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Modifiche alle leggi regionali 5 aprile 2012, n. 12 (Testo unico sulla disciplina dell’attività estrattiva), 21 giugno 1999, n. 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia), 4 agosto 2006, n. 20 (Nuovo ordinamento dell’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure) e 2 dicembre 1982, n. 45 (Norme per l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di competenza della regione o di enti da essa individuati, delegati o subdelegati). (6-3-2015)
Liguria
Legge n.6 del 6-3-2015
n.7 del 11-3-2015
Politiche infrastrutturali
29-4-2015 /
Impugnata
Con la legge regionale 6 marzo 2015, la Regione Liguria reca modifiche alle leggi regionali 5 aprile 2012, numero 12 (Testo unico sulla disciplina dell'attività estrattiva), 21 giugno 1999, numero 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia), 4 agosto 2006, numero 20 (Nuovo ordinamento dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ligure) e 2 dicembre 1982, numero 45 (Norme per l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di competenza della Regione o di enti da essa individuati, delegati o subdelegati)”.
Essa presenta profili di illegittimità costituzionale in relazione alle sotto elencate disposizioni, per i motivi di seguito specificati :
1) L’art. 3, comma 1 , modifica l’articolo 4 della l.r. 12/2012, concernente il Piano Territoriale Regionale delle Attività di Cava , stabilendo che l'approvazione del Piano tenga conto, tra l’altro, di un criterio di razionalizzazione dello sfruttamento dei giacimenti esistenti mediante ampliamento delle attività estrattive in corso o dismesse, entro i limiti di natura paesaggistica stabiliti “in raccordo con la relativa pianificazione territoriale”.
La modifica apportata sostituisce la disposizione che impone la coerenza con il Piano territoriale di coordinamento paesistico del Piano territoriale regionale dell’attività di cava con la previsione, più blanda e tenue, di un mero “raccordo” tra i due strumenti di pianificazione, con l’evidente conseguenza che tale previsione sminuisce inammissibilmente la prevalenza gerarchica del Piano paesaggistico – affermata dall’ articolo 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lgs n. 42/2004 s.m.i.- rispetto al sottordinato Piano dell’attività di cava, ammettendo che tale ultimo strumento possa semplicemente raccordarsi con il Piano paesaggistico e, dunque, possa presentare anche profili di incoerenza rispetto a tale livello sovraordinato di pianificazione.
La predetta previsione si pone in netto contrasto con il citato art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio e, suo tramite, con l’art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione.
2) L'articolo 4, comma 1, modifica il comma 1 dell'articolo 5 della l.r. 12/2012 relativo Formazione ed approvazione del Piano territoriale regionale dell’attività di cava, sopprimendo le parole "corredato dal rapporto ambientale redatto sulla base del rapporto preliminare ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e successive modificazioni ed integrazioni" dal testo originale che recitava: " Il progetto di Piano è adottato dalla Giunta regionale, corredato dal rapporto ambientale redatto sulla base del rapporto preliminare ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006. n. 1.52 (Norme in materia ambientale) e successive modificazioni ed integrazioni, sentito il Comitato Tecnico Regionale di cui alla legge regionale 6 aprile 1999, n. 11 (Riordino degli organi tecnici collegiali operanti in materia di territorio) e successive modificazioni ed integrazioni."
Il testo del citato comma 1, di nuova formulazione, oltre ad utilizzare l'espressione inappropriata "progetto di Piano" anziché "proposta di piano" come stabilito dal Testo Unico ambientale D.lgs. n. 152/06 (artt. 13 e 14), risulta non coerente con il procedimento di VAS previsto dal citato Testo Unico.
Infatti, il D.lgs. n. 152/06, pur non disponendo esplicitamente che il rapporto ambientale
venga “adottato” insieme alla proposta di piano, stabilisce all’art.11, comma 5, che :“La VAS costituisce per i piani e programmi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione.” .
La disposizione regionale in questione, stralciando la frase sopra indicata, prevede una modifica procedurale idonea a comportare l’adozione di un Piano su cui non siano state sviluppate le opportune analisi di VAS (scoping e successiva elaborazione del Rapporto Ambientale) laddove, invece, la norma statale è perentoria, stabilendo all’art. 13, comma 1 “Sulla base di un rapporto preliminare sui possibili impatti ambientali significativi dell'attuazione del piano o programma, il proponente e/o l'autorità procedente entrano in consultazione, sin dai momenti preliminari dell'attività di elaborazione di piani e programmi, con l'autorità competente e gli altri soggetti competenti in materia ambientale, al fine di definire la portata ed il livello di dettaglio delle informazioni da includere nel rapporto ambientale.”. Inoltre, il comma 3 del su indicato articolo 13 sancisce che il rapporto ambientale costituisce parte integrante del piano o del programma e ne accompagna l’intero processo di elaborazione ed approvazione.
Pertanto, l’articolo 4 , comma 1, della legge in esame, dettando disposizioni difformi – e oltretutto in senso meno rigoroso in materia di Valutazione ambientale strategica - invade la potestà legislativa esclusiva statale in materia di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, di cui all’articolo 117, comma secondo, lett. s) Cost., per contrasto con le norme statali interposte di cui agli articoli 11, comma 5 e 13, commi 1 e 3, del D.lgs. 152/06.Infatti, il D.lgs. n. 152/ 06, pur non disponendo esplicitamente che il rapporto ambientale venga "adottato" insieme alla proposta di piano, stabilisce all'art. n, comma 5, "La VAS costituisce per i piani e programmi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione."
La disposizione regionale in questione, stralciando la frase sopra indicata, prevede una modifica procedurale idonea a comportare l'adozione di un Piano su cui non siano state sviluppate le opportune analisi di VAS (scoping e successiva elaborazione del Rapporto Ambientale) laddove, invece, la norma statale è perentoria, stabilendo all'art. 13, comma 1 "Sulla base di un rapporto preliminare sui possibili impatti ambientali significativi dell'attuazione del piano o programma, il proponente e/o l'autorità procedente entrano in consultazione, sin dai momenti preliminari dell'attività di elaborazione di piani e programmi. con l'autorità competente e gli altri soggetti competenti in materia ambientale, al fine di definire la portata ed il livello di dettaglio delle informazioni da includere nel rapporto ambientale.''. Inoltre, il comma 3 del su indicato articolo 13 sancisce che il rapporto ambientale costituisce parte integrante del piano o del programma e ne accompagna l'intero processo di elaborazione ed approvazione.
Pertanto, l'articolo 4 , comma 1, della legge in esame, dettando disposizioni difformi – e oltretutto in senso meno rigoroso in materia di Valutazione ambientale strategica - invade la potestà legislativa esclusiva statale in materia di "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", di cui all'articolo 117, comma secondo, lett. s) Cost., per contrasto con le norme statali interposte di cui agli articoli 11, comma 5 e 13, commi 1 e 3, del D.lgs. 152/ 06.
3) L’art. 8, comma 3 modifica l’articolo 9 della l.r. 12/2012, prevedendo che il provvedimento di autorizzazione dell’attività estrattiva contenga, tra l’altro, “c bis) l’individuazione dei margini di flessibilità dell’autorizzazione paesaggistica, per l’esecuzione degli interventi che non si configurano come variante sotto il profilo paesaggistico”. Tale disposizione presenta profili di illegittimità costituzionale. In primo luogo, essa contrasta con i principi generali in tema di tipicità degli atti amministrativi (e, dunque, con l’art. 97 Cost.), poiché attribuisce all’atto autorizzativo in materia di cave il potere di incidere sugli effetti e sull’ambito applicativo di un altro e diverso atto autorizzativo (l’autorizzazione paesaggistica), introducendo un atto (atipico) di “riforma” che appare del tutto estraneo al sistema del diritto amministrativo (l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di cava e l’autorizzazione paesaggistica sono provvedimenti regolati da presupposti e procedure differenti). La norma contrasta, inoltre, con l’art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, che riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio e, quindi, con le disposizione della Parte III del codice dei beni culturali e del paesaggio, relativa ai beni paesaggistici; in particolare, con l’art. 146, comma 4, che stabilisce che “L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio”. Infatti, la “individuazione dei margini di flessibilità dell’autorizzazione paesaggistica”, rimessa peraltro, come detto, a un atto di diversa natura, non è in alcun modo contemplata dalle norme del codice che costituiscono l’unica fonte normativa autorizzata dalla Costituzione a regolare l’autorizzazione paesaggistica.
Analoghe considerazioni valgono per la norma contenuta nell’art. 11, comma 2, che modifica l’articolo 12 della l.r. 12/2012, prevedendo che le varianti all'autorizzazione devono acquisire la preventiva autorizzazione paesaggistica, “ ove si tratti di varianti non rientranti nei margini di flessibilità di cui all'articolo 9, comma 2, lettera c bis), e/o di altri titoli previsti dalla normativa vigente”
Seppure la norma regionale persegua evidenti finalità di semplificazione, con modifiche tese a rendere più snelle le procedure di approvazione delle varianti ai programmi di coltivazione, eliminando la necessità di emanare una nuova autorizzazione paesaggistica nel caso di varianti che rientrino nei “margini di flessibilità”, stabiliti ai sensi del nuovo articolo 9 della legge regionale n. 12 del 2012, deve tuttavia, rilevarsi che, come detto, il concetto di “margine di flessibilità” dell'autorizzazione paesaggistica non è definito dalla vigente legislazione statale in materia paesaggistica e quindi la disposizione soggiace alle stesse criticità sopra rilevate, determinando il contrasto della norma regionale in parola con le disposizione della Parte III del codice dei beni culturali e del paesaggio, relativa ai beni paesaggistici; in particolare, con l’art. 146, comma 4, e suo tramite, con l’art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione.
Parimenti risultano censurabili per le mesedime ragioni le norme contenute nell’articolo 17, commi 2 e 3 , che modificano l’articolo 19 della l.r. 12/2012, concernente i permessi di ricerca. In particolare viene previsto che il permesso di ricerca contenga, oltre all’individuazione degli elementi essenziali caratterizzanti il programma dei lavori di ricerca “ l’individuazione dei margini di flessibilità dell’autorizzazione paesaggistica” e che talune varianti al permesso siano eseguibili mediante SCIA, allegando gli elaborati progettuali, ferma restando, la preventiva acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, “ove si tratti di varianti non rientranti nei margini di flessibilità di cui al comma 3, e/o di altri titoli previsti dalla normativa vigente” Si ribadisce in proposito che tale concetto non è definito dalla vigente legislazione in materia paesaggistica e quindi presenta i profili di illegittimità costituzionale già evidenziati ponendosi così la norma in netto contrasto con le disposizione della Parte III del codice dei beni culturali e del paesaggio, relativa ai beni paesaggistici; in particolare, con l’art. 146, comma 4, e suo tramite, con l’art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione.
Le medesime osservazioni valgono infine per le norme transitorie contenute nell’articolo 24, commi 1 e 2, laddove si richiamano nuovamente i “margini di flessibilità” di cui all’articolo 9, comma 2, lettera c bis), della l.r. 12/2012 come modificato dalla presente legge, sia per le autorizzazioni all'esercizio dell’attività estrattiva in corso alla data di entrata in vigore della legge regionale , sia per le attività di vigilanza e sanzionatorie . Le disposizioni regionali contenendo il riferimento all’individuazione dei margini di flessibilità dell’autorizzazione paesaggistica, si pongono in contrasto con le disposizione della Parte III del codice dei beni culturali e del paesaggio, relativa ai beni paesaggistici; in particolare, con l’art. 146, comma 4, e suo tramite, con l’art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione.
4) L'articolo 15 della legge in esame modifica l'articolo 17 della l.r. 12/2012 concernente il "Riutilizzo di materiali" In particolare, il comma 1 inserisce nel comma 1 del citato articolo 17 le parole "di provenienza esterna, estratti da altre cave ovvero" e sopprime le parole "al fine del loro riutilizzo, in complementarietà ai materiali di cava".
A seguito di tali modifiche, il testo dell'articolo 17, comma 1, attualmente dispone "1. Negli impianti a servizio dell'attività di cava è consentito il recupero e la lavorazione di materiali di provenienza esterna, estratti da altre cave ovvero derivanti da demolizioni, restauri o sbancamenti, a condizione che tale attività sia svolta nel rispetto di quanto previsto dalla normativa statale e regionale in materia ambientale e di rifiuti delle industrie estrattive e che l'attività prevalente dell'azienda continui ad essere rappresentata dalla conduzione del polo estrattivo.".
Il comma 2 del medesimo articolo 15 delle legge in esame, nel sostituire il comma 2 dell'articolo 17 della citata l.r. 12/2002, prevede "2. Il titolare dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività estrattiva è tenuto a presentare allo SUAP una SCIA, ai sensi dell' articolo 19 della L. 241/1990 e successive modificazioni e integrazioni, per l'avvio dell'attività di cui al comma 1, secondo modalità stabilite dalla Giunta regionale ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera b). In caso di accertata carenza dei presupposti e delle condizioni prescritte per la SCIA, si applica l' articolo 19, commi 3 e 4, della L. 241/1990 e successive modificazioni e integrazioni.".
A seguito di tali modifiche, il comma 1 dell'articolo 17 della l.r. 12/2012 è idoneo ad autorizzare negli impianti a servizio dell'attività di cava il recupero e la lavorazione di materiali di provenienza esterna, sia estratti da altre cave ovvero derivanti da demolizioni, restauri o sbancamenti a condizione che tale attività sia svolta nel rispetto di quanto previsto dalla normativa statale e regionale in materia ambientale e di rifiuti delle industrie estrattive e che l'attività prevalente dell'azienda continui ad essere rappresentata dalla conduzione del polo estrattivo.
La formulazione delle disposizioni si rivela troppo generica in quanto non risulta chiaro se l'attività di recupero è relativa soltanto all'esercizio di un impianto di recupero dei rifiuti, che sarebbe localizzato all'interno della cava stessa, oppure se si intende anche utilizzare il materiale così trattato direttamente all'interno della cava stessa.
Né può affermarsi che la norma di salvaguardia, contenuta nel comma 1 dell’articolo 17 della l.r. n. 12/2012, così come modificato, secondo cui le attività debbano essere svolte nel rispetto di quanto previsto dalla normativa statale e regionale in materia ambientale e di rifiuti delle industrie estrattive e che l'attività prevalente dell'azienda continui ad essere rappresentata dalla conduzione del polo estrattivo, risulti sufficiente ad evitare che le disposizioni recate dal comma 2, lette in combinato disposto con quelle del comma 1, consentano di avviare le attività di recupero subordinandole a semplice SCIA e non a regime autorizzativo, come imposto dalla normativa statale di riferimento, poiché la modifica regionale non precisa che la SCIA debba essere successiva e condizionata al rilascio delle autorizzazioni ambientali.
Di conseguenza, fermo restando il rispetto dell'art. 10 comma 3 del D.lgs. n. 117/2008, che dispone "3- Il riempimento dei vuoti e delle volumetrie prodotti dall'attività estrattiva con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione di cui al presente decreto è sottoposto alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 , relativo alle discariche di rifiuti", anche il comma 2 del medesimo articolo 17, della l.r. 12/2012, come sostituito dalla legge in esame, prevedendo il rilascio del titolo autorizzativo ad esercire le attività di recupero sopradescritte mediante la presentazione al SUAP di una SCIA, non appare conforme a quanto specificamente previsto dalla normativa ambientale che per l'attività descritta impone la procedura ordinaria di cui all'articolo 208 (Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti) del D.lgs. 150/06 o semplificata di cui al DM 5/2/98 "Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22".
Pertanto, l'articolo 15 , commi 1 e 2, della legge in esame, dettando disposizioni difformi - e oltretutto in senso meno rigoroso in materia di rifiuti - invade la potestà legislativa esclusiva statale in materia di "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", di cui all'articolo 117, comma secondo, lett. s) Cost., per contrasto con le norme statali interposte di cui all'articolo 208 del D.lgs. 152/06 nonché del DM 5/2/98 anch'esso espressione del potere legislativo esclusivo dello Stato.
5) L’articolo 23, commi 1, 2 prevede modifiche all’articolo 28 della l.r. 12/2012 , riguardante la disciplina transitoria fino all’entrata in vigore del Piano Regionale dell’Attività di Cava previsto dalla stessa legge regionale n. 12/2012. In particolare la norma transitoria di cui all’articolo 28 della l.r. 12/2012 ha previsto che, nelle more dell’approvazione del nuovo PRAC , conserva efficacia il Piano approvato ai sensi della legge regionale 10 aprile 1979, n. 12 (Norme sulla disciplina della coltivazione di cave e torbiere). La modifica apportata dalla norma regionale oggi in esame aggiunge che “Le modifiche a tale Piano non comportanti variante al Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico (PTCP) o modifica alla tipologia di cava sono approvate dalla Giunta regionale previo parere dei comuni, della Città metropolitana e delle province territorialmente interessati, da rendersi entro trenta giorni dalla richiesta. Le modifiche al Piano necessarie ai fini della correzione di meri errori materiali sono approvate dal dirigente della struttura regionale competente in materia di attività estrattive.”.
Si osserva, al riguardo, che non è prevista alcuna partecipazione degli organi periferici del Ministero per i beni e le attività culturali ai procedimenti previsti dalla norma - che implicano una valutazione circa la coerenza delle modifiche o correzioni con il PTCP -, al fine di verificare che, effettivamente, si tratti di modifiche che non comportano varianti al piano territoriale di coordinamento paesistico.
Tale disposizione si pone, quindi, in contrasto con l’art. 145, comma 5, del codice che dispone che “La regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo”.
La Corte costituzionale si è espressa più volte in proposito, da ultimo con la sentenza n. 197 del 2014, affermando il principio che l’esclusione di qualsiasi forma di partecipazione di qualsivoglia organismo ministeriale al «procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica» si pone in evidente contrasto con la normativa statale interposta e, in particolare, con il citato art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, il quale - in linea con le prerogative riservate allo Stato dalla disposizione costituzionale evocata a parametro, come anche riconosciute da costante giurisprudenza di questa Corte (tra le molte, sentenza n. 235 del 2011) - specificamente impone che la Regione adotti la propria disciplina «assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo» (Corte cost., sentenza n. 211 del 2013).
La previsione regionale dunque contrasta con il menzionato art. 145, comma 5, del codice dei Beni culturali e del paesaggio, violando così l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di paesaggio.
Inoltre il medesimo art. 23 , al comma 2 inserisce un comma 1 bis all’articolo 28 della l.r. 12/2012 dal seguente tenore :
“1 bis. Fino all’approvazione del Piano di cui all’articolo 4, la Regione può rilasciare, per una sola volta, autorizzazioni aventi ad oggetto un incremento non eccedente il 25 per cento della superficie dell’areale di cava e/o la modifica della tipologia normativa. Tali autorizzazioni non comportano variante al Piano approvato ai sensi della l.r. 12/1979 e successive modificazioni e integrazioni, né al PTCP e sono rilasciate secondo la procedura di cui all’articolo 11, purché sia verificata la coerenza con gli altri strumenti di tutela del territorio e ricorrano le seguenti condizioni:
a) la cava sia in esercizio al momento della presentazione della domanda di autorizzazione;
b) il programma di coltivazione abbia esaurito le potenzialità previste dal Piano vigente;
c) la scheda di progetto del Piano relativa alla cava sia stata già presente nel Piano originario approvato con deliberazione del Consiglio regionale 29 febbraio 2000, n. 16 e non abbia mai subito modifiche in termini di ampliamento dell’areale o di variazioni del regime normativo;
d) il materiale oggetto di coltivazione non contenga amianto;
e) l’ampliamento dell’areale di cava interessi esclusivamente zone a destinazione agricola e/o agricolo-boschiva;
f) l’ampliamento dell’areale di cava non interessi, nemmeno parzialmente:
1) gli ambiti di Conservazione (CE), livello locale del PTCP;
2) i Siti Interesse Comunitario (SIC) o Zone Protezione Speciale (ZPS);
3) i crinali principali.”.
La disposizione prevede quindi che la Regione possa rilasciare autorizzazioni aventi ad oggetto un incremento del 25 per cento dell’areale di cava e/o la modifica della tipologia normativa, stabilendo che tali incrementi non comportino variazioni al PTCP.
Al riguardo, si osserva che l’irrilevanza dell’incremento della superficie dell’areale di cava sino al 25 per cento, prevista anche in relazione al PTCP, per quanto concerne le zone soggette a vincolo paesaggistico ex lege (come i boschi e le montagne per la parte eccedente 1.200 metri sul livello del mare) o provvedimentale, non può essere presunto dal legislatore regionale, bensì deve costituire oggetto di accordo con il Ministero per i Beni e le Attività culturali , considerato, per di più, che potrebbe trattarsi di ampliamenti dell’area di cava molto estesi.
Le modifiche al piano paesaggistico, infatti, devono essere concordate con la citata Amministrazione dello Stato, ai sensi degli articoli 135, 143 e 156 del codice, che sanciscono il principio fondamentale della pianificazione congiunta, che regge l’intera architettura della disciplina in materia di tutela del paesaggio.
La disposizione in esame quindi , ponendosi in contrasto con gli articoli 135, 143 e 156 del codice per i Beni culturali ed il paesaggio, viola l’art. 117, secondo comma, lettera s, del codice, che riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di paesaggio .
Per questi motivi le norme sopra indicate devono essere impugnate ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
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