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Cultura e diffusione dell’energia solare in Campania. (18-2-2013)
Campania
Legge n.1 del 18-2-2013
n.12 del 25-2-2013
Politiche infrastrutturali
/ Rinuncia impugnativa
La legge regionale Campania 1/2013, è stata oggetto di impugnazione dinanzi la Corte Costituzionale, giusta delibera del Consiglio dei Ministri del 6 aprile 2013, in quanto illegittima per i seguenti motivi:
1) L’art. 4 prevede che “Nel rispetto delle competenze Stato-Regioni in materia di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia previste dalla Costituzione e dalle leggi statali, la Regione, a partire dal 2013, sceglie di coprire i propri fabbisogni energetici del Piano energetico regionale con energia solare, rispetto agli impianti termoelettrici e da fonte fossile; fanno eccezione gli impianti di origine geotermoelettrica o da maree per i quali occorre adeguata valutazione di impatto ambientale”.
Tale previsione risultava eccedere, la competenza della Regione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione, e ciò per contrasto con la normativa statale di principio di cui alla legge 9 aprile 2002, n. 55, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 7 febbraio 2002, n. 7, recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale.
L’art. 1, della citata legge n. 55/2002, infatti, attribuisce alla competenza statale il rilascio dell’autorizzazione per gli impianti superiori a 300 MWt, riconoscendo alla Regione territorialmente interessata dall’opera, attraverso l’istituto dell’intesa “forte” sull’atto finale, un diritto di veto all’iniziativa energetica.
Inoltre, considerato che nel caso di nuove istanze presentate ai sensi della legge n. 55/2002, per la realizzazione delle centrali termoelettriche, l’esecutivo regionale campano sarebbe stato vincolato a negare l’intesa “forte” prevista dalla legge, proprio in virtù del fatto che la previsione in parola individuava nell’energia solare l’unica fonte cui ricorrere per la copertura del fabbisogno energetico.
Pertanto, la previsione di un’intesa negativa, quale conseguenza inevitabile della scelta di coprire i fabbisogni energetici esclusivamente con energia solare, costituiva nel concreto una sorta divieto aprioristico, generalizzato e indiscriminato, che si poneva in palese contrasto con i principi di sussidiarietà, ragionevolezza e leale collaborazione, di cui al combinato disposto degli artt. 3, 117 e 118 Cost.
La novella, incidendo sull’assetto del mercato pregiudicava il libero accesso al mercato dell’energia, creando una situazione di artificiosa alterazione della concorrenza fra le diverse aree del Paese e tra i diversi modi di produzione dell’energia invadendo quindi l’ambito di competenza legislativa esclusiva statale in materia di “tutela della concorrenza” risultava violare l’ art. 117, comma 2, lett. e) Cost. e.
Infine la disposizione violava l’art. 11 e 117, comma 1, della Costituzione e ciò per contrasto con quanto previsto dalla Direttiva n. 2009/2/CE, secondo cui per la costruzione di nuovi impianti di generazione, gli Stati membri adottano una procedura autorizzatoria informata, tra l’altro, al criterio di non discriminazione.
In particolare, il divieto di localizzare nel territorio regionale nuovi impianti a fonti convenzionali, considerato che la copertura dei fabbisogni energetici dovrà avvenire attraverso la sola fonte solare, si traduceva in una discriminazione di una categoria specifica di operatori economici.
L’impossibilità di installare nuovi impianti alimentati a fonte convenzionale all’interno della Regione Campania si concretizzava in una violazione dei principi comunitari della libera circolazione del servizio di produzione di energia elettrica e della libertà di stabilimento di quelle imprese che intendano insediarsi nel relativo territorio ai fini dello svolgimento di un’attività liberalizzata.
2) l’art. 5, prevede che “In coerenza con gli obiettivi previsti dall’articolo 4, è programmato un piano di dismissione degli attuali impianti di produzione termoelettrica da fonte fossile e la riduzione della importazione regionale di energia, mediante un piano di dismissione delle reti elettriche a 380 Kw e a 220 Kw, recuperando il territorio da esse elettromagneticamente inquinato”.
Tale norma eccedeva la competenza della Regione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione, e ciò per contrasto con la normativa statale di principio di cui alla legge 9 aprile 2002, n. 55, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 7 febbraio 2002, n. 7, recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale.
Inoltre, risultavano violati i principi fondamentali in materia energetica di cui all’art. 3 del decreto legislativo n. 79/99, ed all’art. 1-sexies del decreto legge n. 239/03 recante “semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per le reti nazionali di trasporto dell’ energia” come modificato dalla legge 23 agosto 2004, n. 239 e, da ultimo, dalla legge 23 luglio 2009 n. 99.
3 ) L'art. 11, comma 2, prevede che nei Piani energetici solari comunali, di cui devono dotarsi i comuni , "anche con variante ai vigenti piani regolatori, sono individuate le aree necessarie per gli impianti solari di potenza necessaria e sufficiente all'intera copertura del fabbisogno energetico del territorio del singolo comune. I comuni, in forma singola o associata, curano secondo le modalità delle leggi nazionali vigenti, la distribuzione dell'energia elettrica prodotta da fonte solare e dell'eventuale acqua calda del teleriscaldamento e dei servizi igienico sanitari. Il costo all'utente del kwh e dell'acqua calda è ottenuto esclusivamente sulla base del costo di ammortamento degli impianti (per anni non inferiori a 25), del costo di gestione e del costo di manutenzione. Tale previsione eccedeva la competenza della Regione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione, e ciò per contrasto con la normativa statale di principio di cui le disposizioni contenute nel decreto legislativo n.79/1999 che, nel disciplinare l’esercizio dell’attività di distribuzione di energia elettrica sul territorio nazione, prevede la stessa sia esercitata in ciascun ambito comunale da soggetti assegnatari di apposita concessione rilasciata dal Ministro dello sviluppo economico.
La stessa previsione regionale lede le competenze dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas in materia di determinazione ed aggiornamento delle tariffe elettriche.
La Regione Campania, con la l.r. n. 5/2013, recante " disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Regione Campania (legge finanziaria regionale 2013), all'articolo 1 comma 188 ha abrogato gli articoli oggetto dei rilievi governativi in merito alle illegittimità su esposte.
Pertanto sussistono i presupposti per rinunciare all'impugnazione della l.rCampania n. 1/2013 “Cultura e diffusione dell’energia solare in Campania.
6-4-2013 /
Impugnata
La legge regionale , che detta disposizioni in merito alla cultura e alla diffusione dell'energia solare, presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale:
1) L’art. 4 prevede che “Nel rispetto delle competenze Stato-Regioni in materia di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia previste dalla Costituzione e dalle leggi statali, la Regione, a partire dal 2013, sceglie di coprire i propri fabbisogni energetici del Piano energetico regionale con energia solare, rispetto agli impianti termoelettrici e da fonte fossile; fanno eccezione gli impianti di origine geotermoelettrica o da maree per i quali occorre adeguata valutazione di impatto ambientale”.
La disposizione regionale così formulata eccede, a ben vedere, la competenza della Regione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione, e ciò per contrasto con la normativa statale di principio di cui alla legge 9 aprile 2002, n. 55, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 7 febbraio 2002, n. 7, recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale.
L’art. 1, della citata legge n. 55/2002, infatti, attribuisce alla competenza statale il rilascio dell’autorizzazione per gli impianti superiori a 300 MWt, riconoscendo alla Regione territorialmente interessata dall’opera, attraverso l’istituto dell’intesa “forte” sull’atto finale, un diritto di veto all’iniziativa energetica.
La disciplina dell’autorizzazione e della relativa intesa regionale, prevista dalla normativa statale, si qualifica quale principio fondamentale in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, in quanto risulta ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità al fine di garantire una disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale.
Ciò premesso, in ossequio alla previsione di cui all’art. 4 della legge in esame, la Regione, a partire dall’anno 2013, avendo scelto di coprire il proprio fabbisogno energetico attraverso l’uso dell’energia solare, decreta di fatto un divieto assoluto di installazione, nell’intero territorio regionale, di nuovi impianti alimentati a fonti convenzionali. Con la conseguenza che tutte le procedure autorizzatorie che attiverà lo Stato sui progetti alimentati a fonti convenzionali non potranno che concludersi negativamente a prescindere da una specifica istruttoria, ponendo nel nulla la legislazione statale.
Di talché, nel caso di nuove istanze presentate ai sensi della legge n. 55/2002, per la realizzazione delle centrali termoelettriche, l’esecutivo regionale campano sarebbe vincolato a negare l’intesa “forte” prevista dalla legge, proprio in virtù del fatto che la previsione in parola individua nell’energia solare l’unica fonte cui ricorrere per la copertura del fabbisogno energetico.
Né vale ad escludere illegittimità costituzionale la circostanza secondo cui i fabbisogni energetici sono quelli individuati da un atto avente natura meramente programmatica qual è il Piano energetico regionale.
La previsione regionale in esame presenta un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale.
Infatti, la previsione di un’intesa negativa, quale conseguenza inevitabile della scelta di coprire i fabbisogni energetici esclusivamente con energia solare, costituisce nel concreto una sorta divieto aprioristico, generalizzato e indiscriminato, che si pone in palese contrasto con i principi di sussidiarietà, ragionevolezza e leale collaborazione, di cui al combinato disposto degli artt. 3, 117 e 118 Cost.
La disposizione regionale, tra l’altro, sembra mostrare ulteriori profili di incostituzionalità per vizio di incompetenza, in quanto invasiva dell’ambito di competenza legislativa esclusiva statale in materia di “tutela della concorrenza”, di cui all’art. 117, comma 2, lett. e), Cost.
La disciplina in esame, infatti, è suscettibile di incidere sull’assetto del mercato – e quindi esorbitante dall’ambito di competenza regionale – laddove il divieto in precedenza esposto pregiudica il libero accesso al mercato dell’energia, creando una situazione di artificiosa alterazione della concorrenza fra le diverse aree del Paese (e tra i diversi modi di produzione dell’energia).
La disposizione de qua, inoltre, viola l’art. 11 e 117, comma 1, della Costituzione e ciò per contrasto con quanto previsto dalla Direttiva n. 2009/2/CE, secondo cui per la costruzione di nuovi impianti di generazione, gli Stati membri adottano una procedura autorizzatoria informata, tra l’altro, al criterio di non discriminazione.
In particolare, il divieto di localizzare nel territorio regionale nuovi impianti a fonti convenzionali, considerato che la copertura dei fabbisogni energetici dovrà avvenire attraverso la sola fonte solare, si traduce in una discriminazione di una categoria specifica di operatori economici.
L’impossibilità di installare nuovi impianti alimentati a fonte convenzionale all’interno della Regione Campania si concretizza in una violazione dei principi comunitari della libera circolazione del servizio di produzione di energia elettrica e della libertà di stabilimento di quelle imprese che intendano insediarsi nel relativo territorio ai fini dello svolgimento di un’attività liberalizzata.
A tale proposito, si evidenzia, tra l’altro, che l’effetto voluto dalla previsione regionale, di impedire il rilascio delle autorizzazioni alla costruzione e all’esercizio degli impianti sopra richiamati (termoelettrici), si traduce, in pratica, nell’impossibilità, da parte degli operatori di settore, di presentare nuove istanze per il rilascio dell'autorizzazione in parola. Ciò, in netto contrasto con il principio di libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 Costituzione, nonché con il principio di liberalizzazione delle attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica, cui all'art. 1, comma 1, del dlgs del 16 marzo 1999, n. 79 “Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica”.
2) l’art. 5, prevede che “In coerenza con gli obiettivi previsti dall’articolo 4, è programmato un piano di dismissione degli attuali impianti di produzione termoelettrica da fonte fossile e la riduzione della importazione regionale di energia, mediante un piano di dismissione delle reti elettriche a 380 Kw e a 220 Kw, recuperando il territorio da esse elettromagneticamente inquinato”.
In primo luogo, l’articolo sopra richiamato, eccede la competenza della Regione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione, e ciò per contrasto con la normativa statale di principio di cui alla legge 9 aprile 2002, n. 55, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 7 febbraio 2002, n. 7, recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale.
Inoltre, risultano violati i principi fondamentali in materia energetica di cui all’art. 3 del decreto legislativo n. 79/99, ed all’art. 1-sexies del decreto legge n. 239/03 recante “semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per le reti nazionali di trasporto dell’ energia” come modificato dalla legge 23 agosto 2004, n. 239 e, da ultimo, dalla legge 23 luglio 2009 n. 99.
Procedendo con ordine, si rileva che la legge regionale non subordina l’emissione del piano di dismissione degli impianti esistenti alla preventiva (e necessaria) fase, prevista dall’art. 1-quinques, comma 1, del D.L. n. 239/2003, convertito con modificazioni nella legge n. 290/2003, della “definitiva messa fuori servizio dell’impianto” di competenza peraltro di Amministrazioni statali nel caso di impianti superiori ai 300 MWt.
Infatti, secondo l’art. 1-quinquies del D.L. n. 239/2004, convertito con modificazioni nella legge n. 290/2003, “gli impianti di generazione di energia elettrica di potenza nominale maggiore di 10 MVA sono mantenuti in stato di perfetta efficienza dai proprietari o dai titolari dell'autorizzazione e possono essere messi definitivamente fuori servizio secondo termini e modalita' autorizzati dall'amministrazione competente, su conforme parere del Ministero delle attivita' produttive, espresso sentito il Gestore della rete di trasmissione nazionale in merito al programma temporale di messa fuori servizio”.
Per quanto riguarda il “piano di dismissione delle reti elettriche a 380 Kw e a 220 Kw, recuperando il territorio da esse elettromagneticamente inquinato”, richiamato dall’articolo in esame, si fa presente che le linee elettriche a 380 kV e a 220 kV attualmente in esercizio sul territorio della regione Campania, sono di proprietà dalla società Terna S.p.A., concessionaria del servizio di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica sul territorio nazionale e, quindi, ricomprese nell’ambito della Rete Nazionale di Trasmissione elettrica (RTN).
In proposito, l’attuale disciplina del sistema elettrico contenuta nel Decreto Legislativo n. 79/99 riserva al gestore della rete di trasmissione nazionale l’esercizio delle attività di trasmissione e dispacciamento dell'energia elettrica, ivi compresa la gestione unificata della rete di trasmissione nazionale (RTN) composta, quest’ultima, da linee elettriche ad alta e altissima tensione (cfr. art. 3, co 1).
Tale attività è svolta dalla società Terna S.p.a. in regime di concessione amministrativa ex art. 3, co 5, del decreto legislativo n.79/99, la quale disciplina, tra l’altro, le competenze di programmazione e sviluppo della rete di trasmissione nazionale spettanti al medesimo Gestore e funzionali al perseguimento di un efficace e unitaria gestione della rete. Tali competenze, da ultimo, sono state affermate anche nella disposizione dell’art. 36 del decreto legislativo n.93/11 (di recepimento della direttiva 13 luglio 2009, n. 2009/72/CE) che prevede, tra l’altro, la predisposizione su base annua da parte del Gestore di un Piano di Sviluppo della rete di trasmissione nazionale approvato dal Ministero dello Sviluppo Economico, previa valutazione dell’ Autorità per l’energia elettrica e il gas e acquisizione dei pareri delle regioni interessate.
Pertanto, è evidente che nessuna competenza programmatoria in materia di dismissione di elettrodotti ricompresi nell’ambito della Rete di Trasmissione Nazionale può essere attribuita alle Regioni in quanto tale competenza rientra nella esclusiva sfera di competenza e nei poteri spettanti al Gestore della rete, secondo quanto previsto dalla normativa statale di settore.
Peraltro le competenze in materia di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli elettrodotti ricompresi nell’ambito della RTN, è devoluta in via esclusiva allo Stato ai sensi del citato art.1-sexies del decreto legge n. 239/03 come modificato dalla legge 23 agosto 2004, n. 239.
Tale disposizione, in forza della clausola contenuta nell’art. 1 della legge n. 239/04 (“sono principi fondamentali della normativa statale in materia energetica, ai sensi dell’ art. 117, terzo comma, della Costituzione, quelli posti dalla presente legge”) riveste carattere di principio fondamentale dell’ordinamento e, quindi, inderogabile.
In particolare, il comma 1 del decreto legge n.239/03 prevede che “la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica sono attività di preminente interesse statale e sono soggetti ad un’autorizzazione unica comprendente tutte le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all’esercizio degli stessi, rilasciata dal Ministero delle Attività Produttive di concerto con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e previa intesa con la regione o le regioni interessate”.
Ne deriva, conseguentemente, l’illegittimità del citato art. 5 della legge regionale n.1/13 che, nell’attribuire alla Regione Campania competenze programmatorie in materia di dismissione di linee elettriche ricomprese nella RTN, implicitamente si pone in violazione del citato art. 1-sexies del d.l. n. 239/2003.
Si rileva, tra l’altro, che la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti RTN è effettuata in osservanza delle disposizioni statali in materia di elettromagnetismo e, in particolare, della legge 22 febbraio 2001, n. 36, recante principi fondamentali in tema di tutela dalla popolazione dagli effetti derivanti dalla esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
In particolare, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003, nell’attuare la citata legge, fissa idonei limiti di esposizione e valori di attenzione per l’esercizio degli elettrodotti esistenti, nonché gli obiettivi di qualità per la progettazione di nuovi elettrodotti.
Più in particolare, si ritiene opportuno ricordare che la Corte, in più occasioni, ha, peraltro, escluso la possibilità di autonome previsioni legislative regionali volte a definire criteri tecnici in materia energetica (sentenze n. 103 del 2006, n. 336 del 2005 e n. 7 del 2004). Tra l’altro, in materia di emissioni elettromagnetiche, è stata riconosciuta la legittimità della fissazione, in ambito nazionale, di valori-soglia non derogabili dalle Regioni (sentenza n. 307 del 2003), così come si è precisato che i criteri localizzativi e gli standard urbanistici fissati a livello locale debbono rispettare “le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti” (sentenza n. 307 del 2003).
Pertanto, anche sotto tale profilo la censurata disposizione deve ritenersi illegittima e in palese contrasto con i principi fondamentali della materia.
A ben vedere, pertanto il piano di dismissione degli impianti, così come previsto dalla legge regionale in esame, oltre ad essere redatto da un’Autorità palesemente incompetente, risulterebbe sottratto alla disciplina statale di riferimento.
I vizi di costituzionalità sopra prospettati si evidenziano assai più nitidamente anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale nella materia de qua, la quale ha più volte affermato che lo Stato, nell’esercizio di tale competenza – al fine di dettare, su tutto il territorio nazionale, una disciplina unitaria ed omogenea che superi gli interessi locali e regionali – ha adottato una propria normativa, stabilendo «standard minimi di tutela» volti ad assicurare – come anche di recente si è ribadito – una tutela «adeguata e non riducibile dell’ambiente», «non derogabile dalle Regioni» (da ultimo, Corte costituzionale sentenza n. 187 del 2011), neppure se a statuto speciale, o dalle Province autonome (Corte costituzionale sentenza n. 234 del 2010).
In merito a tali aspetti si segnala, inoltre, che risulterebbe leso altresì il principio di legittimo affidamento dei soggetti proprietari degli impianti coinvolti dal predetto piano di dismissione che si vedrebbero investiti da una decisione unilaterale della Regione, anche in spregio alle libertà economiche garantite dalla Costituzione e dall’Unione europea.
È principio consolidato infatti che “l’intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse è legittimo a condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche […]. La norma successiva non può, però, tradire l’affidamento del privato sull’avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali” (Corte costituzionale, Sentenza n. 124/2010 e n. 24/1999) e che le disposizioni legislative “… non possono trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto…” (Corte Costituzionale, Sentenza n. 349 del 1985).
3 ) L'art. 11, comma 2, prevede che nei Piani energetici solari comunali, di cui devono dotarsi i comuni , "anche con variante ai vigenti piani regolatori, sono individuate le aree necessarie per gli impianti solari di potenza necessaria e sufficiente all'intera copertura del fabbisogno energetico del territorio del singolo comune. I comuni, in forma singola o associata, curano secondo le modalità delle leggi nazionali vigenti, la distribuzione dell'energia elettrica prodotta da fonte solare e dell'eventuale acqua calda del teleriscaldamento e dei servizi igienico sanitari. Il costo all'utente del kwh e dell'acqua calda è ottenuto esclusivamente sulla base del costo di ammortamento degli impianti (per anni non inferiori a 25), del costo di gestione e del costo di manutenzione. Tale previsione eccede la competenza della Regione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione, e ciò per contrasto con la normativa statale di principio di cui le disposizioni contenute nel decreto legislativo n.79/1999 che, nel disciplinare l’esercizio dell’attività di distribuzione di energia elettrica sul territorio nazione, prevede la stessa sia esercitata in ciascun ambito comunale da soggetti assegnatari di apposita concessione rilasciata dal Ministro dello sviluppo economico.
Pertanto, l’art. 11, comma 2, cit., deve ritenersi illegittimo nella misura in cui prevede un regime differente da quello individuato a livello statale per l’esercizio dell’attività di distribuzione.
Si segnala, inoltre, che il medesimo comma 2, presenta ulteriori profili di illegittimità nella misura in cui stabilisce che “[…] il costo all’utente del kWh […] e’ottenuto esclusivamente sulla base del costo di ammortamento degli impianti (per anni non inferiori a 25), del costo di gestione e del costo di manutenzione”. La disposizione, infatti, eccede la competenza della Regione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione, e ciò per contrasto con la normativa statale di principio di cui le disposizioni contenute nel decreto legislativo n.79/1999 e delle disposizioni di cui alla legge 481/1995 L. 14 novembre 1995, n. 481 recante “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”.
Più in particolare, rileva la previsione di cui all’articolo 2, comma 12, lettera e),della citata legge 481/1995, secondo cui l’Autorità “stabilisce e aggiorna, in relazione all'andamento del mercato, la tariffa base, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le tariffe di cui ai commi 17,18 e 19, nonché le modalità per il recupero dei costi eventualmente sostenuti nell'interesse generale in modo da assicurare la qualità, l'efficienza del servizio e l'adeguata diffusione del medesimo sul territorio nazionale, nonché la realizzazione degli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse di cui al comma 1 dell'articolo 1, tenendo separato dalla tariffa qualsiasi tributo od onere improprio; […];”.
Ma vi è di più, infatti, le previsioni di cui all’articolo 3, commi 10, 11 e 13, citato d.lgs. 79/1999, stabiliscono che il costo del KWh deve essere determinato tenendo conto degli oneri generali afferenti al sistema elettrico ivi inclusi, tra gli altri, gli oneri concernenti le attività di ricerca e le attività necessarie allo smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse. Tali oneri sono periodicamente aggiornati secondo le valutazioni dell’Autorità per l'energia elettrica e il gas.
Pertanto, è palese la violazione della normativa statale interposta nella misura in cui la disposizione regionale in esame non richiama, ai fini della determinazione del costo “all’utente del kWh”, gli oneri di sistema. Inoltre, a ben vedere, la stessa previsione regionale lede le competenze dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas in materia di determinazione ed aggiornamento delle tariffe elettriche.
Alla luce di quanto più sopra esposto e sulla scorta della giurisprudenza costituzionale richiamata, si ritiene che sussistano fondati motivi per proporre l’impugnazione delle disposizioni sopra indicate della legge Regione Campania n. 1/2013, ai sensi dell’art. 127, comma 1, Cost.
Per questi motivi le norme regionali indicate devono essere impugnate ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione.
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