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Disposizioni per il sostegno dei sistemi di qualità e tracciabilità dei prodotti agricoli e agroalimentari. Modifica alla legge regionale 10 gennaio 1995, n. 2 (Istituzione dell'agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura del Lazio - ARSIAL) e successive modifiche (28-3-2012)
Lazio
Legge n.1 del 28-3-2012
n.14 del 14-4-2012
Politiche infrastrutturali
7-6-2012 /
Impugnata
La legge in esame, che detta disposizioni per il sostegno dei sistemi di qualità e tracciabilità dei prodotti agricoli e agro- alimentari, presenta profili di illegittimità costituzionale in relazione a molteplici disposizioni che, istituendo un marchio regionale collettivo di qualità per garantire l’origine, la natura e la qualità e valorizzare i prodotti agricoli ed agroalimentari, presentano profili di incompatibilità con il diritto dell’Unione europea, in violazione quindi dell’articolo 117, comma 1 della Costituzione che richiede, nell’esercizio della potestà legislativa, il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
L’illegittimità costituzionale riguarda, in particolare:
- l’articolo 1, commi 1 e 2, laddove istituiscono un “marchio regionale collettivo di qualità” al fine di incentivare e valorizzare “la promozione della cultura economica tipica regionale”. Il riferimento alla valorizzazione della cultura “tipica regionale”, infatti, induce a ritenere che l’ambito di applicazione della legge sia circoscritto ai prodotti provenienti dalla medesima regione.
- l’articolo 2 (Marchio regionale collettivo di qualità) che, nel rimettere ad una deliberazione della Giunta regionale la determinazione dei prodotti agricoli ed agroalimentari da ammettere all’uso del marchio e la adozione dei relativi disciplinari di produzione, non esclude che il marchio regionale possa essere utilizzato per favorire i prodotti originari della regione Lazio, in violazione di quanto previsto dal diritto europeo (C-255/03).
- l’articolo 3, comma 1, lettere a), b), c) ed e), nella parte in cui rinvia ad un regolamento della Giunta per la definizione, oltre che della denominazione e delle caratteristiche ideografiche del marchio (lett. a)), anche «dei criteri e delle modalità di concessione in uso del marchio regionale, nonché i casi di sospensione, decadenza o revoca della concessione stessa» (lett. b)), delle modalità di uso del marchio (lett. c)) e delle procedure semplificate per l’ammissione all’uso del marchio stesso. La norma regionale, infatti, non delinea con sufficiente previsione le caratteristiche attestate dal marchio, e in particolare non esclude che il marchio possa essere rilasciato a prodotti fabbricati o costruiti nel Lazio, con conseguente lesione al principio di libera circolazione delle merci (v. artt. 34 a 36 del TFUE).
- l’articolo 9, secondo cui il marchio regionale non è concesso o è revocato per i prodotti «provenienti da aziende non in regola con i contratti collettivi nazionali del lavoro o con la normativa vigente in materia di sicurezza sul lavoro» (lettera a)), nonché provenienti da «aziende, singole o associate, non in regola con la certificazione antimafia». Laddove la normativa subordina la concessione del marchio al rispetto di normative nazionali, quali quella in materia di certificazione antimafia, ovvero al rispetto di contratti collettivi nazionali di lavoro, essa si traduce in un ostacolo all’accesso al marchio da parte delle imprese stabilite in altri Stati membri, andando così a ledere il principio comunitario della libera circolazione delle merci.
- gli articoli: 1, co. 2, lett. c), 6 e 10, nella parte in cui essi fanno riferimento alla concessione di contributi in relazione all’istituendo marchio regionale di qualità. Per quanto osservato, infatti, queste norme si pongono in contrasto con il diritto europeo, in quanto sono suscettibili di favorire prodotti di origine nazionale rispetto a prodotti originari di altri Stati Membri.
Come ha avuto modo di sottolineare in diverse occasioni la Corte di Giustizia, una legislazione nazionale che regoli o applichi misure di marcatura di origine, siano i marchi obbligatori o volontari, è contraria agli obiettivi del mercato interno, perché può rendere più difficile la vendita in uno Stato membro della merce prodotta in un altro Stato membro, ostacolando gli scambi intracomunitari e facendo così venir meno i benefici del mercato interno. Nella sentenza del 5 novembre 2002 (C-325/00), la Corte ha ritenuto che un sistema di marcatura, seppure facoltativo, nel momento in cui esso è imputabile ad autorità pubblica, ha effetti, almeno potenzialmente, restrittivi sulla libera circolazione delle merci tra Stati membri, in quanto l’uso del marchio “favorisce, o è atto a favorire, lo smercio dei prodotti in questione rispetto ai prodotti che non possono fregiarsene”.
Più volte le normative nazionali istitutive di marchi sono state censurate in sede comunitaria. Per quanto riguarda l’Italia, la Commissione europea ha, in passato, contestato l’esistenza di marchi di qualità regionali, avviando una procedura di infrazione relativamente al marchio di qualità della Regione Sicilia (istituito con la legge regionale n. 14/1966) e quello della regione Abruzzo (istituito con la legge regionale n. 31/1982); secondo la Commissione, tali marchi, attribuibili soltanto ai prodotti trasformati o preparati all’interno delle rispettive regioni e realizzati secondo un disciplinare di produzione vincolante, ricollegavano la qualità dei prodotti esplicitamente alla loro origine, abruzzese o siciliana, ingenerando nel consumatore l’impressione che i prodotti provenienti da quelle regioni fossero di qualità superiore rispetto agli altri ed inducendolo ad acquistare quei prodotti piuttosto che quelli provenienti da altri Stati membri, in tal modo ostacolando gli scambi intracomunitari. Convenuta l’Italia davanti alla Corte di Giustizia (causa C- 430/02), la causa è stata cancellata dal ruolo solo in seguito all’abrogazione da parte delle Regioni delle disposizioni contestate.
La questione è stata, inoltre, recentemente affrontata dalla Corte Costituzione nel giudizio di legittimità costituzionale proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri contro la legge della Regione Marche n. 7 del 29 aprile 2011 e risolta nel senso dell’illegittimità della norma con la quale la predetta Regione aveva istituito il marchio “MEA - Marche Eccellenza Artigiana” (sentenza n. 86 del 2 aprile 2012). La Corte ha osservato che la misura che introduce un marchio di origine e qualità per promuovere i prodotti regionali è idonea, almeno potenzialmente, a produrre effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci tra Stati membri, alla luce dell’ampia nozione comunitaria di “misura ad effetto equivalente” elaborata dalla Corte di Giustizia e della giurisprudenza della medesima Corte. Conseguentemente, essa ha riconosciuto la sussistenza della violazione dei vincoli derivati dall’ordinamento dell’Unione europea.
Le norme regionali, oltre a porsi in contrasto con l’articolo 117, comma 1, della Costituzione, per inosservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, si presentano inoltre in contrasto con l’articolo 120, comma 1, della Costituzione, in quanto la misura adottata dalla regione Lazio potrebbe ostacolare la libera circolazione delle merci anche all’interno del mercato nazionale, inducendo i consumatori a preferire i prodotti laziali rispetto a quelli provenienti da altre Regioni.
Alla luce di quanto esposto, le descritte norme della legge regionale devono essere impugnate dinanzi alla Corte costituzionale, ai sensi dell’articolo 127 , comma 1, della Costituzione.
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