Dettaglio Legge Regionale

Disposizioni in materia di commercio in sede fissa e di distribuzione di carburanti. Modifiche alla l.r. 28/2005 e alla l.r. 52/2012. (5-4-2013)
Toscana
Legge n.13 del 5-4-2013
n.14 del 10-4-2013
Politiche infrastrutturali
31-5-2013 / Impugnata
La legge regionale in esame, che detta disposizioni in materia di commercio in sede fissa e di distribuzione di carburanti, presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale:


1) L’articolo 2 sostituisce integralmente l’articolo 18 septies della L.R. 7 febbraio 2005 n. 28, riguardante i requisiti obbligatori per le grandi strutture di vendita. La norma subordina il rilascio dell’autorizzazione commerciale per grande struttura di vendita al possesso di numerosi requisiti obbligatori che riguardano profili estranei all’attività commerciale, come ad esempio: la collaborazione con associazioni di volontariato sociale per la realizzazione di progetti di raccolta e ridistribuzione a soggetti deboli dei prodotti alimentari invenduti e comunque non scaduti (4) ; l’attivazione di specifici programmi per la limitazione della produzione di rifiuti, la riduzione di imballaggi monouso e di shopper in plastica, la vendita di prodotti a mezzo erogatori alla spina, l’uso di sistemi dì riuso per imballaggi secondari e terziari in plastica e/o legno ( 5); la realizzazione di apposite aree di servizio destinate alla raccolta differenziata ed allo stoccaggio dei rifiuti prodotti dall’esercizio (6); l’attivazione di un sistema di gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAFE) limitatamente agli esercizi che commerciano prevalentemente tali prodotti (7).

La disciplina regionale, inoltre, è ancora più vincolante per le strutture oltre i 4000 mq, poiché richiede (comma 1, lettera b) in tali ipotesi il possesso di ulteriori requisiti, oltre a quelli precedentemente esposti, quali per esempio:
- un progetto per la raccolta di almeno il 50 % delle acque meteoriche attraverso la realizzazione di una vasca di recupero di dimensioni adeguate al fabbisogno di operazioni quali l’annaffiatura, il lavaggio delle aree ed ogni forma di riuso per la quale non sia richiesta l’acqua potabile;
- la disponibilità a favore dell’utenza di servizi di trasporto pubblico per il collegamento dell’area dove è insediata la struttura ovvero, in assenza o ad integrazione del servizio pubblico, nell’esistenza di servizi di trasporto privato.
- la realizzazione di spazi destinati ai bambini, gestiti da apposito personale, attrezzati anche per l’igiene e la cura degli stessi.
Le norme introdotte ora nell’ordinamento regionale toscano, come quelle già al vaglio della Corte Costituzionale, introducono pertanto una disciplina discriminatoria che incide direttamente sul confronto concorrenziale nonchè penalizzante e poco logica (perché grava solo sulle Grandi Strutture di vendita e in particolare su esercizi con superficie maggiore di 4000 mq ) che, nei diversi mercati interessati, condiziona negativamente la programmazione quantitativa dell’offerta, in contrasto con le esigenze di salvaguardia della concorrenza. in ciò violando gli artt. 41 e l’art. 117, comma 1 e comma 2 lett. e) della Costituzione.
D’altra parte i recenti interventi di liberalizzazione e i consolidati principi dell’ordinamento comunitario chiariscono che le deroghe al principio di libera prestazione dei servizi sono sostanzialmente ammessi per motivi di interesse generale, laddove non discriminatorie e improntate ad un criterio di proporzionalità.
In particolare l’art. 31 , comma 2, L. 22 dicembre 2011 n. 214 prevede chiaramente che “costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi natura e che le Regioni egli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012”.
La valenza di tali disposizioni è stata già analizzata dalla Corte Costituzionale in una recentissima sentenza (19 dicembre 2012 n, 299) chiarendo che una regolamentazione delle attività economiche ingiustificatamente intrusive — cioè non necessaria e sproporzionata rispetto alla tutela dei beni costituzionalmente protetti- genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a detrimento degli interessi degli operatori economici, dei consumatori e degli stessi lavoratori e, dunque, in definitiva reca danno alla stessa utilità sociale. L’eliminazione degli inutili oneri regolamentari, mantenendo però quelli necessari alla tutela di superiori beni costituzionali, è funzionale alla tutela della concorrenza e rientra a questo titolo nelle competenze del legislatore statale”..

2) L’articolo 3, ha modificato l’articolo 19 L.R. 7 febbraio 2005 n. 28, stabilendo che l’ apertura, il trasferimento di sede, l’ampliamento della superficie di vendita di un centro commerciale sono soggetti ad autorizzazione espressa rilasciata dal SUAP competente per territorio, secondo le condizioni e le procedure stabiliti rispettivamente per le medie e le grandi strutture di vendita e ammettendo la SCIA solo per l’ipotesi di modifica del settore merceologico.
Le nuove disposizioni si pongono in contrasto con il principio di semplificazione amministrativa sancito dall’art. 19 legge 7 agosto 1990 n. 241 in base ai quale ogni atto di autorizzazione o licenza per l’esercizio di un’attività commerciale, imprenditoriale, è sostituito da una segnalazione (S.C.I.A.) dell’interessato, dall’art. 31 Legge 22 dicembre 2011 n. 214 che, in un ottica di semplificazione, ha abolito i regimi autorizzativi espressi, con la sola esclusione degli interessi pubblici più sensibili indicati dalla Direttiva Servizi.
L’intervento statale introduce una sostanziale liberalizzazione per cui i regimi autorizzatori non costituiscono più la regola, ma un’ipotesi del tutto residuale, in quanto possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità.
La Regione Toscana oblitera tali nuovi principi e condiziona nuovamente e in modo evidentemente anacronistico l’apertura, il trasferimento di sede e anche l’ampliamento della superficie ad un regime autorizzatorio, imponendo agli operatori commerciali che esercitano nel territorio toscano oneri maggiori e più impegnativi rispetto a quelli previsti dalla normativa statale.
Il principio di semplificazione, da tempo radicato nell’ordinamento italiano, è di derivazione comunitaria (direttiva 2006/ 123/CE.), relativa ai servizi nel mercato interno, attuata nell’ordinamento italiano) con decreto legislativo 26 marzo 2010 n. 59) e va senza dubbio catalogato nel novero dei principi fondamentali (Corte Cost n. 282 del 2009 e n. 336 del 2005).
La disciplina della SCIA, con il principio di semplificazione ad esso sotteso, ha un ambito applicativo diretto alla generalità dei cittadini e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m) Cost. (Corte Cost, 27 giugno 2012 n. 164).
L’intervento legislativo regionale pertanto viola l’art. 117 comma 2 lettere e) e m) della Costituzione.
La stessa giurisprudenza costituzionale e amministrativa ha poi più volte disposto la disapplicazione delle disposizioni legislative regionali eventualmente in conflitto che sono comunque da considerarsi recessive rispetto alle corrispondenti disposizioni statali, le quali sono immediatamente applicabili senza che vi sia necessità di un loro recepimento espresso(cfr. Corte Cost. n.150 del ‘2011; TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 13dicembre 2007 n. 76).

3) L’articolo 5 modifica l'articolo 19 quater della Legge regionale n. 28/2005, sostituendone il comma 2 , prevedendo che "Le merci poste in vendita in outlet recano il solo prezzo finale di vendita, tranne che nelle ipotesi di vendite straordinarie e promozionali, cui si applicano gli articoli da 88 a 96".
La norma regionale obbliga dunque gli esercizi commerciali Outlet ad una precisa modalità di esposizione del prezzo di vendita che eccede dalle competenze regionali in materi di commercio andando ad incidere sui principi della trasparenza dei prezzi e quindi delle informazioni al consumatore: le disposizioni volte alla tutela dei consumatori esorbitano dalla disciplina del commercio andando a ricadere in sfere di competenza riservate allo Stato.
Il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo), all’articolo 2, comma 2, lettera c), annovera fra i diritti fondamentali del consumatore quello ad una adeguata informazione sul prodotto. Il medesimo codice detta inoltre la disciplina dei prezzi, nella parte II, titolo II, dedicata alle informazioni al consumatore.
Così come affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 191 del 2012 e 66/2013, la disciplina del codice del consumo attiene alla materia del diritto civile, riservata alla competenza esclusiva dello Stato.
La previsione regionale, inoltre , imponendo agli esercizi commerciali Outlet ricadenti ne territorio regionale, una precisa modalità di esposizione del prezzo di vendita elimina la possibilità di un confronto dei prezzi che costituisce indubbiamente un importante strumento di tutela del consumatore, rispondente ad una politica di trasparenza nel commercio, risulta lesiva della necessità, più volte evidenziata dalla Corte costituzionale (cfr. le sentenze n. 299 del 19 dicembre 2012, n. 27 del 13 febbraio 2013 , e 68/2013 ) che le normative regionali in materia di commercio si adeguino ai criteri liberalizzazione delle attività commerciali anche in relazione alle disposizioni normative in tema di concorrenza .
La norma regionale quindi eccede dalle competenze regionali risultando invasiva delle competenze esclusive dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di ordinamento civile di cui all’articolo 117, secondo comma , lettere e) ed l) della Costituzione.

4) L’articolo 6, ha modificato l’articolo 19 quinquies L.R. 26/2005, prevedendo, oltre alle già esistenti tipologie, strutture di vendita in forma aggregata:
- medie strutture di vendita adiacenti tra loro, anche verticalmente, o insediate a distanza reciproca inferiore a 120 metri lineari;
- medie strutture di vendita adiacenti tra loro ad una grande struttura di vendita, anche verticalmente o insediate a distanza inferiore a 120 metri lineari da una grande struttura di vendita;
- le grandi strutture di vendita adiacenti. «a loro, anche verticalmente, o insediate a distanza reciproca inferiore a 120 metri lineari.
Le nuove disposizioni, introducendo, di fatto, limitazioni relative alle distanze tra esercizi commerciali, si pone in contrasto con la normativa statale e comunitaria vigente: l’articolo 34 Legge 214/2011 secondo cui “la disciplina delle attività economiche è improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario, che possono giustificare l’introduzione di previ atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo, nel rispetto del principio di proporzionalità”.
Le norme statali, nel recepire le prescrizioni della Direttiva comunitaria 2006/123CE, hanno, difatti abrogato le norme che pongono divieti e restrizioni economiche, vietando in particolare l’imposizione di distanze minime tra localizzazioni delle sedi deputate all’esercizio di un’attività economica.
Nel caso in esame, pertanto, la Regione Toscana, non conformandosi ai principi stabiliti dal legislatore nazionale, ha introdotto nuovamente regole restrittive e discrininatorie, violando l’art 41 e l’art. 117,comma 1 e co.2 lett. e) della Costituzione.
5) L’articolo 16 sostituisce il comma 1 dell’articolo 54 bis (Impianti senza gestore) della legge n. 28/2005 e dispone che, nelle aree montane e insulari, carenti del servizio di distribuzione carburanti, sia consentita l’installazione di nuovi impianti dotati esclusivamente di apparecchiature self service pre-pagamento senza la presenza del gestore a condizione che ne sia garantita un’adeguata sorveglianza secondo le modalità stabilita dal comune.
La norma regionale dunque ha condizionato alla presenza di un’ adeguata sorveglianza la possibilità di installare nuovi impianti dotati esclusivamente di apparecchiature self-service pre-pagamento senza la presenza del gestore anche in aree al di fuori dei centri abitati, seppure per le sole aree montane e insulari, carenti del servizio di distribuzione carburanti.
La norma statale di riferimento è costituita dall’articolo 28, comma 7, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 convertito con la legge 16 luglio 2011, n. 111, come modificato ed integrato dall’art.18, comma 1, del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27. Essa vieta l’imposizione di qualunque limitazione all’installazione degli impianti di self-service senza la presenza del gestore al di fuori dei centri abitati, disponendo che “Non possono essere posti specifici vincoli all'utilizzo di apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato, durante le ore in cui è contestualmente assicurata la possibilità di rifornimento assistito dal personale, a condizione che venga effettivamente mantenuta e garantita la presenza del titolare della licenza di esercizio dell'impianto rilasciata dall'ufficio tecnico di finanza o di suoi dipendenti o collaboratori. Nel rispetto delle norme di circolazione stradale, presso gli impianti stradali di distribuzione carburanti posti al di fuori dei centri abitati, quali definiti ai sensi del codice della strada o degli strumenti urbanistici comunali, non possono essere posti vincoli o limitazioni all'utilizzo continuativo, anche senza assistenza, delle apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato.”.

Pertanto, la disposizione regionale, prevedendo genericamente che gli impianti di distribuzione di carburante in modalità self-service debbano comunque prevedere forme di assistenza, contrasta apertamente con l’obiettivo di liberalizzazione di cui al citato articolo 28, comma 7, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 convertito con la legge 16 luglio 2011, n. 111, come modificato ed integrato dall’art.18, comma 1, del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27 che ha liberalizzato gli impianti completamente automatizzati al di fuori dei centri abitati, determinando quindi la violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza di cui all’articolo articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione.
6) L’articolo 18, che sostituisce il comma 3 dell’articolo 84 (Orario degli impianti di distribuzione dei carburanti) della legge n. 28/2005, impone, durante l’orario di apertura dell’impianto, la contestualità del servizio in modalità servito e in modalità self-service, in contrasto con il dettato dell’articolo 28 del sopra citato d.l. n. 28/2011.
Invero, la norma statale non impone la contestualità del servizio in modalità servito e in modalità self-service, ma dispone che, durante le ore in cui è contestualmente assicurata la possibilità di rifornimento assistito dal personale, non possono essere apposti vincoli all’utilizzo di apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato.
Anche tale previsione, pertanto, risulta in contrasto con l’articolo 28, comma 7 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, configurando, quindi, violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione.

Per questi motivi la legge regionale deve essere impugnata ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.

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