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Disposizioni urgenti in materia di attività economiche, tutela ambientale, difesa del territorio, gestione del territorio, infrastrutture, lavori pubblici, edilizia e trasporti, attività culturali, ricreative e sportive, relazioni internazionali e comunitarie, istruzione, corregionali all'estero, ricerca , cooperazione e famiglia, lavoro e formazione professionale, sanità pubblica e protezione sociale, funzione pubblica, autonomie locali, affari istituzionali, economici e fiscali generali. (8-4-2013)
Friuli Venezia Giulia
Legge n.5 del 8-4-2013
n.15 del 10-4-2013
Politiche infrastrutturali
31-5-2013 /
Impugnata
La legge regionale, che reca «Disposizioni urgenti in materia di attività economiche, tutela ambientale, difesa del territorio, gestione del territorio, infrastrutture, lavori pubblici, edilizia e trasporti, attività culturali, ricreative e sportive, relazioni internazionali e comunitarie, istruzioni, corregionali all’estero, ricerca, cooperazione e famiglia, lavoro e formazione professionale, sanità pubblica e protezione sociale, funzione pubblica, autonomie locali, affari istituzionali, economici e fiscali generali», presenta vari aspetti di illegittimità costituzionale.
In via preliminare va considerata la questione relativa all’esercizio del potere dell’organo legislativo regionale nel periodo successivo all’indizione di nuove elezioni per scadenza naturale della legislatura.
La Corte Costituzionale in più occasioni ha riconosciuto che, anche in assenza di specifiche disposizioni statutarie, nel periodo antecedente alle elezioni per la loro rinnovazione e fino alla loro sostituzione, deve ritenersi che i Consigli Regionali, dispongano «di poteri attenuati confacenti alla loro situazione di organi in scadenza, analoga, quanto a intensità di poteri, a quella degli organi legislativi in prorogatio» (cfr. sentt. n. 468/1991; 515/1995; 196/2003; 68/2010).
Nel periodo pre-elettorale si verifica, in sostanza, una fase di depotenziamento delle funzioni del Consiglio regionale, la cui ratio è stata individuata dalla giurisprudenza costituzionale nel principio di rappresentatività connaturato alle assemblee consiliari regionali, in virtù della loro diretta investitura popolare e della loro responsabilità politica verso la comunità regionale.
L’istituto della prorogatio, come chiarito nella sentenza n. 515/1995, è volto a coniugare il principio di rappresentatività politica del Consiglio Regionale «con quello della continuità funzionale dell’organo». Questa esigenza di continuità funzionale porta ad escludere che il depotenziamento possa spingersi fino a comportare un’indiscriminata e totale paralisi dell’organo stesso, e consente al Consiglio Regionale di deliberare in circostanze straordinarie o di urgenza, o per il compimento di atti dovuti o di ordinaria amministrazione.
Tale orientamento giurisprudenziale è stato ribadito e specificato nella sentenza n. 68/2010, con cui la Consulta ha sottolineato che «nell’immediata vicinanza al momento elettorale, pur restando ancora titolare della rappresentanza del corpo elettorale regionale, il Consiglio regionale non solo deve limitarsi ad assumere determinazioni del tutto urgenti o indispensabili, ma deve comunque astenersi, al fine di assicurare una competizione libera e trasparente, da ogni intervento legislativo che possa essere interpretato come una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli elettori».
Ciò premesso in via generale sull’istituto della prorogatio Con la legge costituzionale n. 1/1999 la disciplina del sistema elettorale e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità è stata devoluta al legislatore regionale anche per le regioni a statuto ordinario, sia pure nel rispetto dei limiti dei principi fondamentali individuati con legge della Repubblica.
L’articolo 2 della L.R. 18 giugno 2007, n. 17, recante “Determinazione della forma di governo della Regione Friuli-Venezia Giulia e del sistema elettorale regionale, ai sensi dell'articolo 12 dello Statuto di autonomia”, al comma 2 testualmente recita: “2. I poteri del Consiglio regionale e del Presidente della Regione sono prorogati, per l'ordinaria amministrazione, sino all'insediamento dei relativi nuovi organi. I poteri della Giunta regionale sono prorogati, per l'ordinaria amministrazione, sino alla proclamazione del nuovo Presidente della Regione”.
La disposizione richiamata disciplina l’istituto della prorogatio, da intendersi quale sopravvivenza temporanea dei poteri dei titolari per i quali si è verificata la cessazione del mandato, limitando i poteri del Consiglio Regionale, del Presidente della Regione e della Giunta a quelli di “ordinaria amministrazione”. Mentre il dies ad quem è chiaramente individuato dalla disposizione regionale ora richiamata, non altrettanto può dirsi per il dies a quo, dal quale si verifica l’attenuazione dei poteri del Consiglio regionale.
Numerosi elementi inducono a ritenere che l’individuazione del dies a quo nella data di pubblicazione del decreto di indizione delle elezioni o nella data di pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali costituisca un principio fondamentale dell’ordinamento, applicabile anche in assenza di specifiche disposizioni regionali di segno contrario.
A norma dell’art. 14, terzo comma, dello Statuto di autonomia del Friuli-Venezia Giulia “Il decreto di indizione delle elezioni deve essere pubblicato non oltre il quarantacinquesimo giorno antecedente la data stabilita per la votazione”. La disposizione evoca quella già prevista dalla legislazione nazionale, all’art. 3, comma 2, della l. 17 febbraio 1968, n. 108, recante «Norme per l’elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale», secondo cui i Consigli regionali «esercitano le loro funzioni fino al 46° giorno antecedente alla data delle elezioni per la loro rinnovazione». Nella Regione a statuto speciale Valle d’Aosta, il dies a quo della prorogatio del Consiglio regionale è individuato espressamente nel quarantacinquesimo giorno antecedente alla data delle elezioni (cfr. art. 9, l.r. Valle d’Aosta n. 21/2007, comma 1, secondo cui “Nei casi di scadenza naturale della legislatura al termine del quinquennio, a decorrere dal quarantacinquesimo giorno antecedente la data delle elezioni, i poteri del Presidente della Regione e della Giunta regionale sono prorogati solo per l’ordinaria amministrazione, salva l’adozione degli atti indifferibili ed urgenti, fino all’elezione del nuovo Presidente e della nuova Giunta; i poteri del Consiglio regionale sono prorogati, solo per l’adozione degli atti indifferibili ed urgenti, fino alla prima riunione del nuovo Consiglio regionale.”). Analoga disposizione è contenuta nello Statuto della Regione Marche, che dispone la prorogatio «a partire dal quarantacinquesimo giorno antecedente alla data delle elezioni conseguenti alla scadenza naturale della legislatura».
Nella genericità della formulazione adottata dalla legge del Friuli Venezia Giulia n. 17/2007, si potrebbe ritenere anche che la prorogatio si applichi dalla data di indizione dei comizi elettorali, come previsto, per i consigli comunali e provinciali, dall’art. 38, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000, secondo cui i Consigli «durano in carica sino all’elezione dei nuovi, limitandosi, dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali, ad adottare atti urgenti e improrogabili».
Con riferimento al caso qui in esame, si rappresenta che in Friuli-Venezia Giulia le elezioni regionali del 2008 erano state fissate, con deliberazione della Giunta regionale del 12 febbraio 2008, n. 419, domenica 13 e lunedì 14 aprile 2008 (date in cui si sono svolte anche le elezioni del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati). Pertanto, ai sensi dell’art. 14, comma 1, dello Statuto speciale, approvato con L.Cost. 31 gennaio 1963, n. 1, la scadenza naturale della X legislatura del Consiglio regionale, dunque, si è compiuta il 13 aprile 2013 (“Il Consiglio regionale è eletto per cinque anni. Il quinquennio decorre dalla data delle elezioni”).
Le elezioni regionali per la formazione del nuovo Consiglio, secondo l’art. 14, comma 2, dello Statuto, potevano avere luogo nel periodo compreso tra il 17 marzo 2013 e il 21 aprile 2013 (“…a decorrere dalla quarta domenica precedente e non oltre la seconda domenica successiva al compimento del quinquennio di durata in carica del Consiglio regionale”).
Ai sensi dell’art. 14, comma 3, dello Statuto, il decreto di indizione delle elezioni deve essere pubblicato non oltre il quarantacinquesimo giorno antecedente la data stabilita per la votazione. In ossequio alla normativa regionale richiamata, la Giunta regionale, con deliberazione n. 208 del 13 febbraio 2013, pubblicata sul BUR n. 9 del 27 febbraio 2013, ha fissato la data delle elezioni del nuovo Consiglio e del Presidente della Regione, domenica 21 aprile e lunedì 22 aprile 2013. I comizi elettorali per l’elezione del Presidente della Regione e dell’undicesimo Consiglio Regionale sono stati convocati con decreto del Presidente della Regione n. 38, del 4 marzo 2013.
La legge regionale in esame è stata approvata l'8 aprile 2013 e pubblicata il 10 aprile 2013, a meno di due settimane dalle elezioni, e dunque in piena fase pre-elettorale.
Pertanto, la legge in esame potrebbe essere ritenuta legittima soltanto laddove la sua adozione sia giustificata dalla sussistenza di presupposti di urgenza e di indifferibilità, ovvero laddove la medesima costituisca un atto dovuto. La Corte Costituzionale, al riguardo, ha affermato che spetta al Consiglio Regionale «selezionare le materie da disciplinare in conformità alla natura della prorogatio, limitandole ad oggetti la cui disciplina fosse oggettivamente necessaria ed urgente» e ha fatto riferimento ai lavori preparatori per verificare se fossero state addotte «specifiche argomentazioni in tal senso» (sentenza n. 68/2010, par. 4.5.).
La legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 5/2013 non sembra rivestire i caratteri di indifferibilità ed urgenza, né costituire un atto dovuto o riferibile a situazioni di gravità tale da non poter essere rinviato per non recare danno alla collettività regionale o al funzionamento dell’ente.
La legge – che costituisce una sorta di legge “ominibus” - è infatti composta di disposizioni eterogenee sia di carattere finanziario che ordinamentale, relative ad attività economiche, turismo, infrastrutture, lavori pubblici, edilizia, attività culturali e ricreative, istruzione, corregionali all’estero, ricerca, cooperazione e famiglia, lavoro e formazione professionale, sanità, protezione sociale.
Con riferimento a molte delle norme di carattere finanziario ivi contenute, consistenti nella concessione di contributi, si potrebbe ravvisare una possibile intenzione di captatio benevolentiae nei confronti dell’elettorato (tra queste, si pensi, a titolo esemplificativo, a quelle contenute all’art. 1, commi 4, 5, 6 e 7, che autorizza l’amministrazione regionale a concedere contributi alle piccole sale cinematografiche ubicate nel territorio della regione, stanziando una spesa di 150.000 euro; all’art. 1, comma 8, che autorizza la spesa di 347.516,04 euro in favore dell’Associazione Fondo per l'Audiovisivo del Friuli-Venezia Giulia; all’art. 1, comma 9, che autorizza la spesa di 200.000 euro per l’anno 2013 in favore di TurismoFVG, per la promozione, l'organizzazione e la realizzazione di grandi eventi di rilievo nazionale e internazionale di tipo turistico, sportivo, musicale e culturale; all’art. 4, commi 24, 25 e 26, che concedono vari contributi ad alcune parrocchie specificamente individuate; al contributo straordinario concesso dall’articolo 5, comma 9, all’Associazione Piccolo Teatro della città di Udine, per l’attività istituzionale e la realizzazione di eventi, o anche al contributo previsto dal comma 56 del medesimo articolo, in favore del Comitato Carnevale Carsico Obdor za Kraski Pust di Trieste, per la realizzazione della manifestazione Carnevale Carsico).
Con riferimento ad altre norme di carattere ordinamentale, è evidente che il contenuto delle disposizioni eccede l’ordinaria amministrazione (a titolo esemplificativo, si pensi a quanto disposto dall’art. 1, comma 10, che, tra le altre cose, dispone l’abrogazione dell’art. 6, comma 2, lettera d), della l.r. 4/2010, secondo cui l’Agenzia regionale per lo sviluppo rurale ERSA “d) predispone, aggiorna e diffonde l'elenco delle manifestazioni, mostre, convegni e iniziative finanziati ai sensi del comma 1”, ponendosi peraltro in contrasto con le iniziative statali che promuovono una maggiore trasparenza gli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti pubblici e privati [cfr. Art. 26, d.lgs. n. 33/2013]; ancora, si pensi al comma 19 del medesimo articolo 1, che proroga la durata delle concessioni dei beni del demanio marittimo statale e regionale al 31 dicembre 2020; un altro esempio è costituito dalla revisione della definizione degli interventi di “manutenzione straordinaria”, disposta dall’art. 4, comma 3, del provvedimento in esame).
Giova altresì rilevare che il mancato rispetto delle regole più essenziali in materia di tecnica di redazione degli atti normativi – quali quelli individuati nel “Manuale regionale di regole e suggerimenti per la redazione dei testi normativi”, approvato dall’Ufficio di presidenza del consiglio regionale il 20 maggio 2008 - ostacola un approfondito esame della legge nei sessanta giorni attribuiti al Governo dall’articolo 127 della Costituzione, e, pertanto, stride con il principio di leale collaborazione che deve ispirare i rapporti tra lo Stato e le autonomie.
Per quanto rilevato si ritiene che con riferimento alla legge in esame il Consiglio regionale abbia legiferato oltrepassando i limiti riconducibili alla sua natura di organo in prorogatio e che conseguentemente il provvedimento sia nella sua interezza censurabile per violazione dell'articolo 2, comma 2, della L.R. 18 giugno 2007, n. 17, in combinato disposto con l’art. 14 dello Statuto di autonomia.
A prescindere da quanto sopra osservato, si ritiene che la legge regionale presenti anche aspetti di illegittimità costituzionale relativamente alle disposizioni di cui agli articoli 3, comma 28; 7, commi 1, 2 e 3; e 10, commi 1, 2 e 5, per i motivi di seguito specificati:
1) L’articolo 3, comma 28, che sostituisce il comma 1 dell’articolo 37-bis della l.r. 16/2002, prevede che: “gli interventi di cui all’articolo 37, comma 1-bis, che comportano l’estrazione e l’asporto di materiale litoide sono considerati interventi di manutenzione e non sono subordinati a vincoli da parte degli strumenti urbanistici. Il materiale litoide conseguente a tali interventi sottoposto a pagamenti di canone, costituisce materia prima e pertanto non è assoggettato al regime dei sottoprodotti di cui all’articolo 184-bis del decreto legislativo 152/2006 e alle regole del decreto ministeriale 10 agosto 2012 n. 161”.
La norma contrasta con l’art. 185, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006, che prevede che i materiali litoidi, qualora utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati ai sensi degli articoli 183, comma 1, lettera a) (rifiuto), 184-bis (sottoprodotto) e 184-ter (cessazione della qualifica di rifiuto) del medesimo decreto. Sono esclusi da questa disciplina, ai sensi dell’articolo 185, comma 3, del D. Lgs. 152/2006, soltanto “i sedimenti spostati all’interno di acque superficiali ai fini della gestione delle acque e dei corsi d’acqua o della prevenzione di inondazioni o della riduzione degli effetti delle inondazioni o siccità o ripristino dei suoli se è provato che i sedimenti non sono pericolosi ai sensi della decisione 2000/532/Ce della Commissione del 3 maggio 2000, e successive modificazioni”. Tale disposizione, che ha carattere eccezionale, deve essere oggetto di una interpretazione restrittiva, ai sensi dell’articolo 14 delle “preleggi”, pertanto, non può in alcun modo giustificare la normativa regionale censurata.
Occorre precisare che la norma regionale censurata incide sulla disciplina dei rifiuti, afferente alla materia della tutela dell'ambiente, e dunque attribuita alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (Corte Costituzionale, sentenza 249/2009). Le norme contenute nel d.lgs. n. 152/2006 sono espressione di questa potestà legislativa esclusiva e si impongono all’osservanza delle Regioni, anche a statuto speciale, che non possono derogarvi neppure in via sussidiaria e cedevole.
Pertanto, il comma 28 dell’art. 3 della legge regionale n. 5/2013, disciplinando i materiali litoidi in senso non conforme alla normativa statale di riferimento in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (articolo 185, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante “Norme in materia ambientale”), eccede dalla competenza attribuita alla Regione dagli articoli 4 e 5 dello statuto di autonomia ed invade la potestà legislativa esclusiva statale nella materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”; pertanto viola l’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.
2) L’articolo 7, commi 1, 2 contrasta con il limite tracciato dall’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008, che costituisce principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica (come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale, sentenza n. 217/2012), e pertanto viola l’art. 117, comma 3, della Costituzione.
Giova in proposito ribadire che, come più volte ribadito dalla Corte Costituzionale, il vincolo del rispetto dei principi statali di coordinamento della finanza pubblica connessi agli obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, che grava sulle Regioni ad autonomia ordinaria in base all’art. 119 della Costituzione, si impone anche alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome nell’esercizio della propria autonomia finanziaria.
In particolare, la disposizione statale richiamata vieta “agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50 per cento delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale” mentre consente ai restanti enti di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato “nel limite del 40 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente”. La norma prevede che “ai soli fini del calcolo delle facoltà assunzionali, l'onere per le assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale è calcolato nella misura ridotta del 50 per cento; le predette assunzioni continuano a rilevare per intero ai fini del calcolo delle spese di personale previsto dal primo periodo del presente comma. (…).”.
La disposizione regionale censurata, invece, stabilisce, ai commi 1 e 2, che le maggiori spese di personale connesse a nuove assunzioni relative alla realizzazione di cantieri di lavoro ex art. 9, co. 127-137, della l.r. 31 dicembre 2012, n. 27, non rilevano ai fini del calcolo della riduzione della spesa per il personale e al connesso contenimento della dinamica retributiva e occupazionale imposta dall’art. 12, comma 25 e comma 28.1, della legge regionale 30.12.2008, n. 17.
Così disponendo la norma censurata contrasta con la disciplina statale che obbliga gli enti locali a tenere conto anche degli oneri derivanti dalle assunzioni nei settori della polizia locale, dell’istruzione pubblica e del settore sociale e, pertanto, viola l’art. 117, comma 3, della Costituzione.
3) Si pone parimenti in violazione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica fissati dallo Stato in base all’art. 117, comma 3, della Costituzione, e contenuti all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78/2010, il comma 3 dell’articolo 7 della legge regionale n. 5 del 2013.
La disposizione regionale censurata modifica l’art. 13, comma 16, della l.r. n. 24/2009, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale e annuale della Regione (Legge finanziaria 2010)».
I commi 14-16 del citato articolo 13 disciplinano le modalità di assunzione di personale da parte delle amministrazioni del comparto unico del pubblico impiego regionale e locale. Le assunzioni, che sono subordinate all’esito negativo di procedure di mobilità e alla verifica della possibilità e della convenienza di ricorrere ad appalti di servizi o ad incarichi professionali, possono avvenire «nel limite di un contingente di personale la cui spesa annua omnicomprensiva non superi il 20 per cento di quella relativa alle cessazioni di personale a tempo indeterminato avvenute nel corso dell’esercizio precedente e non già riutilizzata nel corso dell’esercizio stesso». Rispetto a questo limite sono consentite alcune deroghe, che la disposizione impugnata estende alla possibilità di concludere contratti di lavoro a tempo determinato e collaborazioni coordinate e continuative per la “realizzazione di cantieri di lavoro di cui all’articolo 9, commi da 27 a 137, della legge regionale 31 dicembre 2012, n. 27”.
La disciplina nazionale, contenuta all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78/2010, stabilisce che le amministrazioni regionali «possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009». Tale limite è espressamente definito un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica. Una deroga è ammessa esclusivamente, a decorrere dal 2013, per gli enti locali limitatamente alle «assunzioni strettamente necessarie a garantire l'esercizio delle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale; resta fermo che comunque la spesa complessiva non può essere superiore alla spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009».
La disposizione regionale censurata, estendendo la possibilità di derogare ai limiti previsti per il ricorso ai contratti a tempo determinato e alle collaborazioni coordinate e continuative a circostanze non previste dalla disciplina statale (nella specie, estendendo le deroghe alle amministrazioni regionali, peraltro senza prevedere che le assunzioni debbano essere «strettamente necessarie a garantire l’esercizio delle suddette funzioni», non limitandone l’applicazione «a decorrere dal 2013» e senza garantire comunque che la spesa complessiva non superi quella sostenuta, per le stesse finalità, nell’anno 2009), non assicura il rispetto dei limiti imposti dalla disciplina statale all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78/2010, e pertanto si pone in contrasto con l’art. 117, comma 3, della Costituzione.
4) L’articolo 10, commi 1 e 2, si pone in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
Il comma 1 prevede che “la Regione può prevedere nei bandi dei concorsi pubblici per l'accesso all'impiego regionale, ai fini della progressione di carriera del personale regionale, una riserva di posti per il personale medesimo non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso, fermo restando l'obbligo del possesso dei titoli di studio richiesti in relazione alla categoria e al profilo professionale di accesso”. Il comma 2 dispone che “Fermo restando quanto previsto dal comma 1, la Regione può altresì prevedere, nell'ambito delle procedure concorsuali pubbliche per l'accesso alle categorie:
a) una riserva di posti, nel limite massimo del 25 per cento di quelli messi a concorso, a favore del personale titolare di rapporto di lavoro a tempo determinato che abbia maturato, alla data di pubblicazione del bando, almeno tre anni di servizio alle dipendenze della Regione, nonché, per una sola tornata concorsuale, a favore del personale che abbia maturato detto requisito minimo di servizio alla data di entrata in vigore della presente legge;
b) una valorizzazione, nell'ambito delle procedure concorsuali per titoli ed esami, con apposito punteggio dell'esperienza professionale dei soggetti di cui alla lettera a), nonché di coloro che, alla data di pubblicazione del bando, abbiano maturato, presso la Regione, almeno tre anni di contratto di collaborazione coordinata e continuativa o abbiano operato, per almeno tre anni, quali lavoratori somministrati;
c) una valorizzazione, nell'ambito delle procedure concorsuali per titoli ed esami, con apposito punteggio dell'idoneità conseguita in pubblici concorsi banditi dalla Regione per l'accesso alla categoria e al profilo professionale messo a concorso”.
Per effetto del combinato disposto dei due commi richiamati la Regione Friuli Venezia Giulia può prevedere concorsi per l’accesso ad impieghi pubblici, riservando al personale interno un numero di posti superiore al 50%, in violazione di quanto previsto da costante giurisprudenza costituzionale.
La previsione viola gli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione, che sanciscono il principio secondo cui ai posti pubblici si accede solo tramite procedure concorsuali aperte. In base a questi articoli, infatti, le procedure selettive riservate che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno, sono da ritenere incompatibili con il carattere pubblico del concorso.
Giova ricordare che la Corte Costituzionale ha più volte ribadito (Sent. n. 217, n. 90, n. 62, n. 51, n. 30 del 2012 e n. 299 del 2011) che “la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del pubblico concorso, di cui all’art. 97 Cost., deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle; con la conseguenza che va esclusa la legittimità di arbitrarie restrizioni alla partecipazione alle procedure selettive, dovendosi riconoscere al concorso pubblico un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni, ma anche i casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio e quelli di trasformazione di rapporti non di ruolo, e non instaurati dall’origine mediante concorso, in rapporti di ruolo. Inoltre, pur non essendo il principio del pubblico concorso incompatibile, nella logica dell’agevolazione del buon andamento della pubblica amministrazione, con la previsione per legge di condizioni di accesso intese a consentire il consolidamento di pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione, comunque, esso non tollera, salvo circostanze del tutto eccezionali, la riserva integrale dei posti disponibili in favore di personale interno. Sicché, si è ritenuta insufficiente a giustificare la deroga la semplice circostanza che determinate categorie di dipendenti abbiano prestato attività a tempo determinato presso l’amministrazione, come pure la personale aspettativa degli aspiranti ad una misura di stabilizzazione.”
5) L’art. 10, comma 5, che sostanzialmente replica il contenuto dell’art. 12, comma 11, della l.r. 14/2012, di cui il Consiglio dei Ministri ha chiesto l’impugnativa in data 20 settembre 2012 e che la l.r. in esame abroga all’art. 10, comma 10, lett. b), prevede che “la revisione delle graduatorie delle procedure attuative del disposto di cui all'articolo 16 del contratto collettivo integrativo 1998-2001, area non dirigenziale del personale regionale e il conseguente conferimento delle relative posizioni avviene salvaguardando, in ogni caso, quelle già conferite e comunque nell’ambito delle risorse disponibili nel Fondo per la contrattazione collettiva integrativa”.
L’articolo 16 del contratto collettivo integrativo richiamato disciplina le progressioni orizzontali, subordinando ad una procedura selettiva il processo di acquisizione della nuova posizione economica. La norma regionale censurata, non precisando che il conferimento delle relative posizioni può avere esclusivamente effetti giuridici, viola l’art. 9, c. 21, del d.l. n. 78/2010 (secondo cui per gli anni 2011, 2012 e 2013 le progressioni in carriera per il personale contrattualizzato possono avere solo effetti giuridici) che costituisce un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Sulla base di quanto sopra esposto si ritiene che la legge regionale ecceda dalle competenze Statutarie della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e debba quindi essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione
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