Dettaglio Legge Regionale

Modifiche alla legge regionale 11 agosto 2009, n. 21 (Misure straordinarie per il settore edilizio ed interventi per l'edilizia residenziale sociale) e alle leggi regionali 2 luglio 1987, n. 36 (Norme in materia di attività urbanistico-edilizia e snellimento delle procedure), 26 giugno 1997, n. 22 (Norme in materia di programmi di intervento per la riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale del territorio della Regione), 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali), 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesaggistico), 22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul governo del territorio), 6 agosto 2007, n. 13 (Organizzazione del sistema turistico laziale. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 "Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo" e successive modifiche), 27 maggio 2008, n. 6 (Disposizioni regionali in materia di architettura sostenibile e di bioedilizia), 11 agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull'attività urbanistica-edilizia) e 16 aprile 2009, n. 13 (Disposizioni per il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti). (13-8-2011)
Lazio
Legge n.10 del 13-8-2011
n.32 del 27-8-2011
Politiche infrastrutturali
/ Rinuncia impugnativa
RINUNCIA IMPUGNATIVA

La legge regionale Lazio n. 10/2011 recante «Modifiche alla legge regionale 11 agosto 2009, n. 21 (Misure straordinarie per il settore edilizio ed interventi per l'edilizia residenziale sociale) alla legge regionale 2 luglio 1987, n. 36 (Norme in materia di attività urbanistico-edilizia e snellimento delle procedure), alla legge regionale 26 giugno 1997, n. 22 (Norme in materia di programmi di intervento per la riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale del territorio della regione), alla legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali), alla legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesaggistico), alla legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul governo del territorio), alla legge regionale 6 agosto 2007, n. 13 (Organizzazione del sistema turistico laziale. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 "Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo" e successive modifiche), alla legge regionale 27 maggio 2008, n. 6 (Disposizioni regionali in materia di architettura sostenibile e di bioedilizia), alla legge regionale 11 agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia) e alla legge regionale 16 aprile 2009, n. 13 (Disposizioni per il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti)» con delibera del Consiglio dei Ministri in data 24 ottobre 2011 è stata impugnata dinanzi la Corte Costituzionale per diversi motivi di illegittimità costituzionali, tra i quali, in particolare:

- la disposizione contenuta all’articolo 5, comma 31, che aggiungendo la lettera d-bis) al comma 4 dell’articolo 8 della l.r. 29/1977 (concernente le attività consentite all’interno delle zone A previste dall’art. 7, comma 4, lettera a), n. 1) consentiva consistenti interventi edilizi (quali quelli di realizzazione impianti e strutture sportive, nonché di strutture ad esse collegate) in aree di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e culturale, con inesistente o limitato grado di antropizzazione, per le quali è invece richiesta una tutela integrale.

- la disposizione contenuta all’articolo 2, che sostituendo l’art. 2 della l.r. n. 21/2009, accomunava senza precisazioni le ipotesi nelle quali l’intervento edilizio era assistito da un titolo autorizzatorio, rilasciato espressamente o risultante tacitamente in base alle varie normative sul condono, alle ipotesi nelle quali il titolo fosse stato rilasciato nel periodo triennale entro il quale era consentita la presentazione delle domande in base alla l.r. n. 21/2009. Così facendo, la disposizione determinava il superamento dei presupposti e dei limiti, anche temporali, previsti dalle leggi sul condono, e introduceva surrettiziamente una sorta di proroga o ampliamento del condono non prevista dalla normativa vigente.

- la disposizione contenuta all’articolo 5, comma 15, che, sostituendo l’articolo 25 della legge regionale n. 21/2009, introduceva disposizioni in materia di condono edilizio. La previsione impugnata estendeva in modo indifferenziato e generalizzato l’autocertificazione e il conseguente silenzio assenso ivi previsti, ponendo sullo stesso piano i condoni edilizi del 1985, del 1994 e del 2003. In tal modo risultava esteso, nella sostanza, l’ambito applicativo del condono del 2003, fin a includervi anche gli abusi commessi in aree vincolate, operando in tal modo un’indebita appropriazione del potere legislativo statale. In particolare, la disposizione prevedeva un meccanismo di autocertificazione dell’avvenuta formazione del silenzio-assenso, con il termine di novanta giorni per il Comune per verificarne la veridicità, decorso il quale il titolo abilitativo in sanatoria si intendeva formato per tutti gli effetti di legge. Era inoltre prevista una inammissibile deroga alla partecipazione necessaria dell’amministrazione statale in tema di recupero dei nuclei edilizi abusivi e di definizione delle domande di sanatoria edilizia. Le modalità di definizione dei procedimenti di “sanatoria edilizia straordinaria” (condono) ancora pendenti, infatti, attribuivano esclusivamente ai comuni – omettendo di precedere un qualsiasi riferimento agli organi statali – il potere di effettuare verifiche e controlli delle attestazioni e dalla documentazione presentata dagli istanti.

Il 6 agosto 2012 la Regione Lazio ha approvato la legge regionale n. 12/2012, recante «Modifiche alla L.R. 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali), alla L.R. 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico) e alla L.R. 11 agosto 2009, n. 21 (Misure straordinarie per il settore edilizio ed interventi per l'edilizia residenziale sociale), come da ultimo modificate dalla legge regionale 13 agosto 2011, n. 10 e modifiche alla L.R. 2 luglio 1987, n. 36 (Norme in materia di attività urbanistico-edilizia e snellimento delle procedure), alla L.R. 9 marzo 1990, n. 27 (Contributi sugli oneri di urbanizzazione a favore degli enti religiosi per gli edifici destinati al culto. Interventi regionali per il recupero degli edifici di culto aventi importanza storica, artistica od archeologica), alla L.R. 6 agosto 1999, n. 12 (Disciplina delle funzioni amministrative regionali e locali in materia di edilizia residenziale pubblica), alla L.R. 22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul governo del territorio), alla L.R. 19 luglio 2007, n. 11 (Misure urgenti per l'edilizia residenziale pubblica) e alla L.R. 16 aprile 2009, n. 13 (Disposizioni per il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti) e successive modifiche».

Con delibera del Consiglio dei Ministri in data 28 settembre 2012, per alcune delle disposizioni contenute in questa legge regionale è stata proposta l’impugnativa davanti alla Corte Costituzionale ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

Alcune delle norme contenute nella l.r. n. 12/2012, non oggetto di impugnativa, consentivano di superare le censure sopra richiamate alla l.r. n. 10/2011.

In particolare, il comma 23 dell’articolo 1 della l.r. n. 12/2012 ha abrogato l’art. 8, comma 4, lettera d-bis) della l.r. n. 29/1997, introdotto dall’articolo 5, comma 31 della l.r. n. 10/2011, determinando la cessazione della materia del contendere in ordine a questo punto.

Inoltre, il comma 4 dell’articolo 1 della l.r. n. 12/2012 ha modificato l’art. 2 della l.r. n. 21/2009, come sostituito dalla l.r. n. 10/2011, in modo da superare i rilievi formulati dal governo. La nuova formulazione dell’articolo 2, infatti, limita l’ambito di applicazione della disposizione “agli interventi di ampliamento, di ristrutturazione e di sostituzione edilizia degli edifici di cui agli articoli 3, 3-bis, 3-ter, 4, e 5 per i quali, alla data del 28 agosto 2011, sussista, alternativamente, una delle seguenti condizioni:
a) siano edifici legittimamente realizzati ed ultimati come definiti dall’articolo 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e successive modifiche ovvero, se non ultimati, abbiano ottenuto il titolo abilitativo edilizio;
b) siano edifici ultimati per i quali intervenga il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria entro il termine di cui all'articolo 6, comma 4”.

E' da ritenersi superata la censura formulata avverso l’articolo 5, comma 15 della l.r. n. 10/2011, che sostituiva l’articolo 25 della legge regionale n. 21/2009. Il comma 14 dell’art. 1 della l.r. n. 12/2012, infatti, introduce quelle precisazioni e distinzioni, con riferimento alle diverse leggi di condono che si sono succedute nel tempo, la cui mancanza era stata fatta oggetto di censure sotto il profilo della indebita estensione del campo applicativo del silenzio assenso anche con riferimento all’ultimo condono edilizio del 2003 che, come è noto, ha introdotto forti limitazioni alla sua applicabilità agli abusi commessi in aree vincolate.

A seguito della adozione della l.r. n. 12/2012 permanevano ancora validi i motivi di impugnativa, relativi all'articolo 5, comma 6, nonché comma 32, lettera a), lettera b), lettera c) nn. 1) 2) e 3) e lettera d) , di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 24 ottobre 2011.

Anche tali profili di illegittimità costituzionale sono stati successivamente superati. La Regione Lazio, infatti, con legge n. 8 dell'8 agosto 2014 (recante "Modifiche alle leggi regionali 6 luglio 1988, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposte a vincolo paesistico) e 11 agosto 2009, n. 21 (Misure straordinarie per il settore edilizio ed interventi per l'edilizia residenziale sociale) e ss.mm.") ha complessivamente ridefinito la disciplina impugnata di fronte alla Corte costituzionale.

Acquisito il parere del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (nota prot. n. 10745 in data 7 maggio 2015), si ritiene che alla luce delle suddette modifiche normative, tenuto conto anche delle formali rassicurazioni espresse dagli organi regionali in ordine a possibili modifiche integrative della disciplina così come attualmente vigente, sussistano i presupposti per la rinuncia all'impugnativa della l.r. n. 10/2011 tuttora pendente.
24-10-2011 / Impugnata


La legge regionale, che modifica numerose leggi regionali in materia di urbanistica, edilizia, riqualificazione ambientale, aree naturali protette regionali, pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesaggistico e governo del territorio è censurabile, relativamente alle norme di seguito descritte, per diversi motivi, che possono riunirsi in tre diversi gruppi : il primo che ha riguardo alla pianificazione paesaggistica, il secondo alla disciplina di tutela delle aree naturali protette, il terzo alle norme in materia di sanatoria straordinaria degli abusi edilizi, e il quarto relativo alle norme urbanistiche in materia di governo del territorio.

1 . Si premette che la parte III del Codice per Beni culturali ed il paesaggio , di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, e successive modificazioni , ha delineato un sistema organico di tutela paesaggistica, innestando i tradizionali strumenti del provvedimento impositivo del vincolo e dell’autorizzazione paesaggistica in un sistema di pianificazione paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente da Stato e Regione, contenendo per ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d’uso (criteri di gestione del vincolo, volti ad orientare la fase autorizzatoria, stabilendo quali trasformazioni siano compatibili, a quali condizioni, e quali invece vietate). Si tratta di una scelta di principio, la cui validità ed importanza è già stata affermata più volte dalla Corte costituzionale, in occasione dell’impugnazione di leggi regionali che intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli strumenti di pianificazione dei Comuni, eludendo la necessaria, complessiva condivisione delle scelte in uno strumento di pianificazione sovra comunale definito d’accordo tra Stato e Regione (cfr. sent. n. . 182 del 2006)
Le disposizioni regionali in esame hanno introdotto una pluralità eterogenea di norme direttamente impattanti sull’assetto dei beni paesaggistici, tale da svuotare di ogni reale contenuto residuo quella che è la sede istituzionale propria della tutela, gestione e valorizzazione del paesaggio, costituita, in base al citato Codice di settore, dalla nuova pianificazione paesaggistica, che deve essere obbligatoriamente definita in base ad accordi tra Stato e Regione, per quanto attiene ai beni paesaggistici, comunque vincolati.
La legge regionale in esame, nei vari punti che di seguito si esaminano nel dettaglio, lì dove dispone direttamente sui beni vincolati, si appropria quindi indebitamente del potere di decisione delle linee di sviluppo di numerose aree paesaggistiche, predefinendo unilateralmente assetti urbanistico-territoriali e regimi di interventi, nonché interventi puntuali, tali da privare di ogni utilità lo strumento istituzionalmente previsto dalla legge nazionale per la co-pianificazione concordata, privando in tal modo lo Stato di ogni effettivo ruolo decisionale sulla sorte dei beni tutelati. Nei confronti delle norme regionali di seguito descritte, si evidenziano evidenti profili di incostituzionalità, per violazione degli articoli 117, secondo comma, lettera s) e 9 della Costituzione e delle norme statali interposte (Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, e successive modificazioni), nonché in una violazione della Convenzione europea del paesaggio aperta alla firma a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con legge 9 gennaio 2006, n. 14, e, suo tramite, dei parametri costituzionali costituiti dagli articoli 10, 11 e 117, primo comma, della Costituzione.
Sotto questo profilo, risultano quindi censurabili le seguenti disposizioni della legge regionale in esame :
1.1 La norma contenuta nell’articolo 5, comma 6, sostituendo l’articolo 7 della l.r. 21/2009, in tema di programmi integrati di riqualificazione urbana e ambientale, attribuisce a detti strumenti comunali “il recupero e la riqualificazione di aree sottoposte a vincoli ambientali e paesaggistici compromesse da degrado ambientale”, nonché le scelte sull’espansione edificatoria, mediante il “trasferimento della edificazione esistente o prevista nelle aree di valore paesaggistico”. Tali funzioni e obbiettivi , viceversa, appartengono necessariamente ai piani paesaggistici disciplinati dagli articoli 135 e 143 del Codice dei Beni culturali. Secondo l’art. 143 cit. del Codice, infatti, uno dei contenuti minimi essenziali del piano paesaggistico – da redigere e approvare obbligatoriamente in base ad accordi tra Stato e Regione, per i beni vincolati – consiste proprio nella ricognizione delle aree vincolate, nella loro qualificazione, anche in termini di area compromessa o degradata, per la conseguente previsione di misure di recupero e riqualificazione, anche mediante la creazione di nuovi paesaggi. Questi contenuti pianificatori appartenenti allo Stato in base alla Costituzione e al Codice di settore vengono affidati dalla norma regionale ad altri strumenti pianificatori urbanistici comunali da considerarsi inidonei (cfr. Corte cost. n. 182 del 2006 cit.).
In tal modo, vengono predeterminati, con riferimento ad un ambito territoriale e ad un livello istituzionale (quello comunale) non adeguati, previsioni che, secondo il Codice e secondo le relative prospettive attuative , dovrebbero trovare la loro sede propria nell’approvando PTPR della Regione Lazio, vanificando così l’attività di copianificazione in essere.
Particolarmente evidente si palesa l’effetto di svuotamento di ogni contenuto utile della copianificazione paesaggistica nella previsione della lettera b) del nuovo comma 3 dell’art. 7 della legge regionale n. 21 del 2009, come sostituito dall’art. 5, comma 7, della legge regionale in esame, che demanda ai Comuni (in sede di programmi di riqualificazione urbana) la previsione della “traslazione, previa localizzazione, delle volumetrie degli edifici demoliti e di quelle previste dalla pianificazione comunale vigente, in altre aree esterne a quelle vincolate, facendo ricorso anche al cambio di destinazioni urbanistiche vigenti e all’aumento della capacità edificatoria”, nonché nella previsione del nuovo comma 8 del medesimo art. 7 della novellata legge del 2009, riguardante i comuni costieri, per i quali i programmi di cui al comma 3 “finalizzati a delocalizzare gli edifici esistenti nelle fasce di rispetto relative al territorio costiero marittimo previste dall’art. 142, comma 1, lettera a), del d.lgs. 42/2004 devono prevedere la ricostruzione degli edifici demoliti al di fuori delle fasce medesime consentendo un incremento delle volumetrie fino al 150 per cento”. E’ evidente come le ora trascritte disposizioni di legge regionale dispongano unilateralmente della sorte dei beni paesaggistici (tra cui le fasce di rispetto ex lege “Galasso”), al di fuori di qualsivoglia concertazione con lo Stato, negando ogni funzione residua alla pianificazione paesaggistica, che pure costituisce lo strumento tipico, proprio e necessario – secondo la legge statale - per il ridisegno e la pianificazione di tali aree protette.

1.2 – La disposizione di cui all’articolo 5, comma 32, lettera d), modifica l’articolo 36-quater, comma 1.1., della l.r. 24/1998, prevedendo un periodo quinquennale (o fino all’approvazione del PTPR adottato, se interverrà prima) durante il quale i Comuni possono evidenziare nei confronti del PTPR incongruità nell’individuazione dei paesaggi o contraddittorietà della relativa disciplina rispetto a quanto previsto dai propri strumenti urbanistici adottati precedentemente alla adozione del PTPR, proponendo alla Regione (ai sensi del comma 1) modifiche che vengono recepite in sede di approvazione del piano paesaggistico. In questo caso, si tratta di modificazioni della pianificazione territoriale di tutela, che potrebbe essere ridefinita all’infuori di qualsiasi intervento dell’Amministrazione statale; si tratta di un sostanziale “congelamento” della pianificazione congiunta concordata, con un sovvertimento delle regole del Codice sulla pianificazione paesaggistica, che consente una sorta di “deroga” temporanea ai normali assetti e svolgimenti della copianificazione paesaggistica, con pretermissione totale del ruolo indefettibile dello Stato. La norma devia dal corretto sviluppo applicativo della disciplina nazionale in specie ove si consideri che tale “moratoria” quinquennale, demandata all’iniziativa dei Comuni in dialogo con la sola Regione – interviene a distanza di oltre tre anni dall’entrata in vigore del testo definitivo del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che sancisce univocamente la necessità di una pianificazione congiunta dei beni paesaggistici tra Stato e Regione, e di quasi due anni dalla scadenza del termine (31 dicembre 2009) al decorso infruttuoso del quale viene collegata (articolo 156, comma 1) l’esercitabilità dei poteri sostitutivi dello Stato in materia.
Analoghe considerazioni valgono per la norma, di cui all’art. 5, comma 32, lettera e) che introduce l’articolo 36-quinquies della l.r. 24/1998, la quale, sempre nelle more dell’approvazione del PTPR, consente alla Regione Lazio di correggere errori grafici o materiali su segnalazioni dei Comuni.

1.3- Le previsioni di cui all’articolo 5, comma 32, lettere a) e c), nn. 1), 2) e 3), :
- introducono nella l.r. 24/1998 l’articolo 8, comma 3-bis, dove si consente, mediante un’ intesa, una deroga a PTP e PTPR per realizzare o integrare bacini sciistici;
- riformulano l’articolo 18-ter, lettera b), della predetta legge regionale per consentire analoga deroga per ampliamenti e completamenti di edifici pubblici, realizzazione di opere pubbliche o private di pubblico interesse, individuazione di aree per standard per edilizia sociale, per i PEEP e per il recupero di nuclei abusivi;
- introducono, nello stesso art. 18 della legge regionale n. 24 del 1998, la lettera b-bis), dove si consente analoga deroga per interventi in aree edificabili;
- introducono altresì la lettera d-bis), relativa ad analoga deroga per installazioni di infrastrutture di comunicazione elettronica.
Tali disposizioni consentono interventi di trasformazione del territorio prescindendo dalla conformità e dalla verifica di compatibilità rispetto alle previsioni del piano paesaggistico, ma anzi espressamente in deroga (potenzialmente illimitata) a dette previsioni, mediante puntuali intese tra Stato e Regione .
Seppure prevista la partecipazione degli organi statali, essa si presenta in una forma puntuale, disorganica e perciò stesso impropria e disfunzionale, in contrasto con le previsioni del Codice dei Beni culturali sulla pianificazione paesaggistica. Anche in questo caso la Regione Lazio deroga alla regola generale dettata dalla legge statale, unica competente a disciplinare queste procedure di tutela del paesaggio. L’anomala “intesa”, coniata dal legislatore regionale in evidente carenza di potere legislativo, non può sopperire alla procedura legittima di copianificazione paesaggistica disciplinata dettagliatamente, in termini affatto diversi, dalla legge nazionale .

1.4. L’articolo 5, comma 32, lettera b) inserisce un comma 4-bis nell’articolo 13 della l.r. 24/1998 ove si determina una confusione tra l’interesse “archeologico” delle aree individuate dal PTPR, di cui si prevede la verifica (in negativo) da parte della Soprintendenza archeologica, e la vera natura delle “aree di interesse archeologico” in questione. A parte la considerazione secondo la quale non può essere una legge regionale a disciplinare l’esercizio di un potere spettante all’Amministrazione statale, va aggiunto che, comunque, si tratta (come chiarito ormai dalla giurisprudenza: cfr. Cons. Stato, VI, 12 novembre 1990, n. 951; 10 dicembre 2003, n. 8145; 3 marzo 2011, n. 1366) di parti del territorio sottoposte ad un particolare vincolo paesaggistico ope legis (oggi, “zone di interesse archeologico”, ai sensi della lettera m), dell’articolo 142 del Codice), in quanto perimetrate come contesto di giacenza di beni archeologici evidenziati (ed in questo caso autonomamente vincolati ai sensi dell’articolo 10 del Codice) ovvero ancora da evidenziare, rispetto al quale ogni verifica non può che essere demandata alla Soprintendenza competente per i beni paesaggistici.
Seppure la formulazione dubbia fosse, in vero, già contenuta nella norma regionale e previgente, occorre sottolineare che quanto disposto in tema dalla l.r. 24/1998, emanata sotto la vigenza del vecchi titolo V della parte II della Costituzione, deve comunque ritenersi superato dal Codice, una volta chiarito dall’articolo 117, comma secondo, Cost., che la tutela del patrimonio culturale rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato. Né la preesistente legge regionale n. 24 del 1998, anteriore al nuovo titolo V, può perpetuare una sorta di prorogatio della legittimazione regionale a dettare norme in una materia, quale la definizione delle zone di interesse archeologico, che spetta in via esclusiva allo Stato.
Appare dunque evidente che, in ordine a dette aree, non vi è alcuna verifica sull’interesse archeologico da compiere; semmai, vi potrà essere un confronto sulla perimetrazione dal punto di vista dell’interesse paesaggistico, ma non vi è alcun bisogno di disciplinare tale verifica in modo specifico rispetto ad ogni verifica avente tale obiettivo nell’ambito delle complessive ed organiche attività di adeguamento e revisione dei piani paesaggistici (fermo restando che le competenze in ambito ministeriale verranno disciplinate con disposizioni statali).

2) Censurabili sotto il profilo della violazione della competenza esclusiva dello Sato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di cui allo stesso articolo 117, secondo comma lettera s) della Costituzione, risultano poi quelle norme della legge regionale che consentono in maniera generalizzata i previsti interventi edilizi di ampliamento, nonché di demolizione e ricostruzione, facendo quindi salve solo in parte le aree protette, prevedendo che le norme trovino applicazione anche nelle zone di promozione economica e sociale individuate nei piani di assetto, nonché nelle zone B in regime di salvaguardia delle Aree Naturali protette.
Si rileva quindi la violazione delle norme contenute nella legge quadro statale in materia di aree protette n. 394/1991, che costituiscono espressione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. In particolare le norme regionali in esame determinano la violazione dell’articolo 6, commi 3 e 4 della citata legge n.. 394/1991 che prevedono, rispettivamente che “Sono vietati fuori dei centri edificati di cui all'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 , e, per gravi motivi di salvaguardia ambientale, con provvedimento motivato, anche nei centri edificati, l'esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti, qualsiasi mutamento dell'utilizzazione dei terreni con destinazione diversa da quella agricola e quant'altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell'area protetta. In caso di necessità ed urgenza, il Ministro dell'ambiente, con provvedimento motivato, sentita la Consulta, può consentire deroghe alle misure di salvaguardia in questione, prescrivendo le modalità di attuazione di lavori ed opere idonei a salvaguardare l'integrità dei luoghi e dell'ambiente naturale. Resta ferma la possibilità di realizzare interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di cui alle lettere a) e b) del primo comma dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457 , dandone comunicazione al Ministro dell'ambiente e alla regione interessata” e… “dall'istituzione della singola area protetta sino all'approvazione del relativo regolamento operano i divieti e le procedure per eventuali deroghe di cui all'articolo 11”.
Profili di contrasto con la citata legge quadro statale sono rinvenibili anche in riferimento all’art.11, commi 1 e 3 secondo i quali “Il regolamento del parco disciplina l'esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco ed è adottato dall'Ente parco, anche contestualmente all'approvazione del piano per il parco di cui all'articolo 12 e comunque non oltre sei mesi dall'approvazione del medesimo” e “..nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. ”.Violata risulta anche la norma contenuta nell’art.12, comma 2, lettera d) della stessa legge quadro, che prevede che nelle aree di promozione economico e sociale siano consentite attività compatibili i con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori. Si ricorda in proposito che le norme contenute nell’articolo 11 della legge n. 394/1991 costituiscono, secondo quanto affermato dall’articolo 22, comma 1, lettera d) della medesima legge, principi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali.

2.1 Risulta, quindi illegittima, sotto questo aspetto, la norma contenuta nell’articolo 2 della legge in esame che concerne l’ambito di applicazione delle norme consentendone, come detto, un’applicabilità pressoché generalizzata al territorio regionale.

2.2 Per il medesimo motivo è censurabile la disposizione contenuta nell’articolo 5, comma 31 che aggiunge la lettera d-bis) al comma 4 dell’articolo 8 della l.r. 29/2077, concernente le attività consentite all'interno delle zone A, previste dall'articolo 7, comma 4, lettera a), numero 1) della medesima legge regionale. Sono queste aree di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e culturale con inesistente o limitato grado di antropizzazione , cui garantire un livello di tutela pressoché integrale. Con la norma introdotta si consente in tali aree la realizzazione di impianti e strutture sportive nonché strutture ad esse collegate.

3) Ulteriori aspetti di incostituzionalità sono costituiti dalle disposizioni regionali che incidono in tema di condono edilizio, ove si evidenzia la violazione dei principi fondamentali della legge statale in materia di governo del territorio, nell’ estendere l’ambito applicativo dell’ultimo condono, quello dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 326 del 2003), fino a ricomprendervi anche gli abusi “maggiori” e “sostanziali” commessi su aree vincolate, ipotesi a priori escluse come del tutto non condonabili dall’art. 32, comma 27, lettera d) del citato d.l. n. 269 del 2003 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 326 del 2003), come chiarito da unanime giurisprudenza costituzionale ( Corte cost., 6 novembre 2009, n. 290, Corte cost. 27 febbraio 2009, n. 54, Corte cost., 8 maggio 2009, n. 150).

3.1 In primo luogo risulta, quindi, censurabile la norma, contenuta nell’articolo 2, che delimitando l’ambito di applicazione della legge regionale, detta una nuova formulazione dell’articolo 2, comma 1, lettera b), della l.r. 21/2009. Tale disposizione, accomunando senza precisazioni le ipotesi nelle quali l’intervento edilizio è assistito da un titolo autorizzatorio, rilasciato espressamente o risultante tacitamente in base alla normative sul condono che si sono pro-tempore succedute fino ad oggi (leggi 47 del 1985, 724 del 1994, 326 del 2003 e l.r. 12 del 2004) alle ipotesi nelle quali il titolo “venga rilasciato entro il termine previsto dall’articolo 6, comma 4” (vale a dire, nel periodo triennale entro il quale è consentita la presentazione delle domande sulla base della nuova legge, 31 gennaio 2012 – 31 gennaio 2015), è suscettibile di determinare il superamento dei presupposti e dei limiti, anche temporali, previsti dalle leggi di condono; così introducendo surrettiziamente, e senza base normativa statale, una sorta di proroga o ampliamento del condono.

3.2 Illegittima sotto questo profilo si presenta, inoltre, la norma contenuta nell’art. 5, comma 15, che sostituisce l’art. 25 della legge regionale n. 21 del 2009, e introduce disposizioni in materia di condono edilizio. La previsione estende in modo indifferenziato e generalizzato, senza alcuna distinzione o limite, l’autocertificazione e il conseguente silenzio-assenso, ivi previsti, ponendo del tutto sullo stesso piano i condoni edilizi del 1985, del 1994 del 2003. In tal modo risulta esteso nella sostanza l’ambito applicativo del condono del 2003, fin a includervi senz’altro anche gli abusi commessi in aree vincolate, operando in tal modo un’indebita appropriazione del potere legislativo statale (come già chiarito in casi analoghi dalla Corte costituzionale, sentenze nn. 54 e 290 del 2009). Sussiste, dunque, una evidente violazione dei principi fondamentali della legge statale in materia di condono edilizio.
In particolare la norma regionale censurata introduce un meccanismo di autocertificazione dell’avvenuta formazione del silenzio-assenso, con un termine di novanta giorni per il Comune per verificarne la veridicità, decorso il quale viene previsto che “il titolo abilitativo in sanatoria si intende formato a tutti gli effetti di legge nei termini previsti dalle singole leggi di sanatoria indicate nel medesimo comma 1, lettera a)”.
La medesima norma è censurabile sotto l’ulteriore profilo dell’inammissibile deroga alla partecipazione necessaria dell’Amministrazione statale in tema di recupero dei nuclei edilizi abusivi e di definizione delle domande di sanatoria edilizia. Le previste modalità di definizione dei procedimenti di “sanatoria edilizia straordinaria” (condono) ancora pendenti che considerano il potere di effettuare verifiche e controlli delle attestazioni e della documentazione presentate dagli istanti soltanto in capo ai Comuni, introduce per l’espletamento di dette verifiche e controlli e per l’adozione degli eventuali provvedimenti di autotutela (in particolare, ai commi 3 e 4) termini brevi alla cui infruttuosa decorrenza viene collegata la formazione di un titolo abilitativo edilizio tacito (c.d. silenzio assenso); tutto ciò, omettendo di menzionare qualsiasi intervento da parte degli organi statali.

Per questi motivi le sopra descritte norme della legge regionale devono essere impugnate ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

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