghe dei commissariamenti violano i principi di democraticità di cui all’art. 1, comma primo della Costituzione, in quanto i referendum e le elezioni (ancorché indirette) rappresentano il momento più alto di manifestazione della sovranità popolare (sentenza costituzionale n. 1/2014) e contrastano altresì con gli artt. 5 e 114 Cost., in quanto l’autonomia e la rappresentatività degli enti commissariati sono svuotate da un commissariamento - di fatto - sine die; si porrebbero inoltre in contrasto con il principio di ragionevolezza desumibile dall’art. 3 della Costituzione. La situazione di eccezionalità che poteva giustificare, nell’immediatezza dell’entrata in vigore, della disciplina di riforma la proroga originariamente disposta non può infatti porsi come plausibile ragione giustificativa delle successive 10 proroghe che si sono susseguito in un arco temporale di sei anni, ciò che stabilizza l’eccezionalità oltre ogni ragionevole limite.
Inoltre, il legislatore siciliano non terrebbe conto della giurisprudenza costituzionale (sentenza costituzionale n. 168/2018) secondo cui il novellato art. 114 Cost., nel richiamare al proprio interno, per la prima volta, l’ente territoriale Città metropolitana, ha imposto alla Repubblica il dovere di istituirlo concretamente. Né del resto il nuovo ente potrebbe avere disciplina e struttura diversificate da Regione a Regione, nel presupposto di livelli di governo di disciplina uniforme, con riferimento agli aspetti essenziali (sentenza costituzionale n. 50/2015).
La Regione Siciliana, pur dando apparente seguito, con la legge regionale n. 15/2015, all’obbligo di riordino delle circoscrizioni provinciali, ha in realtà finora rinviato le elezioni degli organi provinciali (rectius “liberi consorzi comunali”) ed ha pertanto disatteso la legge n. 56/2014 (legge Delrio), ponendosi al di fuori della cornice normativa di quest’ultima, le cui disposizioni valgono come principi di grande riforma economica e sociale (art. 1, commi 5 e 145), al cui rispetto anche le Regioni a statuto speciale sono tenute (sentenze Corte cost. n. 168/2018 e n. 160/2021) ed a cui anche la Regione siciliana soggiace, posto che le disposizioni statutarie di cui all’art. 14, trovano il loro limite nelle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, secondo quanto espressamente statuito dalla Corte costituzionale (per tutte, sentenza costituzionale n. 168/2018).
Il continuo protrarsi dei commissariamenti degli enti di area vasta determina in conclusione una derivazione e dipendenza degli stessi dall’ente regionale in dispregio della loro autonomia e del principio di riforma sancito dalla legge Delrio, che concepisce gli enti di area vasta come espressione del livello di governo inferiore (comunale) e non superiore, come di fatto si è realizzato.

Si rappresenta, infine, che analoghe disposizioni contenute nella legge regionale Sardegna n. 18 del 2019 sono state impugnate nel Cdm del 21/12/2019. Con tali norme, nel prevedere la nomina di nuovi amministratori straordinari delle Province di Sassari, Nuoro, Oristano e del Sud Sardegna, i quali restavano in carica fino all'insediamento degli organi provinciali che dovevano essere eletti entro il 1° luglio 2020, era stata ulteriormente prorogata la data per l'elezione dei Presidenti e dei Consigli provinciali già precedentemente rinviata con varie leggi regionali. Il continuo rinvio delle elezioni provinciali e le conseguenti proroghe dei commissariamenti delle province violavano in primis i principi di democraticità di cui all'articolo 1, comma primo, della Costituzione in quanto in ogni sistema democratico i referendum e le elezioni rappresentano il momento più alto di manifestazione della sovranità popolare (Corte Cost. sent. n. 1 del 2014) e risultavano, altresì, in contrasto con gli articoli 5 e 114 Cost., in quanto la previsione di un commissariamento di lungo periodo, di fatto sine die, colpisce gli enti provinciali svuotandone l'autonomia e la rappresentatività. La Regione, peraltro, non aveva rispettato l'impegno già a suo tempo assunto con legge regionale n. 39/2018, che fissava al 6/4/2019 la data di svolgimento delle elezioni. Su tale ricorso, però, la Corte costituzionale non si è mai pronunciata in quanto nel Cdm del 21 gennaio 2022, per intervenute modifiche legislative, è stata deliberata la rinuncia totale all’impugnativa.


L'articolo 13, comma 71 recita: "trovano applicazione nella Regione fino al 31 dicembre 2022, in attuazione del comma 1 dell'articolo 10 del decreto legge 24 marzo 2022, n. 24 convertito con modificazioni dalla legge 19 maggio 2022, n. 52, le disposizioni di cui all'articolo 38-bis del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 e successive modificazioni".
Secondo tale disposizione, si prevede che anche in Sicilia vengano applicate, fino al 31 dicembre 2022, alcune norme di semplificazione, emanate durante l'emergenza epidemiologica da COVID-19, in materia di attività di intrattenimento e culturali.
In particolare, secondo il summenzionato art. 38-bis, comma 1, del decreto legge n. 76/2020, "fuori dei casi di cui agli articoli 142 e 143 del regolamento di cui al regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, al fine di far fronte alle ricadute economiche negative per il settore dell'industria culturale conseguenti alle misure di contenimento dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, in via sperimentale fino al 31 dicembre 2021, per la realizzazione di spettacoli dal vivo che comprendono attività culturali quali il teatro, la musica, la danza e il musical, che si svolgono in un orario compreso tra le ore 8 e le ore 23, destinati ad un massimo di 1.000 partecipanti, ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, richiesto per l'organizzazione di spettacoli dal vivo, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, è sostituito dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, presentata dall'interessato allo sportello unico per le attività produttive o ufficio analogo, fermo restando il rispetto delle disposizioni e delle linee guida adottate per la prevenzione e il contrasto della diffusione del contagio da COVID-19 e con esclusione dei casi in cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali nel luogo in cui si svolge lo spettacolo in oggetto".
Sono, tuttavia, fatti salvi i casi - espressamente menzionati nella clausola di esclusione posta nell'incipit del citato articolo 13 - in cui occorra il parere della Commissione provinciale di vigilanza per i pubblici spettacoli, nonché sia previsto che la SCIA possa essere utilizzata a condizione che il rilascio dell'atto amministrativo dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale.
L'efficacia temporale del prefato articolo 38-bis, originariamente prevista fino al 31 dicembre 2021, è stata poi prorogata alla medesima data del 2022 dall'art. 10, comma 1, del decreto-legge n. 24/2022.
Come noto, nella Regione Siciliana le autorizzazioni in materia di pubblici spettacoli, di cui agli artt. 68 e 69 del R.D. n. 773/1931 (Testo Unico delle Leggi in materia di Pubblica Sicurezza) e agli artt. 116-151 del R.D. n. 635/1940 (Regolamento per l'esecuzione del TULPS) sono - ancora - di competenza dei questori.
Ciò perché la Regione non ha portato a compimento il recepimento, nel proprio ordinamento ad autonomia speciale, dell'art. 19, del D.P.R. n. 616/1977, nella parte in cui - comma 1, nn. 5) e 6) - sono state attribuite ai comuni le funzioni di rilascio delle licenze ex artt. 68 e 69 TULPS.
Con il citato articolo 19, infatti, è stato realizzato un significativo trasferimento ai comuni di specifiche funzioni in materia di polizia amministrativa, tra le quali, come anticipato, quelle concernenti:
- la concessione della licenza per rappresentazioni teatrali o cinematografiche, accademie, feste da ballo, corse di cavalli, altri simili spettacoli o trattenimenti, per aperture di esercizio di circoli, scuole di ballo e sale pubbliche di audizione, di cui all'art. 68 TULPS;
- la licenza per pubblici trattenimenti, esposizioni di rarità, persone, animali, gabinetti ottici ed altri oggetti di curiosità o per dare audizioni all'aperto di cui all'art. 69 TULPS.
Più recentemente, il Legislatore statale, con il decreto-legge n. 91/2013, ha modificato sia l'art. 68 che l'art. 69 del TULPS, prevedendo, a determinate condizioni modali e temporali (eventi fino ad un massimo di 200 partecipanti e che si svolgono entro le ore 24 del giorno di inizio), la sostituzione della licenza del Sindaco con la SCIA di cui al sopracitato art. 19 della legge n. 241/1990.
Quest'ultima disposizione, tuttavia, prevede - al comma 1 - che la SCIA non si applichi, tra l'altro, agli atti "rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze... ".
Tale clausola di esclusione è coerente, dal punto di vista logico-sistematico, sia con il vasto programma di trasferimento e delegazione delle funzioni amministrative avviato con il menzionato D.P.R. n. "616" (e proseguito fino agli anni duemila) che con le più recenti misure di semplificazione, perché il Legislatore ha prima trasferito o delegato funzioni statali agli enti locali, poi ne ha accelerato l'iter procedurale con strumenti "anticipativi" e "speditivi" come la SCIA.

Allo stesso modo si è proceduto con le licenze di cui agli artt. 68 e 69 TULPS, che prima (art. 19, comma 1, nn. 5) e 6), ibid.) sono state conferite ai comuni, quindi sono state semplificate (con il D.L. n. 91/2013 e, da ultimo, con il D.L. n. 76/2020) con la stessa SCIA.
Riguardo alle licenze di pubblica sicurezza rimaste nell'alveo di competenza statale (ergo delle Autorità di P.S.), invece, il Legislatore ha mantenuto saldo il disposto negativo di cui al comma 1 dell'art. 19 e non ne ha previsto la "surrogabilità" con la ripetuta SCIA.
Ciò anche con l'ultima manovra "di sistema", operata con il d.lgs. n. 222/2016 (c.d. "decreto SCIA 2", adottato nel solco tracciato dalla legge di riforma della pubblica amministrazione, n. 124/2015), che prevede la SCIA come regime amministrativo tipico per numerose tipologie di attività economiche (esercizi di vicinato, strutture ricettive, stabilimenti balneari), devolute alla competenza dei Comuni, ovvero per attività che non rivestono profili di diretto e primario interesse per l’Interno.
Diverso il percorso normativo seguito dalla Regione Siciliana, con circoscritto riferimento alla materia degli spettacoli e dei trattenimenti: il ricostruito assetto normativo nazionale in subiecta materia, caratterizzato dalla licenza del Sindaco (cui corrisponde, simmetricamente, il parere di agibilità statica e dinamica del locale di pubblico spettacolo/trattenimento reso dalla Commissione comunale di vigilanza ex art. 80 TULPS, sotto il profilo dell'incolumità pubblica e della safely) e, a determinate condizioni, dalla SCIA presentata presso lo Sportello unico per le attività produttive-SUAP, in detta Regione non è stato ancora perfezionato, in mancanza delle necessarie norme attuative del relativo Statuto speciale.
L'art. 22 della legge regionale siciliana n. 1/1979, in materia di attribuzione ai Comuni di funzioni amministrative regionali, stabilisce, infatti: "Ai comuni sono attribuite le funzioni di polizia amministrativa di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 733, e successive modifiche. L'esercizio delle stesse funzioni sarà determinato sulla base delle relative norme di attuazione dello Statuto".
Tale ultimo intervento normativo non è stato ancora posto in essere, con il risultato che in Sicilia le licenze per i pubblici spettacoli sono ancora di competenza del questore.
Siffatta conclusione è stata convalidata anche dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, che, nella pronuncia n. 236 del 1989, ha statuito che l'art. 22 della l.r. n. 1/1979, nell'attribuire ai comuni siciliani le funzioni di polizia amministrativa contemplate nel TULPS, precisa che l'esercizio di tali funzioni sarà determinato sulla base delle relative norme di attuazione dello Statuto. In mancanza di dette norme, a giudizio del Consiglio di giustizia amministrativa l'esercizio delle funzioni in questione continua a rimanere nella competenza dell'Autorità di pubblica sicurezza.
Tale orientamento è stato confermato dal Consiglio di Stato, che, in un parere (n. 1510 del 2002) reso su richiesta di questo Ministero, ha ribadito che, ai fini del trasferimento delle funzioni di polizia amministrativa alla Regione Siciliana e alle province e ai comuni della stessa Regione, non siano ammissibili procedure diverse da quella prevista dall'art. 43 dello Statuto speciale.

Il trasferimento delle funzioni di polizia amministrativa contemplate dal TULPS (tra cui le licenze ex artt. 68 e 69) ai Comuni siciliani, dunque, assume valore pregiudiziale sia rispetto alloro esercizio in concreto che, a fortiori, per la loro semplificazione.
La Regione Siciliana, pertanto, ha recepito una norma statale (l'art. 38-bis del D.L. n. 76/2020) di semplificazione senza aver preliminarmente attuato la trasposizione delle predette funzioni di polizia amministrativa ai comuni.
Alla luce di quanto premesso, la disposizione di cui all'art. 13, comma 71, della legge regionale siciliana n. 16/2022, che recepisce le previsioni procedurali e temporali di cui agli artt. 38-bis, del D.L. n. 76/2020, e 10, del D.L. n. 24/2022, appare, ad avviso di questo Ufficio, in contrasto con le previsioni statutarie (art. 43, St. Reg. Sic.) e costituzionali (art. 116 Cost., legge cost. n. 2/1948), nonché lesiva delle competenze statali in materia di ordine e sicurezza pubblica, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. h), della Costituzione.
Difatti, dall'asseverazione - normativa e giurisprudenziale - che, in mancanza delle necessarie norme di attuazione, le autorizzazioni di cui agli artt. 68 e 69 TULPS permangono formalmente e sostanzialmente in capo al questore, discende la logica conseguenza dell'inapplicabilità di quanto previsto dalla disposizione regionale sotto esame, ovvero la sostituzione della licenza questorile con la SCIA di cui all'art. 19 della legge n. 241/1990, atteso che tale norma, come detto, esclude esplicitamente dal proprio ambito di applicazione gli atti rilasciati dall'Amministrazione della pubblica sicurezza.


Articolo 13, comma 92 - Il comma in esame prevede che, relativamente alle forme di ristoro da riconoscere ai centri di riabilitazione ed ai centri diurni per i soggetti affetti da disturbi dello spettro autistico, destinatari di apposito budget per l'anno 2020, che hanno temporaneamente sospeso l'attività a causa dell'emergenza da Covid-19 e che non abbiano attivato le procedure di cassa integrazione per i propri dipendenti, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 48 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18. Le norme ivi richiamate, decreto legge n. 18/2020 e decreto legge n. 34/2020, sono state adottate in periodo emergenziale ed esaurivano i loro effetti limitatamente a tale periodo. Il comma in esame è invece in vigore per l’anno 2022, al di fuori del periodo emergenziale e non coperto dalla legislazione vigente. Pertanto, quanto disposto dall’articolo in esame non risulta coerente con la programmazione del Piano di rientro, né con la legislazione vigente. Si ritiene quindi di dover impugnare le disposizioni in esame dinanzi alla Corte Costituzionale, in quanto le stesse si pongono in contrasto con l’articolo 81 e articolo 117, terzo comma, della Costituzione, poiché, come detto in precedenza, le vigenti disposizioni in materia di Piano di rientro dal deficit sanitario si configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica. Infine, si rammenta quanto disposto dall’articolo 2, comma 80, della legge 191/2009 in merito alla cogenza degli interventi individuati dal piano di rientro che sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del suddetto piano.


L’articolo 13, comma 108 prevede che: “Nelle more della formazione ed approvazione dei PUG, i titoli abilitativi regolarmente rilasciati in deroga agli strumenti urbanistici in forza dell’articolo 10 della legge n. 104/1992 e successive modificazioni e/o di altre disposizioni determinano la modifica permanente della programmazione urbanistica purché gli immobili siano stati già realizzati ed i titoli rilasciati almeno 18 mesi prima della data di entrata in vigore della legge regionale 3 febbraio 2021, n. 2. In sede di formazione ed approvazione del nuovo PUG si deve tenere conto della destinazione urbanistica impressa all’area dal titolo edilizio di cui al presente comma. È altresì consentito per i sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, entro i limiti e con le modalità di cui all’articolo 47 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 e successive modificazioni, il cambio di destinazione urbanistica per usi non residenziali e/o commerciali su richiesta degli aventi titolo”.
Può evidenziarsi che l’articolo 10 della legge n. 104 del 1992, ed in particolare il comma 6, stabilisce che: “L’approvazione dei progetti edilizi presentati da soggetti pubblici o privati concernenti immobili da destinare alle comunità alloggio ed ai centri socio-riabilitativi di cui ai commi 1 e 3, con vincolo di destinazione almeno ventennale all’uso effettivo dell’immobile per gli scopi di cui alla presente legge, ove localizzati in aree vincolate o a diversa specifica destinazione, fatte salve le norme previste dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497, e successive modificazioni, e dal decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, costituisce variante del piano regolatore. Il venir meno dell’uso effettivo per gli scopi di cui alla presente legge prima del ventesimo anno comporta il ripristino della originaria destinazione urbanistica dell’area”.
La prima parte del citato comma 108, dunque, rende permanente il cambio d’uso che la legge nazionale, invece, prevede come destinato a cessare in caso di venir meno dell’uso effettivo prima del ventesimo anno.
L’ultimo periodo del medesimo comma 108 stabilisce, poi, che gli immobili destinati, in deroga agli strumenti urbanistici, all’uso da parte delle comunità alloggio ed ai centri socio-riabilitativi, possano essere destinati a usi non residenziali e/o commerciali, su richiesta degli “aventi titolo”, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge regionale n. 16 del 2022.

Al riguardo, la disposizione di cui all’articolo 10, comma 6, della legge n. 104 del 1992 persegue la finalità di soddisfare le esigenze abitative e riabilitative dei soggetti con disabilità. In contrasto con lo scopo e con la ratio di tale previsione, l’articolo 13, comma 108, della legge regionale in esame appare distorcere il dato della norma nazionale, piegando l’effetto di variante agli strumenti urbanistici a finalità che risultano estranee alle necessità di tutela delle persone con disabilità.
Si stabilizza, infatti, l’effetto di variante, che in base alla norma nazionale è legato all’uso effettivo dell’immobile da parte delle comunità alloggio e dei centri socio-riabilitativi, e inoltre si consente, una volta ottenuto tale effetto, di destinare l’immobile a usi non residenziali, e quindi slegati dalle attività proprie di tali comunità e centri. Per di più, tale effetto, del tutto privo di giustificazione, si produce solo nel caso in cui le istanze siano presentate entro il ristretto termine di sei mesi dall’entrata in vigore della legge regionale: previsione, quest’ultima, anch’essa difficilmente spiegabile.
Alla luce di quanto esposto, la disposizione citata appare in contrasto con i principi di ragionevolezza e buon andamento, in quanto sacrifica l’esigenza di ordinato assetto del territorio, connaturata alla pianificazione urbanistica, non più in vista dell’interesse costituzionale primario alla tutela della salute e delle necessità esistenziali delle persone con disabilità, bensì per la mera soddisfazione di interessi privati, neppure evincibili dal dettato normativo.
Il sacrificio delle esigenze urbanistiche – alle quali è connaturata anche la considerazione anche di profili di interesse culturale e paesaggistico – è quindi privo di giustificazione.
Di conseguenza, la previsione normativa appare in contrasto con il principio di proporzionalità che deve sorreggere ogni valutazione concernente il contemperamento di opposti interessi, anche in sede legislativa.
In proposito, occorre tenere presente che la Corte costituzionale ha più volte affermato che dall’articolo 3 della Costituzione si desume un canone di razionalità della legge rintracciato nell’esigenza di conformità dell’ordinamento a valori di giustizia e di equità ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, che costituisce un presidio contro l’eventuale manifesta irrazionalità o iniquità delle conseguenze della stessa (ex multis, Corte cost., sent.n. 87 del 2012, n. 421 del 1991, n. 46 del 1993, n. 81 del 1992).
Da ciò la violazione del combinato disposto degli articoli 3, 9 e 97 della Costituzione.
In aggiunta, dato che tale disposizione e, conseguentemente, alla norma di grande riforma economico-sociale relativa alla zonizzazione del territorio comunale, con l’individuazione della relativa disciplina d’uso, risulta violato anche l’articolo 14, primo comma, lettera f) lo Statuto della Regione Siciliana, rispetto al quale costituiscono parametro interposto l’articolo 41-quinquies commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, nonché l’articolo 10 della legge n. 104 del 1992.
Infine, si sottolinea che la disposizione nazionale sopra richiamata fa espressamente salva la applicazione della disciplina in materia del paesaggio, che, invece, la disposizione regionale non considera. Pertanto la deroga introdotta determina un abbassamento della tutela paesaggistica assicurata dall’articolo 9 della Costituzione, dalla Convenzione europea del paesaggio, cui è stata data esecuzione dalla legge 9 gennaio 2006, n. 14, e dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Pertanto, risulta violato anche l’articolo 14, comma 1, lettera n) dello Statuto e l’articolo 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, del quale rappresentano parametri interposti gli articoli 135, 143, 145 e 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché dell’articolo 117, comma primo, della Costituzione, che impone il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali ed in particolare dall’articolo 3, dell’articolo 5, lett. d), e dell’articolo 6, lettere D ed E, della Convenzione europea del paesaggio, cui è stata data esecuzione dalla legge 9 gennaio 2006, n. 14.


Articolo 20 - dispone “Ulteriori modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13”. Al comma 1, lettera l), è disposto che: “al comma 73 dell'articolo 13 sono apportate le seguenti modifiche:
1) le parole "contributo di euro 300" sono sostituite dalle parole "contributo una tantum dell'importo massimo di euro 300 per l'anno 2022";
2) le parole "È istituita la "Banca dei capelli" con la funzione di radicare la cultura della donazione." sono soppresse;
3) le parole "in via sperimentale, " sono soppresse;
4) le parole "Per gli anni successivi l'entità degli stanziamenti è determinata annualmente con legge di bilancio ai sensi dell'articolo 38 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 e successive modificazioni." sono soppresse.”
Si rammenta ancora che la Regione Sicilia, impegnata nel piano di rientro dal disavanzo sanitario, non può erogare livelli ulteriori di assistenza.
Si ritiene, pertanto, di dover impugnare le disposizioni in esame dinanzi alla Corte Costituzionale, in quanto le stesse si pongono in contrasto con l’articolo 81 e articolo 117, terzo comma, della Costituzione.
Infine, si ribadisce quanto disposto dall’articolo 2, comma 80, della legge 191/2009 in merito alla cogenza degli interventi individuati dal piano di rientro che sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del suddetto piano.

La legge regionale Sicilia n. 16 del 2022, nelle disposizioni sopraindicate, eccede, inoltre, dalle competenze statutarie riconosciute alla Regione Siciliana dallo Statuto Speciale (R.D.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2,) che circoscrive le competenze normative della Regione entro i limiti delle leggi costituzionali dello Stato e dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato.

Sulla base di quanto esposto, la legge in esame deve essere oggetto di impugnativa in via principale dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.


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