Dettaglio Legge Regionale

Misure di contenimento dell'inquinamento luminoso ed altre disposizioni in materia di utilizzo di acque pubbliche, procedimento amministrativo ed urbanistico. (21-6-2011)
Bolzano
Legge n.4 del 21-6-2011
n.28 del 12-7-2011
Politiche infrastrutturali
1-9-2011 / Impugnata
La legge, che detta misure di contenimento dell’inquinamento luminoso e disposizioni in materia di utilizzo di acque pubbliche, procedimento amministrativo ed urbanistico della Provincia di Bolzano presenta diversi aspetti di illegittimità costituzionale.
Si premette, in via generale, che la Provincia, ai sensi dell'art. 8, comma 1, punti nn. 5, 10 e 14 , del D.P.R. n.670/1972 recante lo Statuto speciale per il Trentino Alto Adige ha competenza primaria in materia di urbanistica, edilizia, miniere, comprese le acque minerali e termali, cave e torbiere, e, in base ai punti nn. 9 e 10 dell’articolo 9 dello stesso Statuto speciale, competenza legislativa concorrente in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni a scopo idroelettrico, nonché di igiene e sanità .
Ai sensi delle citate norme statutarie dette competenze legislative devono svolgersi con i limiti esplicitati negli articoli 4 e 5 dello stesso Statuto di autonomia, ovvero in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica e, per le competenze di tipo concorrente, nei limiti dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato.
Ciò premesso, alcune norme della legge regionale in esame risultano eccedere dalle competenze statutarie, in quanto invasive di competenze legislative che l’articolo 117 , secondo comma , lettere e), l) ed s) della Costituzione riserva in via esclusiva allo Stato , nelle materie della tutela della concorrenza, dell’ordinamento civile e della tutela dell’ambiente.
In particolare per quel che concerne la materia “ambiente”, secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale, confermata nella pronuncia n. 378/2007, la potestà di disciplinare l'ambiente nella sua interezza è stata affidata in via esclusiva allo Stato, dall'art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come è noto, parla di "ambiente" (ponendovi accanto la parola "ecosistema") in termini generali e onnicomprensivi. Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come una entità organica, dettando delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto. Ed è da notare che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente, inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sent. n. 151/1986) ed assoluto (sent. n. 210/ 1987) e deve garantire, come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore. Inoltre, la disciplina unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materie di competenza propria, ed in riferimento ad altri interessi. La Consulta ha inoltre affermato, nella sentenza n. 315/2009 , che la competenza statale, allorché sia espressione della tutela dell’ambiente, costituisce “limite” all’esercizio delle competenze regionali e provinciali.
Sulla scorta di tali considerazioni, sono censurabili le seguenti norme della legge provinciale :

1) la disposizione di cui al comma 10 dell’articolo 2, prevede il rinnovo trentennale di tutte le concessioni alla loro scadenza, sia pur nei limiti ivi indicati, ad eccezione delle concessioni a scopo idroelettrico, il cui regime è disciplinato dal predetto successivo articolo 3.
La suddetta norma, nel disporre ex lege il rinnovo trentennale delle concessioni viola l’art. 117, comma 1, e l'artr. 117, comma 2, lett. e) Cost., in quanto si pone in contrasto con i principi dell’ordinamento comunitario e le leggi statali in materia di tutela della concorrenza, di esclusiva competenza statale.
Inoltre tale disposizione non subordina il rinnovo delle concessioni di derivazione dell'acqua alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale per il rinnovo delle concessioni di derivazione dell’acqua , come di contro previsto dal D.lgs.152/2006 (ALLEGATI ALLA PARTE II), ed in particolare dall’ Allegato II, punti 13, 16 e 18 e dall’ Allegato III, lett. b), t), af) e ag) e non prevede una verifica di assoggettabilità a VIA per il rinnovo delle concessioni di derivazione dell’acqua rispetto ai riferimenti normativi di cui al D.lgs. 152/2006 relativamente all’ Allegato IV punto 1, lett. d) e all’Allegato IV punto 7, lett. d), m), o) e punto 8, lettera t). La norma provinciale si pone pertanto
in contrasto con la citata normativa statale vigente e viola, pertanto, l’art. 117, comma 2, lett. s), Cost., ai sensi del quale lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”.

Con particolare riguardo a quest'ultimo punto si rileva che in tema di autorizzazioni “postume,” la giurisprudenza della Corte di giustizia europea appare ispirata a criteri particolarmente rigorosi (sentenza 3 luglio 2008, procedimento C-215/06), essendosi ribadito che, «a livello di processo decisionale è necessario che l’autorità competente tenga conto il prima possibile delle eventuali ripercussioni sull’ambiente di tutti i processi tecnici di programmazione e di decisione, dato che l’obiettivo consiste nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altre perturbazioni, piuttosto che nel combatterne successivamente gli effetti». Il che suona difficilmente compatibile con un sistema che non prevedeva (o poteva non prevedere) l’obbligo della VIA, né all’atto della adozione del provvedimento autorizzatorio, né alla sua scadenza, posto che in luogo di una “nuova” autorizzazione (o di un “rinnovo” della precedente), si sostituisce ex lege la perdurante validità del vecchio titolo, senza possibilità di verificare se, a causa dell’esercizio della relativa (e legittima) attività, possa essersi cagionato o meno un danno per l’ambiente.
In sostanza, da un lato, nessun elemento normativo garantisce (ma, anzi, tutto sembra deporre per il contrario) che le autorizzazioni in corso di “esercizio” (originario o prorogato) fossero state – ab origine o in sede di proroga – assoggettate a valutazione di impatto ambientale; dall’altro, il perdurante regime normativo di mantenimento dello status quo cristallizza, ex lege, l’elusione dell’obbligo e, con esso, attraverso il meccanismo della legge-provvedimento, il mancato rispetto della normativa statale.


2) La disposizione di cui all’art. 3 i della legge provinciale in esame prevede che “Ai fini di migliorare lo stato di qualità ambientale dei corsi d'acqua interessati, i titolari di due o più concessioni di derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico esistenti, relative ad impianti consecutivi, possono richiedere l'accorpamento delle stesse” (comma 1) e che, in tal caso, il termine di scadenza delle concessioni accorpate corrisponde alla scadenza della concessione accorpata con la durata residua più lunga (comma 3).
Tale previsione, in quanto suscettibile di determinare in modo automatico la proroga di una o più delle concessioni di derivazione a scopo idroelettrico accorpate, si pone in contrasto con l’art. 12, comma 1, del DLGS n. 79/1999 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica), il quale , in conformità ai principi di tutela della concorrenza e di apertura al mercato, di derivazione comunitaria, stabilisce che l’attribuzione della concessione avviene tramite “una gara ad evidenza pubblica, nel rispetto della normativa vigente e dei principi fondamentali di tutela della concorrenza, libertà di stabilimento, trasparenza e non discriminazione”.
Sul tema, come noto, ha avuto modo di soffermarsi più volte la Corte Costituzionale, da ultimo nella sentenza n. 205 del 2011. In proposito preme evidenziare che la legislazione provinciale è in ogni caso assoggettata agli obblighi internazionali e, quindi, ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’U.E. e che nella materia dell’affidamento delle concessioni di derivazione d’acqua a scopo idroelettrico, la disciplina rientra nella competenza esclusiva statale in materia di “tutela della concorrenza”.
La norma si pone, pertanto, in xcontrasto con l’art.117 comma 2 lett. e) della Costituzione.

3) L'art. 5, primo comma, prevede la cessione, da parte degli enti locali, della proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinate all’esercizio dei servizi di acquedotto.
La suddetta norma viola il principio generale dell’inalienabilità dei beni demaniali ex artt. 822, 823 e 824 del codice civile. Tale divieto è richiamato espressamente dall’art. 143, comma 1, d.lgs.152/2006 il quale recita : “Gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge”. In questo contesto appare inoltre opportuno richiamare l’ulteriore divieto espresso dal d.lgs 267/2000, art.113, comma 2, in base al quale “Gli enti locali non possono cedere la proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici di cui al comma 1, salvo quanto stabilito dal comma 13”.
La norma, pertanto, contrastra con l'art. 117, comma 2, lett. l, della Costituzione che riserva alla competenza esclusiva statale la materia dell'ordinamento civile.

4) Le disposizioni di cui agli artt. 5, comma 4, e 9, comma 4, alinea 1, rinviano alla Giunta provinciale, rispettivamente, la definizione di procedure e direttive tecniche per la realizzazione di sonde geotermiche in falda per la produzione di calore, e la determinazione delle prestazioni energetiche degli edifici.
Va osservato al riguardo che tali disposizioni non richiamano la Giunta all’osservanza di quanto stabilito dal DLGS n. 28/2011 in materia di procedure semplificate per la posa in opera di sonde geotermiche (art. 7, comma 5) ed in materia di principi minimi di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici di nuova costruzione e negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazione rilevanti (art. 11 ed allegato 3).
Per quanto sopra esposto tali disposizioni, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale secondo la quale l’incostituzionalità di norme regionali deve discendere dall’impossibilità di darne una interpretazione conforme alla Costituzione, nonchè alla luce del principio di leale collaborazione (Corte Cost. sentenze n. 65/1999 e n. 356/1996; ordinanza n. 299/2006), si pongono in contrasto con l’art. 117, comma 2, lett. s. della Costituzione in quanto violano la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente.


5) Le disposizioni di cui all’articolo 9, commi 6 e 7, ai fini dell’isolamento termico degli edifici e dell’utilizzo dell’energia solare, prevedono la possibilità di derogare alle distanze tra edifici, alle altezze degli edifici e alle distanze dai confini previsti nel piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile.
Le suddette norme contrastano con le disposizioni precettive contenute nel decreto ministeriale n. 1444/1968.
Con particolare riferimento all’articolo 9 del predetto DM, in tema di distanze tra edifici, si osserva che per giurisprudenza consolidata tale norma per la sua genesi (è stata adottata ex art. 41-quinquies, comma 8, della legge 17.08.1942 n. 1150) e per la sua funzione igienico-sanitaria (evitare intercapedini malsane), fissa dei valori minimi inderogabili e costituisce, pertanto, principio inderogabile della materia (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, sentenze n. 7731/2010 e n. 4374/2011), anche per le Regioni e Province autonome che, in base agli statuti di autonomia, siano titolari di competenza esclusiva nella materia urbanistica.
E’ necessario segnalare che la Corte Costituzionale, sin dalla sentenza n. 120 del 1996, ha precisato che “La predetta norma sulle distanze tra edifici, deve considerarsi integrativa di quelle previste dal codice civile (art. 873 cod. civ. e segg.)” e che “le disposizioni sulle distanze fra costruzioni sono giustificate dal fatto di essere preordinate, non solo alla tutela degli interessi dei due frontisti, ma, in una più ampia visione, anche al rispetto di una serie di esigenze generali, tra cui i bisogni di salute pubblica, sicurezza, vie di comunicazione e buona gestione del territorio”.
Si tratta, quindi, di una norma che prevale sia sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze (cfr. anche Corte Costituzionale 16 giugno 2005, n. 232), sia sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei comuni, in quanto deriva da una fonte normativa statale sovraordinata (Cass. civ., Sez. II, 31 ottobre 2006, n. 23495), sia infine sull’autonomia negoziale dei privati, in quanto tutela interessi pubblici che per la loro natura igienico-sanitaria non sono nella disponibilità delle parti (Cons. Stato, Sez. IV, 12 giugno 2007, n. 3094).
Corre l’obbligo di evidenziare che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 232/2005, ha avuto modo di affermare, inoltre, che le normative locali (regionali o comunali) possono prevedere distanze inferiori alla misura minima di cui all’art. 9 del D.M. 1444/1968, tuttavia entro precisi limiti: l’introduzione di deroghe è consentita solo nell’ambito della pianificazione urbanistica, come nell’ipotesi espressamente prevista dall’art. 9 comma 3 del DM 1444/1968, che riguarda edifici tra loro omogenei perché inseriti in un piano particolareggiato o in un piano di lottizzazione.
Pertanto, per le suesposte argomentazioni si ritiene che le disposizioni di cui all’articolo 9, commi 6 e 7 della legge provinciale in esame non prevedendo il rispetto delle altezze e delle distanze di cui al suddetto decreto ministeriale, contrastano con l’articolo 117, secondo comma, lettera l) Cost.

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