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Modificazioni della legge provinciale sulle cave e della legge provinciale sulla valutazione d'impatto ambientale (20-7-2012)
Trento
Legge n.14 del 20-7-2012
n.30 del 24-7-2012
Politiche infrastrutturali
14-9-2012 /
Impugnata
La legge provinciale, che modifica le leggi provinciale sulle cave e sulla valutazione d'impatto ambientale, è censurabile relativamente alla disposizione contenuta nell’articolo 4, comma 2 che sostituisce la lettera a) dell’art. 7, comma 5 della l.p. 7/2006 che reca la disciplina provinciale in materia di cave, nonché riguardo la collegata norma di cui all’articolo 13, comma 2 .
In via preliminare, si evidenzia che il testo previgente dell' art. 7, comma 5 della l.p. 7/2006 , in tema di autorizzazioni, disponeva che i comuni potessero prorogare le autorizzazioni , su motivata richiesta dell'interessato, alle condizioni stabilite nell'atto originale, solo per il periodo necessario a: “ a) completare i lavori di coltivazione autorizzati, compresi quelli di ripristino; in tal caso la proroga può essere disposta per un periodo non superiore a un anno; b) adottare il provvedimento di rinnovo dell'autorizzazione.”
La nuova previsione provinciale, modificando la lettera a) del menzionato articolo 7, comma 5 della l.p. 7/2006, ha disposto la proroga delle autorizzazioni per il periodo necessario "a) completare i lavori di coltivazione autorizzati, compresi quelli di ripristino; in tal caso la proroga può essere disposta per un massimo di due volte per periodi non superiori a tre anni;".
Inoltre, l’art. 13, comma 2, della legge in esame stabilisce che “2. Dopo il comma 7-ter dell'articolo 37 della legge provinciale sulle cave è inserito il seguente: "7 quater. L'articolo 7, comma 5, si applica anche alle autorizzazioni rilasciate antecedentemente alla data di entrata in vigore di questa legge.", estendendo in tal modo la possibilità di fruire di tali possibilità di proroga a tutte le autorizzazioni rilasciate in precedenza.
Tanto premesso, appare evidente che, a seguito delle modifiche apportate, le citate disposizioni consentono che tutte le autorizzazioni per le quali non vi sia stato il completamento dei lavori di coltivazione possano essere rinnovate senza alcuna condizione, verifica o procedura di natura ambientale, in quanto viene previsto che i titolari presentino una mera istanza al competente ufficio comunale, il quale può disporre la proroga delle autorizzazioni (emettendo di fatto una nuova autorizzazione alla prosecuzione dell’attività estrattiva).
Tale possibilità contrasta con quanto previsto dall’articolo 26, comma 6, del d.lgs. n. 152/2006 secondo cui “i progetti sottoposti alla fase di valutazione devono essere realizzati entro cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale. Tenuto conto delle caratteristiche del progetto il provvedimento può stabilire un periodo più lungo. Trascorso detto periodo, salvo proroga concessa, su istanza del proponente, dall'autorità che ha emanato il provvedimento, la procedura di valutazione dell'impatto ambientale deve essere reiterata”.
Pertanto, se la proroga potrebbe essere ammissibile per tutti i progetti che siano già stati sottoposti alla procedura di VIA o alla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA entro gli ultimi cinque anni, cioè entro il termine di decadenza stabilito dal citato art. 26, comma 6 del d. lgs.3 aprile 2006, n. 152, risulta invece sicuramente illegittima per quei progetti che in precedenza non siano mai stati sottoposti alle citate procedure di VIA o di verifica di assoggettabilità a VIA (in quanto precedenti all'entrata in vigore della normativa comunitaria) poichè, sottraendo tali progetti a dette procedure, si determina una totale violazione delle disposizioni recate dagli articoli da 20 a 28 e dagli Allegati alla Parte Seconda - III, lettera s) e IV, punto 8, lettera i), dello stesso decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Al riguardo occorre considerare che la durata di ogni singola autorizzazione costituisce una delle condizioni fondamentali del provvedimento autorizzativo, alla scadenza del quale è diritto-dovere della amministrazione titolare del potere concessorio verificare sia l’eventuale mutamento delle condizioni territoriali ed ambientali sia gli aggiornamenti intervenuti sul quadro normativo di riferimento prima di potere assumere una qualsiasi decisione liberatoria, sia pure in termini prescrittivi, o, in alternativa, interdittiva.
E’ inoltre indubbio che è proprio il limite temporale di una autorizzazione a costituire il nucleo e la stessa natura fondamentale della stessa, in quanto sotto il profilo giuridico amministrativo è il punto cronologico oltre il quale l’intervento autorizzato cessa di esistere.
In altri termini modificare, ovvero prorogare il termine di una autorizzazione, o comunque rinnovare la stessa autorizzazione definendone un nuovo termine, costituisce una evidente modifica della “sostanza” della autorizzazione medesima, che, per la direttiva VIA, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, deve essere considerata come una vera e propria nuova autorizzazione ed essere pertanto sottoposta conseguentemente alle procedure in materia di VIA stabilite dalla direttiva medesima: (V. Corte di Giustizia Europea, (Quinta Sezione), causa C-201/02, sentenza 7 gennaio 2004 (c.d. Delena-Wells), punti 44-47.
Alla luce di ciò è dunque evidente come la procedura di proroga prevista dalle norme provinciali in parola costituisca un’evidente modifica delle previgenti autorizzazioni e quindi, in quanto tale, debba essere sottoposta alle procedure in materia di VIA (a seconda del caso VIA propriamente detta o, rispettivamente, verifica di assoggettabilità a VIA) stabilite dalla direttiva VIA, Allegato I, punto 22, ed Allegato II, punto 13, primo trattino.
In altri termini, quella verifica ovvero valutazione dell'impatto ambientale non effettuata in sede di prima autorizzazione deve obbligatoriamente precedere il rinnovo della prima autorizzazione successiva all'entrata in vigore della normativa di VIA.
In tal senso si è già espressa la Corte Costituzionale con le sentenze n. 1/2010 e n. 67/2010 in riferimento ad analoghe norme della Regione Campania.
Pertanto, seppure la Provincia, ai sensi dell'art. 8, comma 1, punto 14 del D.P.R. 670/1972, recante lo Statuto speciale di autonomia per il Trentino Alto Adige, gode di potestà legislativa primaria in materia di miniere, comprese le acque minerali e termali, cave e torbiere, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, (cfr. sent. N. 378/2007), quando vi sono norme che afferiscono alla tutela ambientale occorre tenere conto del fatto che la potestà di disciplinare l'ambiente nella sua interezza è stata affidata in via esclusiva allo Stato, dall'art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come è noto, parla di "ambiente" (ponendovi accanto la parola ecosistema) in termini generali e onnicomprensivi. Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come una entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti come parti del tutto. Ed è da notare che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente, inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sent. N. 151/1986) ed assoluto (sent. N. 210/1987) e deve garantire, come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore. Inoltre, la disciplina unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regione o dalle Province autonome in materie di competenza propria ed in riferimento ad altri interessi. Ciò comporta che la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l'ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna sua parte, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza (cfr. sent. N. 380/2007).
Quindi , nella materia oggetto di disciplina della legge in esame il legislatore provinciale, nell'esercizio della propria competenza legislativa piena in materia miniere , cave e torbiere è però sottoposto al rispetto delle disposizioni statali che dettano standars minimi ed uniformi di tutela ambientale , ex art. 117, comma 2, lettera s) Cost.
Le citate norme provinciali risultano dunque censurabili, perché in violazione dei vincoli posti al legislatore provinciale dal suindicato art. 8, comma 1, dello Statuto, nonché in quanto invasive della competenza esclusiva statale di cui all'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione
Per questi motivi le evidenziate disposizioni provinciali devono essere impugnate di fronte alla Corte Costituzionale ai sensi dell'art. 127 della Costituzione.
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