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Disciplina dell’attività di acconciatore. (7-5-2012)
Valle Aosta
Legge n.14 del 7-5-2012
n.23 del 29-5-2012
Politiche socio sanitarie e culturali
/ Rinuncia impugnativa
In data 20 luglio 2012 il Consiglio dei Ministri ha deliberato l’impugnativa della legge della Regione Valle d'Aosta n. 14 del 7 maggio 2012 che disciplina l'attività di acconciatore.
E' stata sollevata questione di legittimità costituzionale in quanto alcune sue previsioni (art. 6, comma 1, lett. a) e lett. d) e art. 9, comma 2), ponevano limiti all’esercizio dell'attività economica privata degli acconciatori e contenevano alcune norme per l'abilitazione di figure professionali, eccedendo, così, dalla competenza legislativa in materia di "industria e commercio" attribuita alla Regione Valle d’Aosta dall'art. 3, lett. a), dello Statuto Speciale e contrastando con i principi statali in materia di professioni e con la disciplina nazionale di liberalizzazione (decreto legge n. 201/2011).
Successivamente la Regione Valle d'Aosta con legge n. 34 dell'11 dicembre 2012, pubblicata sul BUR n. 53 del 27/12/2012, concernente "Modificazioni a leggi regionali in materia di professioni e altre disposizioni", ha apportato nei confronti delle disposizioni oggetto di censura modifiche tali da superare i rilievi di legittimità costituzionale sollevati dal Governo. Infatti tale ultima legge regionale abroga le censurate lettere a) e d) del comma 1 dell'art. 6 della legge n. 14 del 2012, e modifica l'art. 9 della predetta legge n.14 del 2012 eliminando il contrasto con la legislazione statale che disciplina l'attività di acconciatore.
Pertanto, considerate venute meno le ragioni che hanno condotto all'impugnativa della legge regionale indicata in oggetto, si ritiene che sussistano i presupposti per rinunciare al ricorso.
20-7-2012 /
Impugnata
La legge della regione Valle d’Aosta n. 14 del 7 maggio 2012, che disciplina l’attività di acconciatore, presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale:
1) L’art. 6, comma 1, lettera a) e lettera d), riguardante i “Regolamenti comunali”, stabilisce che “I Comuni adottano regolamenti comunali che prevedono, in particolare: a) le superfici minime e i requisiti dimensionali dei locali impiegati nell’esercizio delle attività di acconciatore;(…) d) la disciplina degli orari, il calendario dei giorni di apertura e di chiusura dell’esercizio e le eventuali deroghe”. Tali disposizioni regionali, che limitano l’attività economica privata degli acconciatori, eccedono dalla competenza legislativa in materia di “industria e commercio” attribuita alla Regione dall’art. 3, lett. a), dello Statuto speciale (l. cost. n. 4 del 1948), e contrastano con la disciplina nazionale di liberalizzazione di cui al decreto legge n. 201/11, convertito nella legge n. 214/11, violando l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
Tali norme regionali si pongono in contrasto in particolare con l’art. 31, comma 2, di detto decreto legge, che stabilisce in materia di esercizi commerciali la libertà di stabilimento e libertà di prestazione di servizi, definita “principio generale dell'ordinamento nazionale”, e la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente. Sempre secondo detta norma statale le Regioni e gli enti locali devono adeguare i propri ordinamenti a tali prescrizioni entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214, recante disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici.
Le richiamate disposizioni regionali contrastano anche con l’art. 34 del medesimo decreto legge, che stabilisce, tra l’altro, che la disciplina delle attività economiche deve essere improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di interesse generale.
Ciò premesso, la previsione dell’art. 6, comma 1, lettera a), della legge in esame, secondo la quale l’apertura di un locale impiegato nell’esercizio dell’attività di acconciatore è condizionata ad una superficie minima, rappresenta una barriera all’accesso all’attività in questione senza che questo trovi giustificazioni in finalità di interesse generale. La normativa di settore infatti prevede che l’individuazione della superficie da riservare all’attività economica debba essere rimessa alla libera iniziativa di ciascun soggetto attivo sul mercato.
Anche la disposizione contenuta nel comma 1, lett. d), dello stesso art. 6, assoggettando a regolamentazione, attraverso i Comuni, gli orari degli esercizi commerciali di acconciatore, prevede l’adozione di una disciplina da parte dei Comuni che reintroduce discipline vincolistiche che la normativa nazionale citata in materia di liberalizzazioni ha inteso abrogare e superare. Deve pertanto rilevarsi che le restrizioni della libertà degli operatori economici in materia di orari e di giornate di apertura e di chiusura degli esercizi commerciali introducono di fatto una limitazione della possibilità di differenziare il servizio, adattandolo alle caratteristiche della domanda, e sono pertanto suscettibili di peggiorare le condizioni di offerta e la stessa libertà di scelta per i consumatori, senza che sussistano particolari interessi pubblici da tutelare.
Per i motivi esposti le disposizioni regionali sopra indicate, restringendo con i descritti vincoli la libertà d’impresa e l’esercizio dell’attività economica di acconciatore, oltre ad eccedere dalle menzionate competenze statutarie, violano i principi di tutela della concorrenza e del mercato riservati alla competenza legislativa statale dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
2) L’art. 9, comma 2, prevede che i soggetti in possesso della qualifica di barbiere che intendono ottenere l'abilitazione di acconciatore (prevista dall'articolo 3, comma 1, della l. 174/2005) sono tenuti, in alternativa: “a) a frequentare un apposito corso di riqualificazione professionale disciplinato ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera c); b) a sostenere l'esame previsto dall'articolo 5, comma 3, lettera c)”. Tale disposizione, omettendo di ricomprendere tra le alternative previste per il conseguimento della qualifica di acconciatore quella di poter richiedere l’abilitazione “in considerazione delle esperienze professionali maturate”, contrasta con quanto disposto al riguardo dalla legislazione statale in materia. L’art. 6, comma 5, della l. n. 174 del 2005, recante la disciplina statale dell’attività di acconciatore, prevede infatti che i soggetti in possesso della qualifica di barbiere che intendano ottenere l'abilitazione di acconciatore possono, tra le varie alternative previste,“ richiedere, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'abilitazione di cui all'articolo 3 in considerazione delle maturate esperienze professionali”.
La disposizione regionale pertanto, oltre ad eccedere dalle competenze legislative attribuite alla Regione dagli artt. 2 e 3 dello Statuto speciale (l. cost. n. 4 del 1948), eccede dalla competenza legislativa concorrente in materia di professioni riconosciuta alla Regione stessa in base alla clausola di equiparazione di cui all’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001. La legislazione regionale infatti deve rispettare il principio più volte ribadito dalla Corte Costituzionale (da ultimo con le sentenze n. 93 del 2008 e 300 del 2007) secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato. Ne consegue la violazione dei principi fondamentali in materia di professioni di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
La disposizione in esame, inoltre, ponendo anche sotto tale profilo un ulteriore limite all’esercizio dell’attività economica privata, viola altresì i principi di tutela della concorrenza e del mercato di cui all’art. 117, comma 2, lettera e), della Costituzione.
Per i motivi esposti le disposizioni regionali sopra indicate debbono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell'art. 127 Cost.
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