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Disposizioni urgenti in materia di enti locali e settori diversi. (17-12-2012)
Sardegna
Legge n.25 del 17-12-2012
n.55 del 20-12-2012
Politiche ordinamentali e statuti
8-2-2013 /
Impugnata
Con la legge regionale in esame la Regione Sardegna intende intervenire in una serie di settori nei quali è stata riscontrata la necessità di adottare disposizioni urgenti.
In particolare sono censurabili le seguenti disposizioni:
1) l'articolo 6, comma 1, presenta profili di contrasto con l’ordinamento comunitario di cui all’articolo 117, comma 1 Cost., eccedendo dalle competenze statutarie di cui agli art. 3 e 4 dello statuto nella parte in cui esclude il ricorso a procedure competitive di evidenza pubblica ("Gli enti locali affidano lo svolgimento dei servizi di interesse generale [...] mediante procedure di evidenza pubblica o, in alternativa”) per l'affidamento di servizi di interesse generale non solo a società "a totale partecipazione pubblica" ma anche a "società a partecipazione mista pubblica privata", ponendosi in contrasto con l'ordinamento comunitario che prescrive nel caso de quo una selezione con gara “a doppio oggetto" del socio privato.
La sentenza n. 199/2012 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 del D.L. n. 138 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 148 del 2011, recante disposizioni per "L'adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell'Unione europea", determina l'applicazione immediata nell'ordinamento nazionale, della normativa comunitaria sulle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l'affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica (indubbiamente ricompresi nei "Servizi di interesse generale" di cui all'art. 6 della legge in esame).
La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha rilevato che l’affidamento diretto di un servizio (dunque senza gara di evidenza pubblica volta all'attuazione dei principi di libera concorrenza) può avvenire in favore delle società in house, che sono solo quelle: a) il cui capitale è interamente pubblico; b) sulle quali l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale pubblico esercitino un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; c) che realizzano la parte più importante della loro attività con l'ente o con gli enti pubblici che le controllano.
Il requisito della "totale partecipazione pubblica", definito dalla giurisprudenza comunitaria più recente, si giustifica con la circostanza che non può essere considerato un organismo appartenente all'organizzazione della pubblica amministrazione una società al cui capitale partecipino soci privati. L'affidamento diretto di un pubblico servizio a una società in house può, invero, ammettersi solo se non vi sia il coinvolgimento degli operatori economici (ancorché in modesta percentuale) nell'esercizio del servizio, posto che, diversamente, dovrebbero trovare applicazione le regole della concorrenza previste dal diritto comunitario e da quello interno da esso derivato.
Come ha stabilito la stessa Corte di giustizia con la sentenza 11 gennaio 2005, in C 26/03, Stadt Halle, la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipa anche l'amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi: l’influenza, per quanto penetrante, non corrisponderebbe mai a quella esistente nell'ambito dei rapporti interorganici della stessa amministrazione.
Anche alla luce dell'interpretazione meno rigorosa dei richiamati principi comunitari adottata dal Consiglio di Stato deve ritenersi pertanto che perché l'affidamento diretto possa dirsi legittimo in chiave comunitaria devono sussistere i seguenti requisiti: a) che esista un'apposita norma speciale che consenta il ricorso alla società mista; b) che con la gara indetta per la scelta del socio privato sia realizzato anche l’affidamento dell'attività operativa della società al privato; c) che siano adeguatamente delimitate le finalità della società mista cui affidare il servizio senza gara; d) che sia motivato in modo approfondito il perché dì questa scelta organizzativa; e) che sia stabilito un limite temporale ragionevole alla durata del rapporto sociale al quale si accompagni la previsione espressa della “scadenza del periodo di affidamento, evitando così che il socio divenga socio stabile della società mista, possibilmente prevedendo che sia dagli atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le modalità per l'uscita del socio stesso (con liquidazione della sua posizione), per il caso in cui all'esito della successiva gara egli risulti non più aggiudicatario. Pertanto, l'affidamento diretto costituisce sempre un’eccezione di stretta interpretazione al sistema delle gare.
Ne consegue che l'articolo 6, comma 1, della legge regionale in esame presenta profili di illegittimità comunitaria nella parte in cui esclude il ricorso a procedure competitive di evidenza pubblica ("Gli enti locali affidano lo svolgimento dei servizi di interesse generale [...] mediante procedure di evidenza pubblica o, in alternativa”) per l'affidamento di servizi di interesse generale non solo a società "a totale partecipazione pubblica" (nozione quest'ultima da interpretare secondo la definizione di società in house vigente nel diritto dell'Unione europea) ma anche a "società a partecipazione mista pubblica privata" in contrasto con l'ordinamento comunitario che prescrive nel caso de quo una selezione con gara “a doppio oggetto" del socio privato.
2) L’articolo 8, comma 2, della legge in esame inserisce il comma 7-bis all’art. 6 della l. r. n. 3 del 2009.
Quest'ultimo disciplina la possibile localizzazione degli impianti eolici “on shore” stabilendo che: "La realizzazione di nuovi impianti eolici o di ampliamenti di impianti esistenti è consentita, oltre la fascia dei 300 metri, anche negli ambiti di paesaggio costieri, purchè non ricadenti in beni paesaggistici e ricompresi:
- all'interno degli agglomerati industriali .........e delle aree industriali e ZIR .... nonchè all'interno delle aree circoscritte in una fascia di pertinenza pari a 4 km del perimetro degli stessi;
- nelle aree relative a tutti i piani per gli insediamenti produttivi (PIP) del territorio regionale;
- nelle aree PIP.....e la relativa fascia di pertinenza.....;
- all’interno delle aziende agricole, su strutture appositamente realizzate, nelle aree immediatamente prospicienti le strutture al servizio delle attività produttive e aventi potenza fino a 200 KW.......”.
A tal proposito, si evidenzia che in base all’art. 12 del d. lgs. n. 387 del 2003 nonché al paragrafo 17 dell’allegato III delle “Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” di cui al D.M. 10 settembre 2010, e come confermato dalla recente giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 224 dell’11 ottobre 2012), le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti, ma non possono provvedere autonomamente alla individuazione dei criteri per il corretto inserimento degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, funzione quest’ultima che spetta unicamente alle Linee guida nazionali.
La disposizione, così costruita, induce a ritenere che la Regione Sardegna, invece di indicare i siti "non idonei" alla istallazione di impianti eolici, così come viene prescritto dal comma 10, dell'articolo 12, del Decreto legislativo n. 387/2003, e poi disciplinato al paragrafo 17 e dall'Allegato 3 delle citate Linee guida nazionali, avrebbe indicato, su tutto il territorio regionale (anche quello costiero oltre la fascia dei 300 metri), i siti "idonei" alla installazione degli impianti.
La disposizione in esame pertanto contiene previsioni contrarie ai principi stabiliti dalle leggi dello Stato ed eccede dalla competenza statutaria concorrente della regione prevista dall’articolo 4 , lett e) dello Statuto di autonomia.
Quest’ ultima disposizione alla lettera e), attribuisce alla Regione Sardegna la potestà legislativa concorrente in materia di “produzione e distribuzione dell’energia elettrica”, prevedendo che la Regione possa emanare norme legislative nei limiti del precedente articolo 3 ( “in armonia con la Costituzione, con i principi fissati dall’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali nonché delle norme fondamentali di riforma economico-sociale”) e nei limiti dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato.
Pertanto, la previsione regionale è illegittima poiché contraria, a quanto previsto dall'articolo 12, comma 10, del citato Decreto legislativo a 387/2003, il quale stabilisce che le Regioni, in attuazione delle linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili (DM 10 settembre 2010), possano procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti, ma non possono provvedere autonomamente alla individuazione dei criteri per il corretto inserimento degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, funzione quest’ultima che spetta unicamente alle Linee guida nazionali. In effetti sono proprio le Linee Guida a indicare i criteri per l'individuazione di aree non idonee (all. III, paragrafo 17). Infatti il DM 10 settembre 2010 chiarisce anche la ratio sottesa a tale individuazione stabilendo che l'individuazione delle aree e dei siti non idonei mira non già a rallentare la realizzazione degli impianti, bensì ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti.
Al riguardo, si segnala che la questione concernente l'indicazione da parte della Regione Sardegna delle aree non destinabili all'installazione di impianti eolici, peraltro, è stata già oggetto di pronuncia della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 18 della L. R. n. 2/2007 (energia rinnovabile - eolico) di contenuto sovrapponibile a quello oggi in commento (sent Corte Cost. 11 ottobre 2012 n. 224).
Con tale sentenza la Corte ha affermato l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 contiene un principio fondamentale. “Poiché la disciplina relativa alla localizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili ricade negli ambiti di diverse competenze legislative, nazionali e regionali, questa Corte ha ulteriormente precisato che «l’armonizzazione profilata nell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, tra competenze statali, regionali e provinciali costituisce una modalità di equilibrio rispettosa delle competenze di tutti gli enti coinvolti nella programmazione e nella realizzazione delle fonti energetiche rinnovabili». Ciò sul presupposto che, pur rivolgendosi il d.lgs. n. 387, nella sua interezza, soltanto alle Regioni ordinarie – in base alla “clausola di salvezza” contenuta nell’art. 19 del medesimo decreto – la competenza legislativa delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome «deve tuttavia coesistere con la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente e con quella concorrente in materia di energia» (sentenza n. 275 del 2011).” ….”La norma statale infatti stabilisce che «le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla istallazione di specifiche tipologie di impianti». La competenza primaria attribuita ad una Regione speciale o ad una Provincia autonoma in materia di tutela del paesaggio rende inapplicabili alle suddette autonomie speciali le linee guida nella loro interezza, ma non esonera le medesime dall’osservanza delle disposizioni a carattere generale contenute nelle linee guida. In ogni caso, non sono ammissibili nei confronti delle autonomie speciali «vincoli puntuali e concreti» (sentenza n. 275 del 2011). Che le linee guida siano, con i limiti ora precisati, applicabili anche alle Regioni a statuto speciale lo ha stabilito la sentenza n. 168 del 2010, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione di legge della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, perché emanata prima dell’adozione delle stesse. La ratio ispiratrice del criterio residuale di indicazione delle aree non destinabili alla installazione di impianti eolici deve essere individuata nel principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, derivante dalla normativa europea richiamata al paragrafo 4.1. Quest’ultimo trova attuazione nella generale utilizzabilità di tutti i terreni per l’inserimento di tali impianti, con le eccezioni, stabilite dalle Regioni, ispirate alla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti nell’ambito delle materie di competenza delle Regioni stesse.
Ove la scelta debba essere operata da Regioni speciali, che possiedono una competenza legislativa primaria in alcune materie, nell’ambito delle quali si possono ipotizzare particolari limitazioni alla diffusione dei suddetti impianti, l’ampiezza e la portata delle esclusioni deve essere valutata non alla stregua dei criteri generali validi per tutte le Regioni, ma in considerazione dell’esigenza di dare idonea tutela agli interessi sottesi alla competenza legislativa statutariamente attribuita.
Nel caso oggetto del presente giudizio, bene avrebbe potuto la Regione Sardegna individuare le aree non idonee all’inserimento di impianti eolici con riferimento specifico alla propria competenza primaria in materia paesistica, differenziandosi così dalle Regioni cui tale competenza non è attribuita. Non appartiene invece alla competenza legislativa della stessa Regione la modifica, anzi il rovesciamento, del principio generale contenuto nell’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003. Con tale inversione del criterio di scelta, la Regione Sardegna ha superato i limiti della tutela del paesaggio, per approdare ad una rilevante incisione di un principio fondamentale in materia di “energia”, afferente alla localizzazione degli impianti, la cui formulazione, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., spetta in via esclusiva allo Stato, come ripetutamente affermato dalla sopra citata giurisprudenza di questa Corte. “.
3) L’articolo 13 della legge in esame dispone, al primo periodo, che “sono recepite le disposizioni di cui agli articoli da 9 a 16 del decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 106 (Riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero della salute, a norma dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183)”.
Occorre preliminarmente evidenziare come tale norma regionale, che intende disporre il recepimento degli articoli da 9 a 16 del richiamato d.lgs. n. 106/2012 (i quali disciplinano il riordino degli Istituti zooprofilattici sperimentali), appaia, per la sua genericità, del tutto inadeguata e priva di effettivo valore giuridico.
Infatti, l’articolo 10 del citato decreto legislativo impone alle regioni di adottare, con disciplina specifica e di dettaglio, le modalità gestionali, organizzative e di funzionamento degli Istituti, nonché l’esercizio delle funzioni di sorveglianza e i criteri di valutazione dei costi, dei rendimenti e di verifica dell’utilizzazione delle risorse. La medesima disposizione statale, inoltre, detta i principi cui le regioni debbono attenersi nell’emanare le norme di dettaglio, richiamando, in parte, i principi di cui al d.lgs. n. 502/1992 e, in parte, dettandone di nuovi e specifici, come di seguito riportati:
“a) semplificazione e snellimento dell'organizzazione e della struttura amministrativa, adeguandole ai principi di efficacia, efficienza ed economicità dell'attività amministrativa;
b) razionalizzazione ed ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento, previa riorganizzazione dei relativi centri di spesa e mediante adeguamento dell'organizzazione e della struttura amministrativa degli Istituti attraverso:
1) la riorganizzazione degli uffici dirigenziali, procedendo alla loro riduzione in misura pari o inferiore a quelli determinati in applicazione dell'articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dell'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, nonché alla eliminazione delle duplicazioni organizzative esistenti;
2) la gestione unitaria del personale e dei servizi comuni anche mediante strumenti di innovazione amministrativa e tecnologica;
3) la riorganizzazione degli uffici con funzioni ispettive e di controllo;
4) la riduzione degli organismi di analisi, consulenza e studio di elevata specializzazione;
5) la razionalizzazione delle dotazioni organiche in modo da assicurare che il personale utilizzato per funzioni relative alla gestione delle risorse umane, ai sistemi informativi, ai servizi manutentivi e logistici, agli affari generali, provveditorati e contabilità non ecceda comunque il 15 per cento delle risorse umane complessivamente utilizzate”.
Alla luce della normativa statale richiamata, non può, quindi, ritenersi accettabile la norma di cui all’articolo 13 della legge regionale in esame, la quale si limita a disporre il generico recepimento della legge statale, senza in realtà dettare una vera disciplina attuativa dei profili indicati dalla medesima, attesa anche la mancata adozione, da parte della regione, delle norme di dettaglio disciplinanti l’organizzazione e il funzionamento degli organi istituzionali dell’ente, come previsto dallo stesso decreto legislativo n. 106/2012.
Occorre rilevare come il mero e generico recepimento di norme statali che, in realtà, abbisognano di norme regionali attuative, è suscettibile di determinare una situazione di incertezza giuridica e di possibile paralisi degli organi e del funzionamento degli istituti zooprofilattici sperimentali, con possibile pregiudizio per la tutela della salute.
Tale considerazione è peraltro rafforzata dal fatto che il secondo periodo dell’articolo 13 della legge regionale in esame prevede che “sono abrogate le disposizioni contrastanti contenute nella legge regionale 4 agosto 2008, n. 12 (Riordino dell'Istituto zoo profilattico sperimentale della Sardegna "Giuseppe Pegreffi", ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270, e abrogazione della legge regionale 22 gennaio 1986, n. 15)”.
Tale disposizione, che fa decorrere l’effetto abrogativo della precedente legge regionale n. 12/2008 (recante il riordino dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sardegna), dall’entrata in vigore della legge ora in esame, contrasta con l’articolo 16 del più volte citato d.lgs. n. 106/2012, che invece fa decorrere l’abrogazione del d.lgs. n. 270/1993 (decreto che reca la disciplina degli IZS precedente a quella di riordino dettata dal medesimo d.lgs. n. 106/2012), dall’entrata in vigore dello statuto e dei regolamenti degli istituti zooprofilattici sperimentali (statuto e regolamenti che devono essere emanati, peraltro, nel rispetto delle leggi regionali chiamate a dare attuazione al citato articolo 10 del d.lgs. n. 106/2012).
Il comma 2 dello stesso articolo 16, poi, dispone espressamente che “fino alla data di entrata in vigore dello statuto e dei regolamenti di cui all'articolo 12, rimangono in vigore le attuali norme sul funzionamento e sull'organizzazione degli Istituti nei limiti della loro compatibilità con le disposizioni del presente decreto legislativo”.
La ratio della disposizione da ultimo citata, evidentemente, è quella di garantire la continuità del funzionamento degli istituti in questione, nelle more dell’adozione dei provvedimenti attuativi delle norme di riordino di cui al d.lgs. n. 106/2012.
La legge regionale in esame, invece, prevedendo l’abrogazione della precedente legge regionale sull’organizzazione e sul funzionamento dell’IZS, a decorrere dalla entrata in vigore della nuova legge (quindi da un momento antecedente all’adozione dei nuovi statuti e regolamenti dell’IZS), determina un vuoto normativo suscettibile, come detto, di paralizzare l’attività dell’ IZS stesso o, comunque, di determinare una situazione di pericolosa incertezza giuridica, tanto più che molte norme contenute negli articoli da 9 a 16 del d.lgs. n. 106/2012, di cui l’articolo 13 della legge regionale in esame si limita a disporre il generico recepimento, non possono considerarsi, per i motivi prima illustrati, direttamente applicabili, necessitando, invece, di successivi atti regionali attuativi.
Per queste ragioni è da ritenere che l’articolo 13 della legge regionale in esame contrasti con la disciplina di cui al d.lgs. n. 106/2012, e in particolare con gli articoli 10 e 16, violando, conseguentemente, l’articolo 117, comma 3 della Costituzione, in quanto contrastante con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di “tutela della salute”.
In ragione della incertezza giuridica che va a determinare, nonché del rischio di ostacolare la continuità del funzionamento dell’IZS, l’articolo 13 della legge regionale in esame, inoltre, viola il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’articolo 97 Cost.
4) L’art. 18 (Proroga di titoli minerari e di permessi di cava), prevede che:
“1. I titoli minerari di autorizzazione di indagine, concessione, permesso di ricerca di minerali di I categoria e le autorizzazioni e i permessi di cava, per i quali sia stata presentata da parte degli esercenti, prima della scadenza del titolo minerario, l'istanza tesa alla proroga e/o al rinnovo del titolo medesimo, il cui procedimento non sia stato concluso da tutte le amministrazioni aventi competenza concorrente per motivi indipendenti dagli obblighi attribuiti agli istanti, sono automaticamente prorogati sino al 30 giugno 2013.
2. La proroga è ammessa esclusivamente per la prosecuzione dei lavori precedentemente autorizzati e non ancora conclusi, previa verifica di validità delle polizze di fideiussione a garanzia dell'esecuzione dei lavori di messa in sicurezza e ripristino ambientale, nel rispetto delle norme vigenti in materia di attività estrattive.”
Con le citate disposizioni, la legge regionale in esame consente che le autorizzazioni già scadute o in scadenza vengano di fatto rinnovate “di diritto”, senza alcuna condizione, verifica o procedura di natura ambientale.
La normativa statale vigente ammette un simile rinnovo solo per quei progetti che siano già stati sottoposti alla procedura di VIA o alla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA entro gli ultimi cinque anni, (termine stabilito a pena di decadenza dall'art. 26, comma 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale) mentre lo esclude per quei progetti che in precedenza non siano mai stati sottoposti a procedure di VIA o di verifica di assoggettabilità a VIA.
La normativa regionale, pertanto, sottraendo tali progetti dalle procedure di VIA, viola le disposizioni dagli articoli da 20 a 28 e degli Allegati III, lettere b), s) ed u) e IV, punti 2, lettere b) ed h), 7, lettera o) ed 8, lettera i), dello stesso d.lgs. 152/06.
Infatti, poiché la durata di ogni singola autorizzazione costituisce una delle condizioni fondamentali del provvedimento autorizzativo, alla sua scadenza è diritto-dovere della amministrazione titolare del potere concessorio verificare sia l'eventuale mutamento delle condizioni territoriali ed ambientali sia gli aggiornamenti intervenuti sul quadro normativo di riferimento, prima di potere assumere una qualsiasi decisione liberatoria, sia pure in termini prescrittivi o, in alternativa, interdittiva.
E’ indubbio che il limite temporale di una autorizzazione ne costituisce il nucleo e la natura fondamentale, sicchè modificare, ovvero prorogare il termine di una autorizzazione, o comunque rinnovare la stessa autorizzazione definendone un nuovo termine, costituisce una evidente modifica della "sostanza" della autorizzazione medesima, che, per la direttiva VIA, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, deve essere considerata come una vera e propria nuova autorizzazione ed essere pertanto sottoposta conseguentemente alle procedure in materia di VIA stabilite dalla direttiva medesima: (V. Corte di Giustizia Europea, causa C-201/02, sentenza 7 gennaio 2004 (c.d. Delena-Wells), punti 44-47).
Pertanto, la procedura di rinnovo automatico di cui alla legge regionale in esame determina una evidente e rilevante modifica delle previgenti autorizzazioni, e come tale deve essere sottoposta alle procedure in materia di VIA (VIA propriamente detta o, rispettivamente, verifica di assoggettabilità a VIA) stabilite dalla direttiva 85/337/CEE, Allegato I, punto 22, ed Allegato II, punto 13, primo trattino (ora direttiva 2011/92/UE - testo di codificazione, Allegato I, punto 24, ed Allegato II, punto 13.a) .
Al riguardo si ricorda che, nel rispetto di tali principi, si sono espressi sia il Consiglio di Stato (Sezione IV, Sentenza 31 agosto 2004, n. 5715) sia la stessa Corte Costituzionale (sentenza n. 1 dell’11.01.2010 e sentenza n. 67 del 22.02.2010), affermando che è ammissibile sottrarre alla procedura VIA quei rinnovi di autorizzazione per progetti estrattivi autorizzati sulla base di una previa valutazione di impatto ambientale o di una verifica di assoggettabilità a VIA (tenendo comunque presente il termine di decadenza quinquennale stabilito dall'art. 26, comma 6 del d.lgs. n. 152/2006), mentre ciò non può valere per il rinnovo o proroga di quelle autorizzazioni di progetti la cui compatibilità ambientale non sia stata previamente accertata in sede di autorizzazione.
Pertanto, in tali casi, è necessario individuare il momento in cui, entrata in vigore la disciplina in materia di VIA concernente le attività relative ai “titoli minerari di autorizzazione di indagine, concessione, permesso di ricerca di minerali di I categoria e le autorizzazioni e i permessi di cava” di cui al comma 1 dell’art. 18 della legge regionale in esame, si debba procedere per una prima volta all'assoggettamento alla VIA dell'attività medesima.
In conclusione, la normativa regionale in oggetto deve prevedere che quella verifica ovvero valutazione dell’impatto ambientale, non effettuata in sede di prima autorizzazione, debba obbligatoriamente precedere il rinnovo della prima autorizzazione successiva all'entrata in vigore della normativa VIA.
Per le considerazioni sopra esposte, la norma eccede dalla competenza statutaria di cui all’art. 4, lettera a) dello statuto in materia di “industria, commercio ed esercizio industriale delle miniere, cave e saline”, ponendosi in contrasto con l’articolo 117, comma 2, lett.s) che attribuisce allo Stato la legislazione esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.
Per i motivi suesposti si ritiene di sollevare la questione di legittimità costituzionale delle legge regionale dinanzi alla Corte Costituzionale
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