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Norme per orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli di origine regionale a chilometri zero. (13-7-2012)
Basilicata
Legge n.12 del 13-7-2012
n.21 del 16-7-2012
Politiche infrastrutturali
5-9-2012 /
Impugnata
La legge regionale, concernente norme per orientare e sostenere il consumo di prodotti agricoli anche di origine regionale a chilometri zero, presenta aspetti di illegittimità costituzionale relativamente alle seguenti disposizioni:
1) l’articolo 2 (“Utilizzo dei prodotti agricoli di origine regionale nei servizi di ristorazione collettiva affidati da enti pubblici”), il quale, al comma 1, prevede che “Negli appalti pubblici di servizi o di forniture di prodotti alimentari ed agroalimentari destinati alla ristorazione collettiva costituisce titolo preferenziale per l’aggiudicazione, l’utilizzo di prodotti agricoli di origine regionale”;
2) l’articolo 3, comma 1, secondo cui i Comuni riservano agli imprenditori agricoli esercenti la “vendita diretta di prodotti agricoli lucani almeno il 20% del totale dei posteggi nei mercati al dettaglio in aree pubbliche”;
3) l’articolo 4, comma 2, secondo cui “Alle imprese esercenti attività di ristorazione, o di vendita al pubblico ed operanti nel territorio regionale che, nell'ambito degli acquisti di prodotti agricoli effettuati nel corso dell'anno, si approvvigionino per almeno il 30 per cento, in termini di valore, di prodotti agricoli di origine regionale, a chilometri zero, viene assegnato, al fine di pubblicizzarne l'attività, un apposito contrassegno con lo stemma della Regione le cui caratteristiche sono determinate con apposita delibera della giunta regionale da collocare all'esterno dell'esercizio e utilizzabile nell'attività promozionale”;
4) l’articolo 4, comma 4, a norma del quale le imprese cui viene assegnato contrassegno previsto dal comma 2 “sono inserite in un apposito circuito regionale veicolato nell'ambito delle attività promozionali della Regione Basilicata. La Giunta Regionale entro centottanta giorni dalla pubblicazione della presente legge produrrà il regolamento di utilizzo del marchio e il programma di valorizzazione del circuito, comprendente anche eventuali sgravi fiscali e specifici contributi o premialità nell’ambito dei bandi di finanziamento del settore”.
Le descritte norme regionali, volte a favorire la commercializzazione dei prodotti regionali (e non invece tutti i prodotti a “chilometri zero”), sono suscettibili di ostacolare gli scambi intracomunitari, in contrasto con le disposizioni del TFUE (articoli da 34 a 36), e di falsare la concorrenza, risultando discriminatorie nel privilegiare alcuni prodotti solo in base alla loro provenienza territoriale. Tali norme, infatti, inducono le imprese a privilegiare l’acquisto di prodotti locali, a discapito degli altri, al fine di fregiarsi del previsto contrassegno. Di conseguenza, le norme citate violano l’articolo 117, comma 1, della Costituzione.
Per quanto concerne l’art. 2, co. 1, giova ricordare che secondo il libro verde sulla determinazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici del 27 gennaio 2011 la previsione, da parte delle amministrazioni appaltanti, del necessario acquisto di prodotti in loco può essere giustificata solo in casi del tutto eccezionali “in cui esigenze legittime e obiettive che non sono associate a considerazioni di natura puramente economica possono essere soddisfatte soltanto dai prodotti di una certa regione”. La norma censurata, che prevede in via generalizzata l’obbligo, per le stazioni appaltanti, di privilegiare le imprese che utilizzano prodotti regionali (fattore che “costituisce titolo preferenziale per l’aggiudicazione”), contrasta, quindi, con gli orientamenti formulati dal legislatore europeo, ed è potenzialmente nocivo sia per la concorrenza in ambito europeo, sia per la concorrenza in ambito nazionale, in violazione dell'art. 117, co. 1, Cost.
Con riferimento alla previsione di cui all'art. 3, co. 1, sono riscontrabili due diversi profili di illegittimità costituzionale. Da un lato, la disposizione richiamata, prevedendo una riserva di posti in favore dei "prodotti agricoli lucani", dimostra l'intenzione del legislatore regionale di favorire i produttori regionali e quindi viola il principio di non discriminazione ribadito più volte dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Dall'altro lato, la norma non è conforme alle previsioni della Direttiva Servizi (2006/123), secondo cui qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche, è opportuno prevedere una procedura di selezione tra diversi candidati potenziali, al fine di sviluppare, tramite la libera concorrenza, la qualità e le condizioni di offerta di servizi a disposizione degli utenti. Tale procedura dovrebbe offrire garanzie di trasparenza e di imparzialità e l'autorizzazione così rilasciata non dovrebbe avere una durata eccessiva, non dovrebbe poter essere rinnovata automaticamente o conferire vantaggi al prestatore uscente.
L'articolo 12 della direttiva, ripreso dall'articolo 16 del decreto legislativo attuativo n. 59/2010, ha quindi previsto che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicità dell'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. In tali casi l'autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. La norma regionale in esame, prevedendo una riserva di concessioni di posteggio per l'esercizio del commercio su area pubblica per i produttori agricoli lucani, senza richiamare i principi della direttiva servizi e, in particolare, quello della necessità di una procedura ad evidenza pubblica, non rispetta i principi europei finalizzati a garantire imparzialità e trasparenza, nonché condizioni di concorrenza aperta.
Risulta pertanto evidente il contrasto con i principi comunitari contenuti nelle citate norme della direttiva 2006/123/CE nonché del d.lgs. n. 59/2010, in violazione quindi dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione, per mancato rispetto dei vincoli comunitari, nonché della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza di cui all'art. 117 secondo comma lettera e) della Costituzione.
Per quanto riguarda le disposizioni di cui all'art. 4, è inoltre da sottolineare che con la recentissima sentenza n. 191/2012 la Corte Costituzionale, nel giudicare su analoghe disposizioni contenute nella Legge della Regione Lazio n. 14/2011 ha affermato l’illegittimità costituzionale di tali norme con riferimento al precetto dell’art. 117, primo comma, Cost. (sui vincoli, all’esercizio della potestà legislativa di Stato e Regioni, derivanti dall’ordinamento comunitario) ricordando che “le disposizioni degli articoli da 34 a 36 del TFUE vietano, infatti, agli Stati membri di porre in essere restrizioni quantitative, all’importazione ed alla esportazione, “e qualsiasi misura di effetto equivalente”.
Nella giurisprudenza della Corte di Giustizia (che conforma quelle disposizioni in termini di diritto vivente, ed alla quale occorre far riferimento ai fini della loro incidenza come norme interposte nello scrutinio di costituzionalità), la “misura di effetto equivalente” (alle vietate restrizioni quantitative) è costantemente intesa in senso ampio e fatta coincidere con “ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari”, sono pertanto riconducibili a questa nozione le norme regionali che «mirando a promuovere i prodotti realizzati in ambito regionale, garantendone siffatta origine, producono, quantomeno “indirettamente” o “in potenza”, gli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci che, anche al legislatore regionale, è inibito di perseguire per vincolo dell’ordinamento comunitario».
Per questi motivi le norme regionali devono essere impugnate ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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