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Modifica alle leggi regionali 8.2.2005, n. 6, art. 202, 3.3.2005, n. 23, art. 21 e 9.11.2005, n. 33 (Iniziative a favore del centro regionale di audiologia) e norme per la formazione di massaggiatore e di capo bagnino degli stabilimenti idroterapici. (4-1-2014)
Abruzzo
Legge n.6 del 4-1-2014
n.3 del 10-1-2014
Politiche socio sanitarie e culturali
/ Rinuncia impugnativa
Con deliberazione del Consiglio dei Ministri in data 7 marzo 2014 è stata impugnata da parte del Governo la legge della Regione Abruzzo n. 6 del 4/1/2014 recante "Modifica alle leggi regionali 8.2.2005, n. 6, art. 202, 3.3.2005, n. 23, art. 21 e 9.11.2005, n. 33 (Iniziative a favore del centro regionale di audiologia) e norme per la formazione di massaggiatore e di capo bagnino degli stabilimenti idroterapici".
E’ stata sollevata questione di legittimità costituzionale in quanto alcune disposizioni della legge regionale presentavano profili di illegittimità costituzionale, in violazione dell'art. 117, 3 comma Cost., nelle materie di "coordinamento della finanza pubblica", “professioni” e “tutela della salute”.
Successivamente la Regione Abruzzo, con la legge regionale n. 38 del 10 novembre 2014 recante “Abrogazione della legge regionale n. 6 del 4.1.2014, recante "Modifica alle leggi regionali8.2.2005, n. 6, art. 202, 3.3.2005, n. 23, art. 21 e 9.11.2005, n. 33 (Iniziative a favore del centro regionale di audiologia) e norme per la formazione di massaggiatore e di capo bagnino degli stabilimenti idroterapici", ha abrogato l'intera legge regionale n. 6 del 4.1.2014 impugnata.
Pertanto, considerato che appaiono venute meno le ragioni che hanno condotto all'impugnativa delle disposizioni considerate illegittime, si ritiene che vi siano i presupposti per la rinuncia al ricorso.
7-3-2014 /
Impugnata
La legge della regione Abruzzo 4 gennaio 2014, n. 6, recante “Modifica alla legge regionale 8 febbraio 2005, n. 6, art. 202, alla legge regionale 3 marzo 2005, n. 23, art. 21 e alla legge regionale 9 novembre 2005, n. 33 (Iniziative a favore del centro regionale di audiologia) e norme per la formazione di massaggiatore e di capo bagnino degli stabilimenti idroterapici”, presenta i profili di illegittimità costituzionale con riferimento all’art. 1, all’art. 3, commi 1, 5, 6, 7, 8 e 9 e all’art.4.
In proposito è opportuno premettere che la Regione Abruzzo, per la quale è stata verificata una situazione di disavanzi nel settore sanitario tale da generare uno squilibrio economico-finanziario che compromette l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, ha stipulato il 6 marzo 2007 un accordo con i Ministri della Salute e dell’Economia e delle Finanze, comprensivo del Piano di rientro dal disavanzo sanitario, che prevede una serie di interventi da attivare nell’arco del triennio 2007-2009 finalizzati a ristabilire l’equilibrio economico e finanziario della Regione nel rispetto dei livelli assistenziali di assistenza, ai sensi dell’art. 1 comma 180, della legge 311 del 2004 (legge finanziaria 2005).
La Regione Abruzzo, non avendo realizzato gli obiettivi previsti dal Piano di rientro nei tempi e nelle dimensioni di cui all’art. 1, comma 180, della legge n. 311/04, nonché dell’intesa Stato – Regioni del 23 marzo 2005, e dai successivi interventi legislativi in materia, è stata commissariata ai sensi dell’art. 4 del decreto legge 1 ottobre 2007, n. 159, in attuazione dell’art. 120 della Costituzione, nei modi e nei termini di cui all’art. 8, comma 1, della legge n. 131/2003.
Nella seduta dell’11 settembre 2008, infatti, il Consiglio dei Ministri ha deliberato la nomina di un Commissario ad acta per la realizzazione del vigente piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario della Regione Abruzzo e nella seduta del 12 dicembre 2009 il Commissario è stato individuato nella persona del Presidente della Regione pro tempore.
Successivamente, ai sensi dell’art. 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, il Commissario ad acta, con la delibera n. 44/2010 del 3 agosto 2010, ha approvato il Programma operativo 2010 (successivamente integrato con la delibera n. 77/2010 del 22 dicembre 2010) con il quale dà prosecuzione al Piano di Rientro 2007-2009”.
Ciò premesso, la legge in esame presenta i seguenti aspetti d’illegittimità costituzionale:
1) l’art. 1, comma 1, lett. a) e b), recante le ‘finalità’ della legge, rende gratuita per l’utenza la fornitura di pile monouso o ricaricabili per gli impianti cocleari, nonché la fornitura di parti di ricambio e di pile monouso o ricaricabili per le protesi a processore impiantabili nell’orecchio medio. L’art. 3, nel descrivere in maniera più dettagliata gli interventi enunciati dalle lett. a) e b) dell’art. 1, prevede, ai commi 1 e 5, che i livelli essenziali delle prestazioni attinenti alla manutenzione, riparazione o sostituzione di parti della componente esterna dell'impianto cocleare stabiliti dall’articolo 6 del D.P.C.M. 5 marzo 2007 (recante “Modifica del D.P.C.M. 29 novembre 2001, recante: «Definizione dei livelli essenziali di assistenza») siano integrati dai seguenti interventi:
- erogazione gratuita, a carico del Servizio sanitario regionale, delle prestazioni concernenti la manutenzione, la riparazione, la sostituzione o aggiornamento tecnologico del sistema di alimentazione per impianto cocleare, ivi ricompresa la fornitura di batterie monouso o ricaricabili (comma 1);
- effettuazione gratuita (oltre che della manutenzione di impianti cocleari di cui al menzionato art. 6 del D.P.C.M. 5 marzo 2007) anche della manutenzione, riparazione, sostituzione o aggiornamento tecnologico di componenti esterne per tutte le protesi a processore digitale impiantabili nell'orecchio medio con codici riconducibili alla tabella già in essere per gli impianti cocleari. comma 5
Con riferimento alle disposizioni regionali sopra menzionate, si rileva che il menzionato art. 6 del d.P.C.M. 5 marzo 2007 prevede tra i livelli essenziali soltanto la manutenzione e la sostituzione di componenti esterne di impianti cocleari, non già delle batterie o dei sistemi di alimentazione, né contempla la manutenzione o sostituzione di impianti diversi da quelli cocleari.
Le disposizioni regionali in esame pertanto, disponendo interventi che esorbitano dalle prestazioni di cui al richiamato D.P.C.M., contrastano con il principio, enunciato anche dalla Corte Costituzionale (con la sentenza n. 104/2013) secondo il quale “l’assunzione a carico del bilancio regionale di oneri aggiuntivi per garantire un livello di assistenza supplementare si pongono in contrasto con gli obiettivi di risanamento del Piano di rientro”. Secondo la Consulta esse violano “il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, quale principio di coordinamento della finanza pubblica e, in definitiva, l’art. 117, terzo comma, Cost.”.
In particolare, il principio di coordinamento della finanza pubblica leso dalle disposizioni regionali in esame, è contenuto nell’articolo 2, commi 80 e 95, della legge n. 191/2009, ai sensi del quale “Gli interventi individuati dal piano di rientro sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro”.
Inoltre, in considerazione del fatto che la regione è sottoposta a commissariamento, la norma regionale in esame viola altresì l’articolo 120 della Costituzione, in quanto interferisce con le attribuzioni del Commissario quale organo del Governo.
A tal riguardo, come più volte precisato da costante giurisprudenza costituzionale, e ribadito anche dalla citata sentenza n. 104/2013, “l’operato del Commissario ad acta, incaricato dell’attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, sopraggiunge all’esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti ad un’attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica. È, dunque, proprio tale dato – in uno con la constatazione che l’esercizio del potere sostitutivo è, nella specie, imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale (art. 32 Cost.), qual è quello alla salute – a legittimare la conclusione secondo cui le funzioni amministrative del Commissario […] devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali» (sentenze n. 28 del 2013 e n. 78 del 2011).
La Consulta ha inoltre aggiunto che “la semplice interferenza da parte del legislatore regionale con le funzioni del Commissario ad acta, come definite nel mandato commissariale, determina di per sé la violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost.» (sentenza n. 28 del 2013; nello stesso senso, sentenza n. 2 del 2010)”.
2) l’art. 1, comma 1, lett. c) e d), prevede la maggiorazione delle tariffe dovute alle strutture sanitarie per le procedure di impianto cocleare e per le procedure di protesi a processore impiantabile nell’orecchio medio, i cui importi sono originariamente stabiliti rispettivamente dai DRG 49 e del DRG 55. Tali disposizioni sono ulteriormente specificate dall’art. 3, commi 6 e 7, che definisce gli importi delle tariffe relative alle procedure di impianto cocleare e alle procedure di impianto di apparecchio acustico elettromagnetico, maggiorandole rispetto a quelle stabilite a livello statale dai DRG 49 e 55. Dette disposizioni, stabilendo un incremento di spesa nel settore sanitario sono incompatibili con la posizione della regione, soggetta al piano di rientro, e con l’impegno, sancito nel piano, a risanare il disavanzo finanziario. Questo principio è sancito dall’articolo 15, commi 15 e 17 del decreto legge n. 95/2012. In particolare, il comma 15 stabilisce che “In deroga alla procedura prevista dall'articolo 8-sexies, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, in materia di remunerazione delle strutture che erogano assistenza ospedaliera ed ambulatoriale a carico del servizio sanitario nazionale, il Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, entro il 15 settembre 2012, determina le tariffe massime che le regioni e le province autonome possono corrispondere alle strutture accreditate, di cui all'articolo 8-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, sulla base dei dati di costo disponibili e, ove ritenuti congrui ed adeguati, dei tariffari regionali, tenuto conto dell'esigenza di recuperare, anche tramite la determinazione tariffaria, margini di inappropriatezza ancora esistenti a livello locale e nazionale”. Il comma 17 del medesimo articolo 15, invece, chiarisce che “gli importi tariffari, fissati dalle singole regioni, superiori alle tariffe massime di cui al comma 15 restano a carico dei bilanci regionali. Tale disposizione si intende comunque rispettata dalle regioni per le quali il Tavolo di verifica degli adempimenti, istituito ai sensi dell'articolo 12 dell'Intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano nella seduta del 23 marzo 2005, abbia verificato il rispetto dell'equilibrio economico-finanziario del settore sanitario, fatto salvo quanto specificatamente previsto per le regioni che hanno sottoscritto l'accordo di cui all'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e successive modificazioni su un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale, per le quali le tariffe massime costituiscono un limite invalicabile”.
Il principio sopra enunciato è ribadito dall’ art. 5, comma 2, del d.m. 18 ottobre 2012 (recante “Remunerazione prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti, assistenza ospedaliera di riabilitazione e di lungodegenza post acuzie e di assistenza specialistica ambulatoriale), attuativo del predetto articolo 15 del decreto-legge n. 95/2012.
Le disposizioni regionali in esame si pongono pertanto in contrasto sia con il principio di coordinamento della finanza pubblica sopra enunciato di cui all’articolo 15, commi 15 e 17, del decreto legge n. 95/2012, sia, più in generale con il principio di coordinamento della finanza pubblica contenuto nell’articolo 2, commi 80 e 95, della legge n. 191/2009, ai sensi del quale “Gli interventi individuati dal piano di rientro sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro”.
Inoltre, in considerazione del fatto che la regione è sottoposta a commissariamento, la norma regionale in esame viola altresì l’articolo 120 della Costituzione, in quanto interferisce con le attribuzioni del Commissario quale organo del Governo per i motivi enunciati sub 1).
3) l’art. 1, comma 1, lett. e) ed f), stabilisce l’erogazione di fondi per il buon funzionamento del centro regionale di audiologia e il riconoscimento di quest’ultimo come centro di riferimento regionale. A tal fine l’art. 3, commi 8 e 9, dispone la sovvenzione di 150.000 euro per il centro regionale di audiologia di Pescara e il riconoscimento del Centro stesso come Centro di riferimento regionale.
Tali disposizioni contrastano con i predetti principi fondamentali della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 2, commi 80 e 95 della legge 191/2009, nonché con le attribuzioni del Commissario ad acta, violando, conseguentemente, l’articolo 117, comma 3 della Costituzione e l’articolo 120 Cost., per i motivi enunciati sub 1).
Ciò anche in considerazione del fatto che la copertura finanziaria delle citate norme regionali viene individuata, ai sensi dell’articolo 5, in una quota parte delle risorse stanziate per il “Finanziamento regionale di parte corrente connesso al Servizio sanitario nazionale”.
4) L’art. 4, disciplina i percorsi formativi di massaggiatore e di capo bagnino degli stabilimenti idroterapici. Il comma 1 prevede che “la Regione Abruzzo provvede alla formazione per l'esercizio dell'arte ausiliaria di massaggiatore e di capo bagnino degli stabilimenti idroterapici di cui alla Legge 23 giugno 1927, n. 1964, recante la Disciplina delle Arti Ausiliarie delle Professioni Sanitarie, ed il R.D. 31 maggio 1928, n. 1334 attraverso l'organizzazione di corsi e delle relative attività didattico formative, nel rispetto del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265”.
Il comma 2 del medesimo articolo, integrato dall’allegato A alla legge regionale, stabilisce il percorso formativo, specificandone la durata, i requisiti necessari per l'accesso alla frequenza dei corsi, i requisiti delle strutture pubbliche e private necessari per ottenere l'autorizzazione ad effettuare i corsi e le modalità di valutazione finale.
La specifica finalità di abilitazione all'esercizio della professione di massaggiatore-capo bagnino degli stabilimenti idroterapici, l’individuazione dei requisiti necessari per la relativa frequenza, e delle modalità di valutazione finale escludono che l’art. 2 in esame sia riconducibile alla materia residuale della «formazione professionale» (come definita dalla sentenza n. 50 del 2005; v. anche le sentenze n. 51 e n. 175 del 2005). E dimostrano che essa si propone invece la finalità – diversa ed ulteriore rispetto a quella propriamente formativa – di disciplinare una specifica figura professionale sociosanitaria, regolandone le modalità di accesso e così incidendo sul relativo ordinamento didattico (cfr. sentenza n. 82 del 1997).
L'impianto generale, il contenuto e lo scopo della legge inducono pertanto a ritenere che il suo oggetto debba essere ricondotto alla materia concorrente delle «professioni» di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, ed in particolare delle professioni sanitarie. Al riguardo si evidenzia che la Corte Costituzionale, con la sentenza n.. 319 del 2005, ha giudicato incostituzionale della legge della Regione Abruzzo 23 gennaio 2004, n. 2, recante “Istituzione corsi di formazione professionale per l'esercizio dell'arte ausiliaria della professione sanitaria di massaggiatore-capo bagnino degli stabilimenti idroterapici” in quanto violava i limiti di competenza regionale in materia di professioni sanitarie. Nell'ambito di tale materia infatti le regioni possono legiferare, ma nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato. Infatti, secondo quanto più volte ribadito dalla Consulta, l’individuazione di nuove figure professionali, dei loro contenuti, dei titoli per accedervi e dei relativi ordinamenti didattici attiene alla definizione dei principi fondamentali in materia di professioni, è riservata alla potestà legislativa dello Stato, mentre alle regioni è consentita solo l’emanazione della normativa di dettaglio nell’ambito della predetta legislazione statale di principio, ed esclusivamente per quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale (si vedano, a titolo di esempio, le sentenze n. 40/2006, n. 222/2008,n. 93/2008, n. 131/2010 della Corte Costituzionale). La Corte Costituzionale ha pertanto sancito inequivocabilmente che “non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali (sentenze n. 300 e n. 57 del 2007, n. 424 e n. 153 del 2006) non rilevando, a tal fine, che esse rientrino o meno nell’ambito sanitario (sentenza n. 355 del 2005)”.
Ciò appare ancora più pregnante nel settore sanitario, dove la materia delle professioni si intreccia inevitabilmente con quella della tutela della salute, anch’essa rientrante nell’ambito della potestà legislativa concorrente, entro la quale lo Stato è chiamato a definire i principi fondamentali.
Appare pertinente, sul punto, quanto sancito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 353/2003, nella quale viene posto in evidenza come, pur nell’evoluzione che la disciplina relativa alle professioni sanitarie ha conosciuto nel corso del tempo, l’individuazione delle figure professionali e la definizione dei relativi profili e ordinamenti didattici sono sempre state rimesse allo Stato.
Rileva infatti la Corte che “già il r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, assoggettava a vigilanza statale, tra l’altro, l’esercizio delle professioni sanitarie e delle "arti ausiliarie delle professioni sanitarie", stabilendo l’obbligo del conseguimento del rispettivo titolo di abilitazione professionale”. La Corte evidenzia inoltre che “dopo l’entrata in vigore della Costituzione la disciplina delle funzioni relative all’esercizio delle professioni sanitarie e delle relative professioni ed arti ausiliarie è stata riservata, ai sensi dell’art. 117, nell’ambito della materia "assistenza sanitaria", alla competenza statale, anziché a quella regionale (cfr. sentenza n. 82 del 1997), da una serie di atti legislativi, tra cui: il d. P.R. 14 gennaio 1972, n. 4, il d. P.R. 24 luglio 1977, n. 616, la legge 23 dicembre 1978, n. 833, il d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112.
In particolare, il d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, all’art. 6, comma 3, riservando alla competenza statale il relativo potere, ha disposto che le figure professionali da formare ed i connessi profili, nonché i rispettivi ordinamenti didattici fossero definiti da apposite disposizioni, secondo un principio che è stato poi confermato dall’art. 124, comma 1, lettera b), del citato d. lgs. n. 112 del 1998, nonché dall’art. 1, comma 2, della legge 26 febbraio 1999, n. 42, il quale ha stabilito che "il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie" è determinabile in base alle specifiche norme istitutive dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario. Infine, la legge 10 agosto 2000, n. 251, ha incluso le diverse figure professionali sanitarie, di cui al citato art. 6, comma 3, del d. lgs. n. 502 del 1992, e successive modificazioni, in distinte fattispecie qualificatorie. A seguito dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione, la disciplina de qua è da ricondurre, come già detto, nell’ambito della competenza concorrente in materia di "professioni", di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione. I relativi principi fondamentali, non essendone stati, fino ad ora, formulati dei nuovi, sono pertanto da considerare quelli, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenze n. 201 del 2003 e n. 282 del 2002), risultanti dalla legislazione statale già in vigore”.
Il giudice delle leggi conclude affermando che “non pare quindi dubbio che, anche oggi, la potestà legislativa regionale in materia di professioni sanitarie debba rispettare il principio, già vigente nella legislazione statale, secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, debba essere riservata allo Stato”.
Con specifico riferimento alle suddette figure del massaggiatore e del capo bagnino negli stabilimenti idroterapici, si deve ribadire che, nonostante la citata legge n. 1264/1927 contempli ancora tali figure, i relativi ordinamenti professionali non possono considerarsi, nella sostanza, definiti, stante l’assenza dei provvedimenti statali di disciplina dei rispettivi ordinamenti didattici. Non può dunque ritenersi ammissibile la regolamentazione differenziata, da parte delle regioni, di una figura professionale che sostanzialmente non è stata definita, ancorché formalmente prevista dalla legge statale.
Ciò è stato evidenziato anche da autorevole giurisprudenza amministrativa. Viene in rilievo, al riguardo, quanto precisato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3410/2013, in base alla quale “a) successivamente alla riforma del Titolo V della Costituzione, nella materia delle professioni, rientrante nella competenza legislativa concorrente, costituiscono principi fondamentali (come tali riservati alla legge statale), la determinazione delle figure professionali e la definizione degli elementi costitutivi e delle modalità formative, per cui non spetta alla legge regionale creare nuove professioni o introdurre diversificazioni in seno all’unica figura professionale disciplinata dalla legge statale […]; coerentemente sono ritenuti lesivi i provvedimenti regionali che regolano ultra vires i percorsi professionali sanitari invadendo la competenza statale (cfr. Cons. Stato, sez, V, 8 luglio 2010, n. 4427); in definitiva, la circostanza che il T.U.L.S. contempli ancora formalmente la figura del massaggiatore – capo bagnino degli stabilimenti idroterapici è irrilevante in assenza di una compiuta disciplina di settore armonicamente ricomposta sui due livelli di competenza previsti dalla Costituzione (statale e regionale)”. Il Consiglio di Stato, inoltre, ha evidenziato come le riforme intervenute nel 1999 (in particolare la l. n. 42 del 1999, che ha trasformato le arti sanitarie ausiliarie in professioni sanitarie attraendo la relativa formazione nell’area del diploma universitario, nonché l’art. 3 octies del d. lgs. n. 502/1992), “dimostrano che le nuove professioni non possono cominciare a vivere nell’ordinamento se manca l’individuazione dei profili che le caratterizzano e la descrizione dei relativi percorsi formativi”.
Peraltro, ad ulteriore dimostrazione di come, nel settore sanitario, le esigenze di unitarietà nella disciplina delle professioni assumano carattere di particolare importanza, si ritiene opportuno richiamare la legge n. 43/2006, che prevede, ai fini dell’individuazione di nuove figure professionali, nell’ambito delle aree professionali sanitarie già individuate a livello statale, una procedura molto complessa che implica anche il coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni e il necessario parere tecnico-scientifico del Consiglio superiore di sanità.
Si ritiene, pertanto, che l’articolo 4 della legge regionale in esame, nel disciplinare il percorso formativo per l’esercizio dell’arte ausiliaria di massaggiatore e di capo bagnino, contrasta con la richiamata legislazione statale in materia di “professioni” e di “tutela della salute”, e conseguentemente viola l’articolo 117, comma 3, della Costituzione.
Per i motivi esposti le disposizioni sopra indicate debbono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art.127.
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