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Modifica ed integrazione dell'articolo 9 della legge regionale 19 gennaio 2007, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione Campania - legge finanziaria regionale 2007), modifica ed integrazione dell'articolo 9 della legge regionale 27 marzo 2009, n. 4 (legge elettorale) e modifica ed integrazione dell'articolo 28 della legge regionale 5 giugno 1996, n. 13 (nuove disposizioni in materia di trattamento indennitario agli eletti alla carica di consigliere regionale della Campania. (11-10-2011)
Campania
Legge n.16 del 11-10-2011
n.65 del 17-10-2011
Politiche ordinamentali e statuti
13-12-2011 /
Impugnata
Con la legge in esame la Regione Campania intende apportare delle modifiche alle leggi regionali n. 1/2007, n.4/2009 e n. 13/1996, in materia di sospensione dei consiglieri regionali.
La legge regionale è censurabile per le seguenti disposizioni:
1) L'articolo 1, che aggiunge il comma 5 all'articolo 9 della l.r. n. 1/2007, come corretto dall'avviso di errata corrige pubblicato nel B.U.R. 25 ottobre 2011, n. 67, prevede che "I consiglieri regionali che hanno riportato condanna, anche non definitiva, per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale, restano sospesi dalla carica fino alla sentenza".
Tale disposizione si pone in contrasto con l'articolo 15, comma 4 bis, della legge 19 marzo 1990, n. 55 e successive modificazioni che prevede la sospensione sino a diciotto mesi da una serie di cariche, inclusa quella di consigliere regionale in caso di condanna non definitiva per taluni delitti, tra cui quello previsto dall'articolo 416 bis del codice penale (art. 15, comma 4 bis, lettera a)) o quando è disposta l'applicazione di una delle misure coercitive di cui agli articoli 284, 285, 286 del codice di procedura penale.
La norma statale, però, prevede al citato comma 4 bis dell'articolo 15 che "...La sospensione cessa di diritto di produrre effetti decorsi diciotto mesi." e che "La cessazione non opera, tuttavia, se entro i termini di cui al precedente periodo l'impugnazione in punto di responsabilità è rigettata anche con sentenza non definitiva. In quest'ultima ipotesi la sospensione cessa di produrre effetti decorso il termine di dodici mesi dalla sentenza di rigetto". La norma disciplina, dunque, il venir meno della sospensione dopo diciotto mesi come fattispecie base, derogabile solo ove entro questo termine intervenga la sentenza negativa di appello, la quale provoca l'aggiungersi di ulteriori dodici mesi al periodo effettivamente consumato.
La sospensione dalla carica elettiva, disposta con il d.P.C.M. di cui all'articolo 15, comma 4 ter della legge n. 55/90 ha, quindi, carattere provvisorio in quanto l'ordinamento non può far gravare sul condannato con sentenza non definitiva i tempi lunghi del processo penale. La legge n.55/90 tende, infatti, a proteggere in egual misura valori che, nella fattispecie in esame, potrebbero confliggere: alla ineludibile esigenza di salvaguardia della trasparente gestione degli enti locali, si contrappone la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva (articolo 27 Cost. e sentenza Corte Costituzionale n. 239/1996).
La stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale ha ripetutamente ribadito che l'articolo 15 della legge n. 55 del 1990 e successive modificazioni persegue finalità di salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, di buon andamento e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, contro i gravi pericoli di inquinamento derivanti dalla criminalità organizzata e dalle sue infiltrazioni (sentenze n. 132 del 2001, n. 141 del 1996, n. 118 e n. 295 del 1994, n. 407/1992), coinvolgendo così esigenze ed interessi dell'intera comunità nazionale connessi a "valori costituzionali di rilevanza primaria" (sentenza n. 218 del 1993). I delitti per i quali l'art. 15 citato prevede -dopo la condanna definitiva- la decadenza o anche -in caso di condanna non definitiva- la sospensione obbligatoria dalla carica elettiva sono appunto qualificati, secondo la giurisprudenza costituzionale, non tanto dalla loro gravità in relazione al "valore" del bene offeso o all'entità della pena comminata, ma piuttosto dal fatto di essere considerati tutti dal legislatore come manifestazione di delinquenza di tipo mafioso o di altre gravi forme di pericolosità sociale, non irragionevolmente ritenendoli il legislatore stesso, nell'ambito delle proprie, insindacabili scelte di politica criminale, parimenti forniti di alta capacità di inquinamento degli apparati pubblici da parte delle organizzazioni criminali. Si giustifica in questo modo una disciplina molto rigorosa ispirata alla ratio di prevenire e combattere tali gravi pericoli allo scopo appunto di salvaguardare "interessi fondamentali dello Stato" (sentenze n. 206 del 1999 e n. 184 del 1994).
Pertanto, l'articolo 1 e correlati articoli 2 e 3 della legge regionale della Campania n. 16/2011 esulano dalla competenza legislativa regionale, in quanto invadono l'ambito di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all'articolo 117, comma 2, lettera h), della Costituzione nonché violano i principi di uguaglianza, ragionevolezza, buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione.
Si ritiene pertanto di promuovere la questione di legittimità costituzionale della legge regionale dinanzi alla Corte Costituzionale.
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