La legge della Regione Veneto 10 Agosto 2012, n. 31 recante “Norme regionali in materia di benessere dei giovani cani”, che disciplina le attività di movimento di cani giovani e gli insegnamenti comportamentali da impartire ad essi al fine di favorirne il benessere, presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale.
1. L’art. 2, comma 2 e comma 3, lett. a) e b), prevedono che le attività di movimento dei giovani cani, ivi compresi quelli da destinare all’esercizio dell’attività venatoria, possono svolgersi solo nei confronti di due soggetti contemporaneamente (comma 2), e “sono consentite con insegnamenti comportamentali secondo lo stile di razza, dall’alba al tramonto su tutto il territorio regionale, ad esclusione: a) delle zone di protezione della fauna previste dalla legge 11 dicembre 1991, n. 394 “Legge quadro sulle aree protette” e della normativa regionale attuativa; b) delle zone di protezione della fauna previste dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il periodo venatorio”e dalla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” e dalla legge regionale 5 gennaio 2007, n. 1 “Piano faunistico-venatorio regionale ( 2007/2012)” e successive modificazioni, ivi comprese le aziende faunistiche venatorie” (comma 3). L’art. 3 prevede inoltre che ulteriori limitazioni ai luoghi, agli orari e al periodo di esercizio delle attività di movimento dei giovani cani possono essere disposti dalla Province, in relazione alla specificità dei rispettivi territori o per motivi connessi alla tutela della fauna selvatica, allo stato di emergenza sanitaria e a calamità naturali.
Tali disposizioni, che consentono che due cani di qualsiasi razza, ivi compresi quelli da addestrare all’attività venatoria, possano contemporaneamente vagare liberi, privi di guinzaglio, ed essere addestrati “secondo lo stile di razza” su tutto il territorio regionale limitatamente alle zone nelle quali non è vietata la caccia, senza tuttavia porre alcun limite temporale a tale libero movimento e addestramento, eccedono dalle competenze regionali e violano la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
Le disposizioni regionali in esame, infatti, consentono il libero movimento e l’addestramento dei cani, ivi compresi quelli da addestrare all’attività venatoria, anche nel delicato periodo di nidificazione e dipendenza della fauna selvatica, con la possibilità che siano arrecati danni o che siano effettuate catture accidentali di fauna nidificante o ancora dipendente dai genitori e che si possano creare altre situazioni di disturbo. Infatti i cani, e in particolare i cani da addestrare all’attività venatoria, anche indipendentemente dal loro addestramento (peraltro previsto dalle disposizioni in esame), sono per natura portati a “caricare” ed in alcuni casi a prelevare la fauna selvatica durante le fasi dell’allenamento o movimento.
Così disponendo pertanto le citate norme regionali contrastano con
all’art. 10, comma 8, lettera e), della legge n. 157 del 1992, che, ai fini della regolamentazione del prelievo venatorio, stabilisce che l’addestramento dei cani può essere consentito senza limiti di tempo solo nelle zone di addestramento all’uopo istituite dalle Amministrazioni. Tale norma statale infatti prevede che le regioni predispongono i piani faunistico-venatori, finalizzati a garantire la conservazione delle specie mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio, e dispone che gli stessi indichino “le zone e i periodi per l’addestramento, l’allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale…..”, proprio per evitare che detta fauna selvatica sia disturbata durante i periodi nei quali l’esercizio venatorio è vietato.
La riconducibilità dell’attività di addestramento dei cani all’attività venatoria è stata affermata dalla Corte Costituzionale con la sentenza con sentenza n. 350 del 1991, secondo la quale “nessun dubbio può sussistere in ordine al fatto che
, in quanto attività strumentale all’esercizio venatorio, debba ricondursi alla materia della ...”.
Al riguardo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ) - organismo che , ai sensi dell’articolo 7 della legge quadro nazionale sulla caccia n. 157/1992 ha il compito di censire il patrimonio ambientale costituito dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato, l'evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali, nonché di controllare e valutare gli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province autonome, formulando i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome - ha avuto modo di esprimersi, affermando che consentire l’addestramento e l’allenamento dei cani durante il periodo riproduttivo degli uccelli e dei mammiferi selvatici determina un evidente ed indesiderabile fattore di disturbo, in grado di comportare in maniera diretta od indiretta una mortalità aggiuntiva per le popolazioni faunistiche interessate, precisando inoltre che questa attività dovrebbe essere consentita solo nel periodo che precede l’apertura della caccia in forma vagante, in ogni caso mai prima dei primi di settembre ed escludendo quindi i mesi che vanno da febbraio ad agosto.
Nel medesimo parere, l’ISPRA dichiara di aver espresso tali indicazioni nei propri pareri indirizzati alle regioni in merito alle proposte di calendario venatorio.
Pertanto le disposizioni in esame che consentono il movimento e l’addestramento dei cani, ivi compresi i cani da addestrare all’attività venatoria, sull’intero territorio regionale ove non è vietata la caccia, senza limiti di tempo, anche durante i periodi in cui l’esercizio venatorio è vietato, senza circoscrivere detta attività alle zone di addestramento all’uopo istituite dalle Amministrazioni ai sensi del citato art. 10, comma 8, lettera e), della legge n. 157 del 1992, e senza rispettare il calendario venatorio, si pone in netto contrasto con la citata disposizione statale, che, dettando disposizioni per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, stabilisce standard minimi e uniformi di tutela della fauna in tutto il territorio nazionale. Si evidenzia pertanto la violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, di cui all’articolo 117, secondo comma lettera s) della Costituzione.
2) L’articolo 2, comma 2, è inoltre censurabile sotto un altro aspetto. Tale disposizione infatti, precisando che “le attività di movimento possono riguardare solo giovani cani iscritti alla anagrafe canina ed identificati ai sensi dell’articolo 4 della legge regionale 28 dicembre 1993, n. 60”, fa riferimento ad un tipo di identificazione, effettuata (ai sensi del richiamato art. 4) mediante tatuaggio, che contrasta sia con la normativa comunitaria, in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., sia con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute, riguardanti le metodologie per l’identificazione dei cani, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
L’art. 4, comma 1, del Regolamento (CE) n. 998/2003 (Regolamento del parlamento europeo e del consiglio del 26 maggio 2003, relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia e che modifica la direttiva 92/65/CEE del Consiglio, pubblicato nella G.U.U.E. 13 giugno 2003, n. L 146, e entrato in vigore il 3 luglio 2003), prevede infatti che, dopo un periodo transitorio (di otto anni) nel corso del quale sono consentiti quali mezzi di identificazione dei cani sia il tatuaggio sia il sistema elettronico di identificazione (trasponditore), a decorrere dal 3 luglio 2012 i cani si considerano identificati solo se dotati
del sistema elettronico di identificazione (trasponditore).
Per espresso disposto della normativa comunitaria, pertanto, dopo il periodo transitorio l’unico mezzo di identificazione ammissibile è costituito dal sistema elettronico di identificazione, cioè dal microchip.
La disposizione regionale in esame contrasta inoltre con l’Ordinanza ministeriale del 6 agosto 2008 (“Ordinanza contingibile ed urgente concernente misure per l'identificazione e la registrazione della popolazione canina”) - la cui efficacia è stata da ultimo prorogata (con ordinanza ministeriale del 19 luglio 2012) fino al febbraio 2013 – che, dopo aver stabilito, all’art. 1, comma 1, l’obbligo di provvedere all'identificazione e alla registrazione dei cani, in conformità alle disposizioni adottate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano, dispone, all’art. 1, comma 2, che il proprietario o il detentore di un cane deve provvedere a far identificare e registrare l'animale, nel secondo mese di vita, mediante l'applicazione del microchip […]”.
La normativa statale citata prevede pertanto che l’identificazione e la registrazione dei cani debba avvenire mediante applicazione di apposito microchip, ribadendo, peraltro, quanto già stabilito dall’ Accordo 6 febbraio 2012 stipulato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy), che sancisce, all’articolo 4, comma 1, l’impegno ad introdurre misure dirette a ridurre il fenomeno del randagismo, in particolare mediante “l’introduzione del microchips, come unico sistema ufficiale di identificazione dei cani, a decorrere dal 1 gennaio 2005”.
La disposizione regionale in esame, pertanto, contrasta sia con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in quanto difforme dal citato regolamento comunitario, sia con l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto difforme dai principi fondamentali di cui alla legislazione statale richiamata, in materia di tutela della salute. Come precisato dall’ordinanza citata, infatti, le disposizioni ivi dettate si giustificano in considerazione dei “rilevanti problemi di salute pubblica derivanti dal predetto randagismo dei cani, quali il possibile diffondersi di malattie infettive, l'incremento degli incidenti stradali, i casi di aggressione dei cani rinselvatichiti e l'incremento dello stesso randagismo”. Ciò determina, infatti, la necessità di “far effettuare in maniera contestuale l'identificazione e la registrazione di tutta la popolazione canina presente sul territorio nazionale, utilizzando strumenti e modalita' uniformi per tutte le regioni e province autonome, allo scopo di anagrafare il maggior numero possibile degli animali in questione e consentirne un controllo ed una gestione adeguati”.
Per i motivi esposti le disposizioni regionali indicate debbono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.