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Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) – Collegato 2015 (30-12-2014)
Lombardia
Legge n.35 del 30-12-2014
n.53 del 31-12-2014
Politiche ordinamentali e statuti
/ Rinuncia parziale
RINUNCIA PARZIALE
La legge della Regione Lombardia n. 35/2014 recante: "Disposizioni per l'attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell'articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) - Collegato 2015", è stata oggetto di impugnazione governativa, giusta delibera del Consiglio dei Ministri del 20/02/2015 per vari profili di illegittimità.
Tra le varie disposizioni impugnate si censurava l'articolo 1, comma 1, lettera a), che sostituisce l'articolo 18 della legge regionale 27 giugno 2008, n. 19 (Riordino delle comunità montane della Lombardia, disciplina delle unioni di comuni lombarde e sostegno all'esercizio associato di funzioni e servizi comunali).
Tale disposizione prevede che " 1. Le unioni di comuni lombarde sono costituite tra comuni per l'esercizio associato di funzioni e servizi. 2. Le unioni di comuni esercitano in gestione associata, per tutti i comuni che le compongono, almeno cinque delle funzioni di cui all'articolo 14, comma 27, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 ".
La norma è illegittima nella parte in cui prevede l'esercizio in forma associata di "almeno cinque" funzioni fondamentali atteso che la legislazione statale, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica ed il contenimento delle spese, ha invece fissato l'obbligo di gestione associata di tutte le funzioni fondamentali.
Le disposizioni statali, inoltre, fissano un limite temporale per la "messa a fattor comune" delle funzioni fondamentali, prevedendo il termine del 31 dicembre 2014 (attualmente oggetto di proroga al 31 dicembre 2015, in sede di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192) e l'esercizio di un potere sostitutivo del Governo, preceduto da un intervento di diffida da parte del Prefetto in caso di inutile decorso del suddetto termine (art. 14, comma 31-quater, d.l. n. 78/2010).
La norma regionale prescinde, invece, da qualsivoglia termine, lasciando privo il precetto normativo di qualsiasi cogenza.
In definitiva, si tratta di un legittimo esercizio della potestà statale concorrente in materia di "coordinamento della finanza pubblica", ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost.
La Regione Lombardia, successivamente, con legge regionale n. 20/2015, recante: 'Legge di semplificazione 2015 - Ambiti istituzionale ed economico", assentita dal Governo nella seduta del Consiglio dei Ministri del 6 agosto 2015, ha inteso recepire i rilievi governativi disponendo, all'articolo 4 (Modifiche all'art. 18 della l.r. 19/2008) - come già sostituito, appunto dall'art. 1, comma 1, lettera a) della l.r. n. 35/2014 impugnata - che, al comma 2 stabilisce: "Fermo restando il rispetto della disciplina statale relativa alla gestione associata obbligatoria tra comuni, i comuni che aderiscono ad un'unione di comuni lombarda esercitano in gestione associata, almeno cinque delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 14, comma 27 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122".
Atteso il parere favorevole del Ministero dell'Interno, sussiste il presupposto per la rinuncia parziale all'impugnazione della legge regionale della Lombardia n. 35/2014, limitatamente all'articolo 1 citato.
Permangono tuttora validi, invece, gli altri motivi di impugnativa relativi all'articolo 6 della L.r. n. 35/2014, di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 20 febbraio 2015.
20-2-2015 /
Impugnata
La legge regionale in esame reca disposizioni per l'attuazione della programmazione economica-finanziaria regionale, ai sensi dell'articolo 9-ter della legge regionale n. 34/1978 recante: "Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione", modificando leggi regionali inerenti diverse materie.
L’articolo 6, comma 1, lettere a), c) ed f), della legge regionale in oggetto, dettando disposizioni difformi dalla normativa statale di riferimento afferente alla materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e alla materia della tutela della concorrenza per la quale lo Stato ha competenza legislativa esclusiva,si pone in contrasto con i principi generali previsti dalla normativa europea in materia di libera concorrenza, violando l’art. 117, primo e secondo comma, lettere e) ed s) della Costituzione, nonché i principi fondamentali in materia di produzione, trasporto e distribuzione di energia di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione.
In particolare :
1) L'articolo 6, comma 1, lettera a), inserisce il comma 3 bis all'articolo 14 della lr. 26/2003, prevedendo che “Ai fini dell'applicazione di quanto previsto dall'articolo 35, comma 6, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, nel rispetto della programmazione regionale dei flussi dei rifiuti urbani, nonché dell'obiettivo di autosufficienza per il recupero e smaltimento degli stessi sul territorio regionale, con il termine "rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale" si intendono anche i rifiuti decadenti dal trattamento dei rifiuti urbani”.
Tale previsione normativa si pone in contrasto con la disciplina nazionale di riferimento, prevista dal D.Lgs. 152/2006, in quanto la legge regionale de qua introduce aprioristicamente nella categoria dei “rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale” indistintamente tutti i rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani. Al tal riguardo si deve evidenziare che quest’ultimi ben potrebbero essere ricompresi nella categoria dei rifiuti speciali o secondo le caratteristiche di pericolosità, in quella dei rifiuti pericolosi e non pericolosi ai sensi di quanto compiutamente disciplinato dall’articolo 184 del D.Lgs. da ultimo citato. Ai fini che qui rilevano, infatti, il medesimo articolo al comma 3 , lett. g) introduce, nella classificazione dei rifiuti speciali, “i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi”.
Tale distinzione, dunque, deve essere effettuata attraverso una valutazione caso per caso e non operabile in astratto come, invece, compie illegittimamente la Regione.
2) L'articolo 6, comma 1, lettera a), che inserisce il comma 3 ter all'art 14 lr. 26/2003,
prevede che “Il contributo previsto dall'articolo 35, comma 7, del d.l. 133/2014 convertito dalla L. 164/2014, è determinato nella misura di 20,00 euro per ogni tonnellata di rifiuto urbano indifferenziato (codice CER 200301) di provenienza extraregionale, trattato in impianti di recupero energetico. Il trattamento è da attuarsi previo accordo tra le regioni interessate”.
Tale disposizione introduce illegittimamente un vincolo, non previsto dal legislatore nazionale, per il trattamento dei rifiuti destinati al recupero energetico.
Il decreto- legge 133/2014 all’articolo 35, comma 7, dispone, infatti, che “Nel caso in cui in impianti di recupero energetico di rifiuti urbani localizzati in una regione siano smaltiti rifiuti urbani prodotti in altre regioni, i gestori degli impianti sono tenuti a versare alla regione un contributo, determinato dalla medesima, nella misura massima di 20 euro per ogni tonnellata di rifiuto urbano indifferenziato di provenienza extraregionale. Il contributo, incassato e versato a cura del gestore in un apposito fondo regionale, è destinato alla prevenzione della produzione dei rifiuti, all'incentivazione della raccolta differenziata, a interventi di bonifica ambientale e al contenimento delle tariffe di gestione dei rifiuti urbani. Il contributo è corrisposto annualmente dai gestori degli impianti localizzati nel territorio della regione che riceve i rifiuti a valere sulla quota incrementale dei ricavi derivanti dallo smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale e i relativi oneri comunque non possono essere traslati sulle tariffe poste a carico dei cittadini”.
La norma nazionale sopra citata non prevede alcun accordo interregionale per il trattamento di rifiuti urbani in impianti in grado di effettuare recupero ambientale; pertanto, la legge regionale in esame subordinando l’attuazione di tale trattamento ad un accordo tra le regioni interessate frappone ostacoli alla praticabilità dello stesso, in assenza di alcuna competenza del legislatore regionale al riguardo.
Infine, si rileva una disparità di trattamento tra i suddetti impianti collocati in altre regioni, rispetto a quelli situati nel territorio lombardo, in quanto quest’ultimi potranno ricevere conferimenti extraregionali solo dopo che la regione di produzione e quella di destinazione avranno siglato l’accordo, potendo pregiudicare, tra l’altro- qualora l’accordo non avesse esito positivo-“ il conseguimento della finalità di consentire lo smaltimento di tali rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini”, introducendo “addirittura, in contrasto con l’art. 120 della Costituzione, un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le regioni (così la recente sentenza del Consiglio di Stato, 19 febbraio 2013 n. 993).
Ai fini che qui rilevano, lo stesso Consiglio di Stato, nella medesima sentenza, afferma che “anche alla luce della normativa comunitaria, il rifiuto è pur sempre considerato un "prodotto", in quanto tale fruente, in via di principio e salvo specifiche eccezioni, della generale libertà di circolazione delle merci”.
3) L'articolo 6, comma 1, lettera c), che sostituisce il comma 4 dell’art. 53-bis della L. n. 26/2003, dispone che la Giunta possa consentire la prosecuzione temporanea delle concessioni idroelettriche in scadenza al 2017, da parte del concessionario uscente.
Premesso che la normativa statale di riferimento, ossia il D.Lgs. 79/99 pone quale principio informatore generale in materia a cui le Regioni , anche nell’esercizio del potere legislativo concorrente in materia di energia , devono attenersi, l’obbligo di svolgere le gare, la norma si presenta costituzionalmente illegittima laddove attribuisce a un organo regionale la potestà discrezionale di far proseguire l’esercizio di una concessione oltre la sua originaria scadenza. Essa infatti va così a violare la competenza esclusiva statale in materia di concorrenza, che spetta nella sua interezza alla competenza esclusiva dello Stato medesimo ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e) Cost., considerato che la prosecuzione di concessioni in essere è suscettibile alterare i principi del libero mercato, oltre a porsi in contrasto con il descritto principio fondamentale in materia di produzione trasporto e distribuzione di energia, in violazione quindi dell’art. 117, comma 3, della Costituzione.
4) L'articolo 6, comma 1, lettera f), che introduce il comma 5 bis all'art 53bis della lr. 26/2003, detta disposizioni in contrasto con il principio della libera concorrenza.
Tale disposizione prevede che “Il canone aggiuntivo di cui al comma 5 costituisce corrispettivo per il beneficio ottenuto dal godimento, da parte del soggetto cui è consentita la prosecuzione temporanea, della derivazione dell'acqua pubblica, nonché dell'esercizio delle opere e dei beni afferenti alla concessione oltre il termine di scadenza della medesima. Il corrispettivo è stabilito in rapporto alla rendita conseguita dal soggetto di cui al primo periodo per la prosecuzione temporanea di cui al comma 4. Ai fini del presente articolo si applicano le seguenti definizioni: a) rendita, quale differenza tra ricavo e costo; b) ricavo, quale prodotto tra il prezzo di vendita dell'energia comprensivo di eventuali incentivi e la quantità venduta; c) costo, formato dalla somma dei costi operativi e di ammortamento, di remunerazione del capitale, degli oneri, canoni e tasse”.
La norma regionale, nella parte in cui aggiunge un canone aggiuntivo come “corrispettivo per il beneficio ottenuto dal godimento, da parte del soggetto cui è consentita la prosecuzione temporanea, della derivazione dell'acqua pubblica, nonché dell'esercizio delle opere e dei beni afferenti alla concessione oltre il termine di scadenza”, contrasta con quanto previsto dal D.Lgs. 79/1999. Il legislatore statale, infatti, ha dettato una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale in materia di concessioni idroelettriche, prevista all’articolo 12, comma 8 –bis, del Decreto da ultimo citato che dispone “Qualora alla data di scadenza di una concessione non sia ancora concluso il procedimento per l’individuazione del nuovo concessionario, il concessionario uscente proseguirà la gestione della derivazione, fino al subentro dell’aggiudicatario della gara, alle stesse condizioni stabilite dalle normative e dal disciplinare di concessione vigenti”.
L’imposizione di detto canone, pertanto, contraddice in maniera illegittima il principio comunitario della libera concorrenza, in quanto incide negativamente sui gestori operanti nel territorio della Lombardia rispetto a quelli di altre regioni.
Recentemente lo stesso legislatore statale, con il decreto legge n. 83/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 134/2012, è intervenuto su tale argomento disponendo che “Al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale delle attività di generazione idroelettrica e parità di trattamento tra gli operatori economici, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, secondo principi di economicità e ragionevolezza, da parte delle regioni, di valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico”.
La Corte Cost., nella sentenza 28/2014, in merito all’art. 37, comma 7, del citato decreto-legge, evidenzia che tali disposizioni “mirano ad agevolare l’accesso degli operatori economici al mercato dell’energia secondo condizioni uniformi sul territorio nazionale, regolando le relative procedure di evidenza pubblica con riguardo alla tempistica delle gare e al contenuto dei relativi bandi (commi 4, 5, 6 e 8), nonché all’onerosità delle concessioni messe a gara (comma 7). Tali norme – al pari di quelle che disciplinano «l’espletamento della gara ad evidenza pubblica» per i casi di scadenza, decadenza, rinuncia o revoca di concessione di grande derivazione d’acqua per uso idroelettrico (sentenza n. 1 del 2008) – rientrano nella materia «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.)”.
5) L’articolo 6, comma 1, lett. f), introduce dopo il comma 5bis, il comma 5-ter all'articolo 53bis della l.r. n. 26/2003, che prevede che: “Le disposizioni di cui al comma 5-bis si applicano anche alle prosecuzioni temporanee in essere alla data di entrata in vigore della legge recante "Disposizioni per l'attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell'articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) - Collegato 2015", a decorrere dalla data di scadenza delle rispettive concessioni di grande derivazione d'acqua pubblica”.
Il pagamento del canone aggiuntivo, come introdotto dal precedente comma 5 bis, è applicato anche per le annualità passate, successive alla data di scadenza; prevedendo quindi un’applicazione retroattiva del canone stesso, tale norma, oltre a essere fortemente afflittiva per il gestore nella pianificazione della propria attività, contrasta altresì con il principio fondamentale dell’ordinamento dell’irretroattività della legge ex art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, in specie per le norme impositive di prestazioni patrimoniali.
6) L'articolo 1, che sostituisce l’articolo 18 della legge regionale 27 giugno 2008, n. 19 (Riordino delle comunità montane della Lombardia, disciplina delle unioni di comuni lombarde e sostegno all’esercizio associato di funzioni e servizi comunali) al comma 1 lettera a) prevede che “ 1.Le unioni di comuni lombarde sono costituite tra comuni per l’esercizio associato di funzioni e servizi. 2. Le unioni di comuni esercitano in gestione associata, per tutti i comuni che le compongono, almeno cinque delle funzioni di cui all’articolo 14, comma 27, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 ”.
La norma è illegittima nella parte in cui prevede l’esercizio in forma associata di “almeno cinque” funzioni fondamentali atteso che la legislazione statale, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica ed il contenimento delle spese, ha invece fissato l’obbligo di gestione associata di tutte le funzioni fondamentali.
Infatti, l’articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, come integralmente sostituito dall’articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, prevede che i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti – ovvero fino a 3.000 se appartenenti a comunità montane – esercitino le funzioni fondamentali obbligatoriamente in forma associata, mediante unione o convenzione, escluse le sole funzioni di competenza statale (stato civile, anagrafe, elettorale).
Le disposizioni statali, inoltre, fissano un limite temporale per la “messa a fattor comune” delle funzioni fondamentali, prevedendo il termine del 31 dicembre 2014 (attualmente oggetto di proroga al 31 dicembre 2015, in sede di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192) e l’esercizio di un potere sostitutivo del Governo, preceduto da un intervento di diffida da parte del Prefetto in caso di inutile decorso del suddetto termine (art. 14, comma 31-quater, d.l. n. 78/2010).
La norma regionale prescinde, invece, da qualsivoglia termine, lasciando privo il precetto normativo di qualsiasi cogenza.
Sulla materia è recentemente intervenuta la Corte Costituzionale ha chiarito che le norme di cui all’art. 19 comma 1, lett. a), b), c), d), e) del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, “risultano decisamente orientate ad un contenimento della spesa pubblica, creando un sistema tendenzialmente virtuoso di gestione associata di funzioni ( e, soprattutto, quelle fondamentali) tra Comuni, che mira ad un risparmio di spesa sia sul piano dell’organizzazione “amministrativa”, sia su quello dell’organizzazione “politica”, lasciando comunque alle regioni l’esercizio contiguo della competenza materiale ad essa costituzionalmente garantita, senza peraltro, incidere in alcun modo sulla riserva del comma quarto dell’art. 123 Cost. In definitiva, si tratta di un legittimo esercizio della potestà statale concorrente in materia di “coordinamento della finanza pubblica”, ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost.” (Sentenza n. 22 del 2014).
Per i suesposti motivi si ritiene, pertanto, di promuovere le questione di legittimità costituzionale della legge regionale dinanzi alla Corte Costituzionale.
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