Dettaglio Legge Regionale

Norme per il governo del territorio. (10-11-2014)
Toscana
Legge n.65 del 10-11-2014
n.53 del 12-11-2014
Politiche infrastrutturali
24-12-2014 / Impugnata
La legge della Regione Toscana n. 65/2014, recante «Norme per il governo del territorio», presenta profili di illegittimità costituzionale in riferimento agli articoli 25, 26, 27, 207 e 208 e deve pertanto essere impugnata ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione per i motivi di seguito specificati.

1) Gli articoli 25, 26 e 27, che riguardano l’approvazione di previsioni urbanistiche in materia di medie e grandi strutture di vendita, riproducono meccanismi di tutela degli esercizi di vicinato che costituiscono un ostacolo effettivo alla libera concorrenza della regione Toscana e pertanto, ponendosi in contrasto con le norme di liberalizzazione contenute agli articoli 31 del d.l. n. 201/2011 e all’articolo 1, comma 1, del d.l. n. 1/2012, violano l’articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione.
In particolare, le disposizioni citate prevedono il ricorso alla conferenza di copianificazione nell’ambito della pianificazione di nuovi impegni di suolo esterni al perimetro urbanizzato (art. 25), e per l’approvazione delle previsioni “…di aggregazioni di medie strutture di vendita aventi effetti assimilabili a quelli delle grandi strutture” (art. 26, co. 1, lett. a e b). L’articolo 27 chiarisce che “le previsioni di medie strutture di vendita che comportano impegno di suolo non edificato al di fuori del perimetro del territorio urbanizzato sono soggette alla conferenza di copianificazione qualora risultino: a) non inferiori a 2.000 mq di superficie di vendita per i comuni di cui all’articolo 15, comma 1, lettera e) numero 2) della legge regionale n. 28 del 2005; b) non inferiori a 1.000 mq di superficie di vendita per i comuni diversi da quelli di cui all’articolo 15, comma 1, lettera e) numero 2)”,
La conferenza di copianificazione verifica dette previsioni tenendo conto, de “a) la capacità di assorbimento, da parte dell'infrastrutturazione stradale e ferroviaria presente nel territorio del comune e in quello dell'ambito di interesse sovracomunale, del carico di utenze potenziali connesso al nuovo esercizio; b) il livello di emissioni inquinanti, comprensivo dell'incremento dovuto alla movimentazione veicolare attesa dalla nuova struttura di vendita; c) la sostenibilità rispetto alla tutela del valore paesaggistico dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'Organizzazione delle Nazioni unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) (….); d) le conseguenze attese sulla permanenza degli esercizi commerciali di prossimità, al fine di garantire i servizi essenziali nelle aree più scarsamente popolate; e) le conseguenze attese sui caratteri specifici e sulle attività presenti nei centri storici compresi nell'ambito sovracomunale, e le necessarie garanzie di permanenza delle attività commerciali d'interesse storico, di tradizione e di tipicità” (art. 26, comma 2). In base al comma 5 dell’articolo 25, all’esito di questa verifica la conferenza di copianificazione “indica gli eventuali interventi compensativi degli effetti introdotti sul territorio”.
Tali disposizioni, pur se relative a motivazioni di tipo urbanistico, aggravano il procedimento autorizzatorio per le medie strutture di vendita in forma aggregata, anche attraverso la previsione di interventi compensativi, creando, di fatto, ulteriori tipologie di strutture commerciali.
Attraverso le disposizioni citate, la Regione Toscana tutela gli esercizi di vicinato con sistemi che la Commissione europea ha, a più riprese, chiesto di sostituire con strumenti alternativi di qualificazione dei centri urbani o delle aree a scarsa densità di popolazione. Analoghi profili di illegittimità costituzionale sono stati recentemente riscontrati con riferimento all’articolo 20 della legge regionale n. 52 del 2012, ritenuto in contrasto con le norme di liberalizzazione contenute nel d.l. n. 201/2011 e poi dichiarato incostituzionale con sentenza n. 165/2014.
La disciplina introdotta dalle disposizioni impugnate non è in linea con quanto affermato nella sentenza n. 165/2014: l’introduzione di requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legislazione vigente in considerazione delle dimensioni e della tipologia dell’esercizio commerciale rappresentano un ostacolo effettivo alla libera concorrenza della regione Toscana, sotto un duplice profilo, regionale e intra-regionale. Nel caso di specie, dette restrizioni derivano anche dalla distanza tra le varie strutture di vendita, come è insito dal richiamo al concetto di “aggregazione”. Si tratta di restrizioni che non sono adeguate né proporzionate rispetto alle finalità perseguite, che si pongono in contrasto con la direttiva 2006/123 CE e con l’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201/2011. Pertanto, oltre a contrastare con l’art. 117, comma 1, della Costituzione, invadono la potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, e quindi violano l’articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione.

2) Gli articoli 207, 208 si pongono in contrasto con la normativa statale di principio contenuta nella Parte I, Titolo IV, del D.P.R. n. 380/2001 (Testo unico dell’edilizia), e quindi violano l’articolo 117, comma 3, della Costituzione, con riferimento alla materia “governo del territorio”. Inoltre, incidendo sul sistema di sanzioni civili e penali previste dal medesimo Testo unico dell’edilizia, invadono la potestà legislativa esclusiva statale nella materia “ordinamento civile e penale” e dunque violano l’art. 117, comma 2 della Costituzione. In particolare:

2.1.) L’articolo 207 (“Sanzioni per opere ed interventi edilizi abusivi anteriori al 1° settembre 1967”) prevede, al comma 1, che “con riferimento alle opere ed interventi edilizi eseguiti ed ultimati in data anteriore al 1° settembre 1967 …. in assenza di titolo abilitativo o in difformità dal medesimo, ricadenti all’epoca all’interno della perimetrazione dei centri abitati, il comune valuta prioritariamente la sussistenza dell’interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica violata mediante rimessione in pristino. Qualora il comune valuti che tale interesse sussista, applica, a seconda dei casi, le sanzioni di cui agli articoli 196, 199, 200 e 206”. Al comma 2, la disposizione disciplina l’ipotesi in cui, per le opere edilizie di cui al comma 1, il comune non ravvisi la sussistenza dell’interesse pubblico alla rimessione in pristino. La lettera a) del comma 1 prevede che, per le opere in contrasto con gli strumenti urbanistici comunali, il comune applichi una sanzione pecuniaria, oltre ai contributi disciplinati dal Capo I del Titolo VII. Per le opere e gli interventi conformi agli strumenti urbanistici comunali, oltre ai suddetti contributi, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria non superiore ad euro 500. Il comma 3 prevede che “La corresponsione delle somme di cui al comma 2 non determina la legittimazione dell’abuso”.
Al comma 4 la norma disciplina l’ipotesi degli interventi eseguiti in data anteriore al 1° settembre 1967, in assenza di titolo abilitativo o in difformità dal medesimo, qualora ricadenti all’epoca della realizzazione dell’abuso al di fuori del centro abitato. Detti interventi “sono da considerarsi consistenze legittime dal punto di vista urbanistico-edilizio”. Infine, il comma 7 del medesimo articolo 207 prevede che “Il piano operativo può assoggettare a specifica disciplina le consistenze edilizie oggetto delle sanzioni di cui al comma 2. In assenza di specifica disciplina su tali consistenze non sono consentiti interventi comportanti demolizione e ricostruzione, mutamento della destinazione d’uso, aumento del numero delle unità immobiliari, incremento di superficie utile di volume”.
La disposizione impugnata si appalesa sotto più aspetti in contrasto con la normativa statale di principio in materia di governo del territorio e di ordinamento penale, in quanto, per gli abusi edilizi realizzati in data anteriore al 1° settembre 1967, limita l’applicazione delle sanzioni previste dagli articoli 196, 199, 200 e 206 della l.r. n. 65/2014 agli interventi “ricadenti all’epoca all’interno dei centri abitati” e per i quali il comune “ritenga prioritariamente la sussistenza dell’interesse pubblico al ripristino della legalità violata mediante rimessione in pristino”. Dal combinato disposto dei commi 1, 2, 4 e 7, infatti, si evince che dette sanzioni non trovano applicazione neppure per interventi abusivi realizzati fuori dai centri abitati (che anzi sono definiti consistenze “da considerarsi legittime dal punto di vista urbanistico-edilizio”). Ciò in palese contrasto con gli articoli 27 (“Vigilanza sull’attività urbanistico edilizia”), 31 “Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”; 33 “Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità”, 34 “Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire” e 37 “Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità” del d.P.R. n. 380/2001, che, come noto, configurano l’esercizio del potere comunale di vigilanza e repressione degli abusi edilizi come un obbligo, e non come una facoltà. E’ consolidato il principio per cui laddove vengano accertate irregolarità edilizie il dirigente comunale è obbligato ad adottare i provvedimenti repressivi e sanzionatori, non essendo necessario che ricorrano ragioni di pubblico interesse. Ciò per una precisa scelta del legislatore, che non ha previsto un termine di decadenza o di prescrizione per l’esercizio dei poteri di repressione degli abusi edilizi del comune e, al tempo stesso, ha previsto che le sanzioni amministrative in materia, essendo volte essenzialmente a reintegrare l’interesse pubblico leso, non possono estinguersi per effetto del decorso del tempo. Il sistema sanzionatorio descritto nel testo unico è volto a garantire il primario interesse di tutela del territorio ed eccede dalla competenza legislativa concorrente della Regione in materia di “governo del territorio” la possibilità di porre un limite all’esercizio di questo potere. Peraltro, l’articolo 31 del testo unico prevede che, nel caso di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, laddove il proprietario non provveda alla demolizione o al ripristino, “il bene e l’area di sedime sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio comunale”, e ciò a prescindere da ogni accertamento dell’interesse pubblico all’esercizio del sistema sanzionatorio.
Sulla base di un accertamento del tutto discrezionale e non previsto dalla normativa statale “dell’interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica violata”, la disposizione regionale censurata non solo non prevede né la demolizione né l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive, ma addirittura consente, al comma 7, che i piani operativi possano assoggettare dette consistenze a specifica disciplina, consentendo anche su immobili abusivi “interventi comportanti demolizione e ricostruzione, mutamento della destinazione d’uso, aumento del numero delle unità immobiliari, incremento di superficie utile lorda o di volume”.
Per le opere o gli interventi edilizi realizzati anteriormente al 1° settembre 1967 fuori dai centri abitati, gli interventi previsti dal comma 7 sono sempre consentiti e l’esercizio del potere repressivo previsto dagli articoli 196, 199, 200 e 206 della l.r. n. 65/2014 non è previsto, in spregio dei principi di imparzialità, uguaglianza e buon andamento. Inoltre, vista la formulazione del comma 4 (secondo cui questi interventi sono da considerarsi “consistenze legittime del punto di vista urbanistico-edilizio”) per detti abusi non sembrerebbero applicabili nemmeno le sanzioni penali e civili previste dal d.p.r. n. 380/2001, in palese invasione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia “ordinamento civile e penale” (art. 117, comma 2, lettera l).
La previsione di cui al comma 7 si pone in contrasto anche con l’art. 5, commi 9 e 10, del d.l. n. 70/2011, che non consente gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli ampliamenti per gli edifici abusivi, con esclusione degli interventi per cui sia rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria.
La disposizione impugnata, pur affermando, al comma 3, che “la corresponsione delle somme di cui al comma 2 non determina la corresponsione dell’abuso”, sembra introdurre una surrettizia forma di condono, andando così ad invadere la competenza legislativa statale. La disposizione di cui al comma 3, sembrerebbe essere volta solo a fare salve le sanzioni penali (peraltro, come detto, solo nel caso di immobili realizzati nei centri abitati), ma è chiaro che, nella sostanza, la norma consente di legittimare, sotto il profilo urbanistico ed edilizio, interventi abusivi, sottraendoli all’esercizio delle sanzioni amministrative previste dagli articoli 196, 199, 200 e 206 e consentendo ai piani operativi di disciplinare interventi di ampliamento su questi immobili (interventi che, peraltro, sembrerebbero ammessi anche in deroga dai piani operativi nelle ipotesi previste dal comma 4). Occorre ricordare che i condoni straordinari sono stati previsti dalla legislazione statale per gli abusi più risalenti, proprio al fine di chiudere con il passato per instaurare un regime di maggior rigore nei controlli e nelle sanzioni in materia edilizia e che la sanatoria straordinaria delle opere abusive è sottratta alla potestà legislativa regionale.
La Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 225/2012 (punto 3 del Considerato in diritto, ha chiarito che: “nella disciplina del condono edilizio convergono la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di sanzionabilità penale e la competenza legislativa concorrente in tema di governo del territorio di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (sentenze n. 49 del 2006 e n. 70 del 2005)” e, soprattutto, che “è stata ritenuta di stretta interpretazione, in quanto espressione di principio generale afferente ai limiti della sanatoria, l’individuazione da parte della legge dello Stato delle fattispecie ad essa assoggettabili, di modo che le stesse non possono essere comunque ampliate o interpretate estensivamente dalla legislazione regionale. Per questo motivo risulta pienamente conforme al dettato costituzionale l’art. 32, comma 27, del d.l. n. 269 del 2003, contenente la previsione tassativa delle tipologie di opere insuscettibili di sanatoria, la quale determina, in pratica, i limiti del condono, entro il cui invalicabile perimetro può esercitarsi la discrezionalità del legislatore regionale (sentenza n. 70 del 2005)”. Sul punto, si veda anche la sentenza n. 290/2009, secondo cui “Questa Corte ha già riconosciuto che “solo alla legge statale compete l'individuazione della portata massima del condono edilizio straordinario” (sentenza n. 70 del 2005; sentenza n. 196 del 2004), sicché la legge regionale che abbia per effetto di ampliare i limiti applicativi della sanatoria eccede la competenza concorrente della Regione in tema di governo del territorio”. La Regione Toscana, con la previsione impugnata, travalica i limiti indicati dalla Corte costituzionale, in quanto il mero riferimento all’interesse pubblico al ripristino alla legalità urbanistica violata consente al comune, per gli immobili abusivi realizzati prima del 1967, di disporre effetti sostanzialmente analoghi a quelli di un condono, che consistono nella non applicazione delle sanzioni amministrative della demolizione e dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, anche al di là dei casi che la legge statale aveva individuato per i condoni straordinari (il cui termine, peraltro, è ormai inevitabilmente chiuso).
Conclusivamente, la disposizione regionale censurata, ponendosi in contrasto con i principi fondamentali dello Stato in materia di governo del territorio contenuti nel d.p.r. 380/2001 sopra richiamati, con le norme contenute nel d.l. 70/2011 in tema di interventi in deroga, con le disposizioni in materia di sanzioni civili e penali previste dal suddetto d.p.r. n. 380/2001 in tema di reati edilizi, viola l’art. 117, comma 2, lett. s) e 117, comma 3 della Costituzione.

2.2) Considerazioni analoghe a quelle formulate al punto precedente, con riferimento all’articolo 207 della legge regionale n. 65/2014, valgono anche per l’articolo 208 della stessa legge, che ripropone disposizioni analoghe per opere ed interventi edilizi abusivi anteriori al 17 marzo 1985, soltanto che, a differenza della norma precedente, in questo caso non è fatta alcuna distinzione tra le opere eseguite all’interno o all’esterno del perimetro dei centri abitati.

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