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Disposizioni in materia di politiche abitative. (13-2-2013)
Valle Aosta
Legge n.3 del 13-2-2013
n.11 del 12-3-2013
Politiche infrastrutturali
18-4-2013 /
Impugnata
La legge della Regione Valle d’Aosta n. 3 del 13 febbraio 2013, recante “Disposizioni in materia di politiche abitative”, presenta profili d’illegittimità costituzionale con riferimento all’articolo 19, comma 1.
Tale disposizione fissa i requisiti generali per l’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica includendovi, alla lettera b) la “residenza nella Regione da almeno otto anni, maturati anche non consecutivamente”.
Tale periodo di residenzialità prolungata previsto dalla norma in esame è difforme dagli orientamenti della giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte Costituzionale. Il requisito della residenza per un periodo di tempo così prolungato costituisce, infatti, una misura restrittiva della libertà di circolazione e di soggiorno, garantita ai cittadini dell’Unione dall’art. 21, n. 1, TFUE, ed eccede quanto necessario al raggiungimento del legittimo obiettivo di preservare l’equilibrio finanziario del sistema locale di assistenza sociale mediante la previsione di un collegamento tra il richiedente il contributo e l’ente competente alla sua erogazione, come si evince dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenze Stewart C-503/09, punti 90/95, sentenza D’Hoop, C-224/98, punto 39).
Giova evidenziare che la Commissione europea in data 25 febbraio 2011 ha avviato una procedura di infrazione (n. 2009/2001) in relazione a disposizioni normative emanate dalla Regione Friuli Venezia Giulia in materia di edilizia residenziale pubblica che subordinavano le attribuzioni di prestazioni sociali alla sussistenza di requisiti di residenzialità in contrasto con la direttiva n. 2004/38/CE. Nella circostanza la Commissione ha posto in rilievo che l’art. 24, par. 1, della Direttiva 2004/38/CE ha previsto che “ ogni cittadino dell’Unione che risiede nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato; tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente”. La procedurali è conclusa con l’adozione da parte della Commissione Europea di una lettera di costituzione in mora ex art. 258 TFUE nel confronti della Repubblica Italiana (cfr nota C(2011)2146 del 6 aprile 2011).
Sul punto è intervenuta anche la Corte Costituzionale, che nel decidere un caso, parzialmente analogo, (sentenza n. 40 del 2011), ha affermato che “tali discriminazioni contrastano con la funzione e la ratio normativa stessa delle misure che compongono il complesso e articolato sistema di prestazioni individuato dal legislatore regionale nell’esercizio della propria competenza in materia di servizi sociali, in violazione del limite di ragionevolezza imposto dal rispetto del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.)”. La Corte Costituzionale ha inoltre precisato, con la sentenza n. 61 del 2011, che: «una volta che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini».
La disposizione censurata contrasta anche con l’art. 11, paragrafo 1, lettera f) della Dir. 2003/109/CEE (“Direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo”), in materia di parità di trattamento tra i soggiornanti di lungo periodo e i cittadini nazionali. La previsione di un requisito temporale cosi prolungato, infatti, discrimina i soggiornanti di lungo periodo i quali dovrebbero godere del medesimo trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda le procedure di ottenimento di un alloggio e che sarebbero pertanto discriminati nella ricorrente ipotesi che abbiano trascorso anche in altre regioni il previsto periodo di residenzialità.
La disposizione censurata contrasta altresì con l’art. 40, sesto comma, della legge n. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione), come modificata dalla legge 30 Luglio 2002, n. 189, che prevede che “Gli stranieri titolari di carta di soggiorno e gli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale e che esercitano una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo hanno diritto di accedere, in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali eventualmente predisposte da ogni Regione o dagli enti locali per agevolare l’accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione”.
In considerazione di quanto evidenziato, la disposizione de qua determina un disparità di trattamento a danno dei cittadini europei. Infatti, mentre per gli extra-comunitari la normativa statale citata richiede, per poter beneficiare delle sopra descritte provvidenze, un soggiorno (nel territorio nazionale) di almeno due anni, per i cittadini europei, per i quali non trova applicazione il citato Testo unico sull’immigrazione, la disposizione regionale censurata richiede, per lo stesso fine, il requisito della residenza protratta per almeno otto anni, anche non continuativi, nel territorio regionale.
Per le sopra esposte motivazioni, l’art. 19 della legge regionale n. 3/2013 contrasta con le citate normative statali e comunitarie, pertanto viola l’art. 117, co. 1, della Costituzione. La disposizione si pone inoltre in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, poiché introduce nel tessuto normativo un elemento di distinzione arbitrario, non essendovi alcuna ragionevole correlabilità tra la condizione positiva di ammissibilità al beneficio ( la residenza protratta per almeno otto anni) e la funzione dell’istituto che, per la sua stessa natura, non tollera distinzioni basate su particolari tipologia di residenza in grado di escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni si propone, perseguendo una finalità eminentemente sociale. A riguardo la sentenza n. 40 del 2011 della Corte Costituzionale ha precisato che “ tali discriminazioni contrastano con la funzione e la ratio normativa stessa delle misure che compongono il complesso e articolato sistema di prestazioni individuato dal legislatore regionale nell’esercizio della propria competenza in materia di servizi sociali, in violazione del limite di ragionevolezza imposto dal rispetto del principio di uguaglianza”
La legge regionale pertanto deve essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale a norma dell’art. 127 della Costituzione.
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